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di
Francesco Bonazzi e Leo Sisti
Per contestare l'accusa di aver corrotto alcuni giudici per
conto della Fininvest, Cesare Previti si autoaccusa di frode fiscale
La notte di domenica 29 settembre non è stata dura solo per
i ministri, inchiodati fino all'alba a Palazzo Chigi per varare
una maxi-Finanziaria da 20 miliardi di euro. In fremente attesa
c'erano anche tutti quei contribuenti che negli ultimi anni sono
stati quantomeno distratti con l'erario. Ma alla fine questi «milioni
di italiani che hanno tenuto compagnia a Previti nell'evadere il
fisco», per dirla con l'onorevole Carlo Taormina, possono
tirare il fiato. Ci sarà un nuovo concordato fiscale e dal
primo gennaio al 30 giugno prossimi, per chi avesse ancora dimenticato
qualche soldino all'estero, torna lo scudo fiscale.
E proprio una sorta di scudo fiscale è
quello che ha impugnato l'onorevole Cesare Previti sabato 28 settembre,
durante le sette ore di deposizione al processo Imi-Sir nel quale
è imputato di aver corrotto alcuni giudici. Uno scudo quasi
stellare, visto che l'ex ministro della Difesa l'ha utilizzato per
rintuzzare le domande dei pm su quella stratosferica girandola di
miliardi di lire che, secondo l'accusa, nei primi anni Novanta sono
partiti da conti esteri della Fininvest e della famiglia Rovelli,
sono transitati su quelli di Previti e, in parte, sono poi finiti
ad alcuni giudici romani.
Si tratta solo di «regolari parcelle
da avvocato», s'è difeso Previti in aula sabato scorso.
Cambiando così la versione offerta nel '97 durante un interrogatorio,
quando aveva definito i 21 miliardi versatigli tre anni prima in
Svizzera dalla famiglia Rovelli come il compenso per un mandato
ricevuto. «Allora decisi di non parlare di parcella per non
scatenare il fisco nei miei confronti» ("il Giornale",
domenica 29 settembre), ha spiegato il politico che nel 1994 Oscar
Luigi Scalfaro fermò a un soffio dalla poltrona di guardasigilli.
Insomma, «lei non voleva pagare le tasse», ha risposto
il pm a Previti. Ma a meno che uno si chiami Taormina, avvocato,
collega di partito e amico di Cesarone, Previti non accetta che
gli si dia dell'evasore. Lo ha fatto Angelo Panebianco con un editoriale
in prima pagina sul "Corriere della Sera" di lunedì,
chiedendo all'onorevole di lasciare per questo la vita politica,
e subito s'è beccato la piccata risposta dell'interessato:
«Non ho ammesso alcuna evasione fiscale». Chi ha ragione?
Nella lunga lettera pubblicata dal "Corriere"
martedì scorso, l'onorevole Previti afferma: «Se è
vero che negli anni passati ho avuto delle di-sponibilità
all'estero, è altrettanto vero che questa situazione io l'ho
regolarizzata e sanata anche attraverso un condono tombale, pagando
quanto dovuto di legge». Al di là delle acrobazie verbali
da aula di pretura, Previti offre una mezza notizia: non si sa bene
come e non si sa bene quando, ma oggi è in regola grazie
a un condono tombale. È possibile? Un po' di date e cifre
sono indispensabili per illustrare le vicende del contribuente Previti.
Secondo l'accusa, Previti ha ricevuto 21 miliardi dagli eredi Rovelli
nel 1994. Lo stesso anno, a giugno, l'allora senatore giura come
ministro della Difesa. Dalle sue dichiarazioni dei redditi 1994
depositate in Parlamento risulta invece un imponibile di soli 976
milioni di lire. Su quei 21 miliardi incassati estero su estero,
avrebbe dovuto versare un'Iva del 19 per cento, ovvero 4 miliardi.
Sul rimanente, che costituisce l'imponibile, avrebbe dovuto pagare
il 44 per cento di imposta, e cioè 7,48 miliardi. Poiché
l'onorevole Previti s'è ben guardato dal fare sia l'una che
l'altra cosa, per mettersi in regola normalmente sarebbe obbligato
a pagare il dovuto più gli interessi e le sanzioni pecuniarie.
I primi possono essere stimati in 500 milioni sulle imposte e in
300 milioni sull'Iva non versata per ogni anno di ritardo. Le seconde
sono pari almeno a 2 volte l'Iva dovuta e ad almeno una volta l'imposta.
Dunque, tra Iva, imposte, interessi e sanzioni, se si fosse messo
in regola con un anno di ritardo, Previti avrebbe dovuto versare
27,8 miliardi di lire. Inoltre, l'avvocato che è in lui avrebbe
dovuto versare il 10 per cento dell'imponibile, e cioè 1,7
miliardi, alla Cassa forense.
Ci sono poi i 3 miliardi di lire che nel 1991
la Fininvest ha versato sui conti esteri di Previti. Da questa provvista
verrebbero quei 425 milioni che il 5 marzo 1991, nel giro di un'ora,
passarono da un conto Fininvest a un conto del giudice Vittorio
Metta, transitando per un conto di Previti. Soldi che, secondo l'accusa,
sarebbero serviti a consegnare per via giudiziaria la Mondadori
nelle mani della Fininvest. Ma sabato scorso, in tribunale, l'onorevole
di Forza Italia non s'è scomposto: «Quei 425 milioni
erano il compenso che mi spettava per l'arbitrato Bulgari. E i 3
miliardi erano le parcelle versatemi per le collaborazioni con la
Fininvest». Non spettava certo a lui spiegare se e come siano
state contabilizzate dal Biscione. Il suo presidente, l'avvocato
Aldo Bonomo, sentito dai magistrati milanesi il 5 luglio, aveva
detto di non saperne molto di più. Quando il pm Gherardo
Colombo gli ha chiesto se le prestazioni di Previti venissero fatturate
o no, Bonomo ha dichiarato: «Non sono in grado di dire né
in senso positivo , né in senso negativo... penso che gli
fosse corrisposto il compenso che meritava, devo supporre».
Dopo la deposizione di Previti, "L'espresso" ha riproposto
la domanda alla Fininvest. «Riteniamo che tutte le questioni
che sono oggetto di procedimenti in corso vadano affrontate nelle
sedi opportune, che sono quelle giudiziarie», è la
risposta di fonti ufficiali del gruppo che controlla Mediaset e
Mondadori.
In attesa, appunto, che la giustizia faccia
il suo corso (legge Cirami permettendo) si può provare a
chiarire il sofferto rapporto con lo Stato esattore dell'onorevole
di Forza Italia Cesare Previti. Profili penali, sulle evasioni,
non ve ne sono più. E neppure accertamenti in corso dell'Agenzia
delle Entrate, che per legge non può più andare a
scavare su fatti avvenuti prima del 1997. Ma a quale «condono
tombale» si riferisce Previti nella sua autodifesa sul "Corriere"?
L'ultimo condono tombale si è concluso nel 1991 e può
dunque riguardare solo i redditi degli anni precendenti. Non coprirebbe,
insomma, i 21 miliardi ricevuti dai Rovelli nel 1994. Neppure i
redditi percepiti nel 1991 da Fininvest come parcelle e che Previti
fece poi rientrare in Italia nel 1994, organizzando una finta vendita
immobiliare all'Argentario. L'onorevole potrebbe allora aver fatto
ricorso nel 1995 al concordato fiscale promosso dal ministro delle
Finanze Giulio Tremonti e poi perfezionato dal suo successore Augusto
Fantozzi. Quel concordato prevedeva che l'amministrazione finanziaria
dello Stato proponesse a saldo di ogni pendenza una percentuale
su quanto dichiarato in precedenza. Le denunce dei redditi di Previti
non sono ingenti (la prima resa pubblica, relativa al 1993, registra
un imponibile di 1,3 miliardi) ed è ragionevole supporre
che nel 1991, quando non era ancora un personaggio pubblico, fossero
ancora più modeste. Ma anche prendendo l'aliquota più
alta, mettiamo un 50 per cento, si arriverebbe a una cifra ridicola
rispetto agli 11 miliardi che avrebbe dovuto pagare sui redditi
del '94 e agli oltre 27 che avrebbe dovuto versare per sistemare
le sue pendenze senza far ricorso a concordati.
Posto che l'amministrazione finanziaria è
tenuta al segreto su eventuali accordi con il singolo contribuente,
un modo per risolvere l'enigma dell'onorevole contribuente Previti
sarebbe per via giudiziaria. Non a caso, sabato scorso, chi si occupa
di caccia agli evasori è rimasto di sale. «Ma perché
il pm non ha domandato a Previti le pezze d'appoggio fiscali?»,
chiede maliziosamente un alto funzionario dell'Agenzia delle Entrate,
convinto che almeno il presidente del collegio giudicante potrebbe
farlo. Se avesse ragione l'alto funzionario, che preferisce restare
anonimo, ne risulterebbe rafforzata quella scuola di pensiero tutta
forzista secondo la quale il pool di Mani pulite avrebbe potuto
letteralmente mettere in mutande Previti per reati fiscali, ma con
ciò senza poter coinvolgere Silvio Berlusconi. Logica seducente.
Peccato che la realtà sia diversa. Anche volendo, la procura
non avrebbe potuto utilizzare le carte ricevute in rogatoria dai
colleghi svizzeri per inchieste che non fossero quelle per cui le
avevano domandate. In gergo tecnico, si chiama principio di specialità.
Oltre al fatto che la Svizzera non autorizza nessuna rogatoria per
reati fiscali.
Se l'eventuale profilo penale del Previti evasore
è dunque una questione insolubile (e che comunque apparterrebbe
a un passato chiuso per sempre), restano sul piatto della bilancia
i risvolti politici. E morali che non sembrano interessare molto
all'onorevole Previti. Quando un deputato della Repubblica consegna
le proprie dichiarazioni dei redditi alla Camera di appartenenza,
ne garantisce la veridicità firmando sul proprio onore. Se
è evidente che le Camere non possono certo trasformarsi in
ispettori delle tasse di seconda istanza, è altresì
chiaro che forse andrebbe introdotta una qualche sanzione per chi
dichiara il falso. Rimane poi un problema di onorabilità
politica del deputato Previti. Nel momento in cui il governo vara
l'ennesimo taglio della spesa pubblica, con comprensibile ansia
di tutti i cittadini, le vicende fiscali di Previti non sono un
bello spot per Berlusconi e i suoi alleati. E nell'Italia di oggi,
l'evasione miliardaria di un politico eccellente colpisce gli elettori
ben più del conflitto d'interessi.
Per Luciano Violante, ex presidente della Camera
e attuale capogruppo dei Ds a Montecitorio, «sabato scorso
milioni di italiani che faticosamente pagano le tasse hanno dovuto
sentire un ex ministro fare l'apologia dell'evasione fiscale».
E tre deputati della Quercia (Piero Ruzzanti, Renzo Innocenti ed
Elena Montecchi), hanno già presentato un'interrogazione
urgente al ministro Tremonti per sapere che cosa intenda fare sulla
vicenda Previti e sui suoi accordi con il fisco.
In ogni caso, dall'onorevole Cesare non c'è
da aspettarsi il beau geste di chi è in grado di mettere
a tacere dubbi e critiche sul comportamento di un uomo che siede
in Parlamento. Lui, il Cesare che non "fa prigionieri"
terrà ben nascoste tutte le carte fiscali che potrebbero
chiarire in ogni aspetto la vicenda dei soldi Rovelli e Fininvest
ricevuti da conti esteri su conti esteri. E state pur certi che
non metterà spontaneamente mano al portafogli. A meno che
non sia obbligato.
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