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articolo tratto da "società civile " e aggiornato al settembre 2001


 

 

 







 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Tutti i pregiudicati e i riciclati del Parlamento

 

 

 

Gli eletti condannati, riciclati, candeggiati, arrestati.
Piccole e grandi storie ignobili da Repubblica delle banane.
Da non far sapere all'Economist...

Andreotti, Giulio
Senatore a vita, nominato dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Politico democristiano, più volte presidente del Consiglio. Processato a Palermo con l'accusa di essere stato il massimo referente politico dell'organizzazione mafiosa siciliana Cosa nostra. Assolto con una formula dubitativa che corrisponde all'insufficienza di prove del vecchio codice, è in attesa della sentenza d'appello. La stessa sentenza di primo grado, però, pur assolvendolo sottolinea che Andreotti ha più volte mentito al Tribunale e aveva stretti rapporti politici con i referenti siciliani di Cosa nostra, Salvo Lima e i cugini Salvo. Il 29 giugno 2001 è stato condannato (in appello), per concorso esterno in associazione mafiosa, Corrado Carnevale, il giudice ammazzasentenze: ma se Carnevale, "braccio giudiziario" di Andreotti presso la Corte di cassazione, aiutava Cosa nostra, allora anche Andreotti... Si vedrà in appello.

Berlusconi, Silvio
Deputato della Repubblica. Eletto a Milano. Fondatore di Forza Italia. Presidente del Consiglio dei ministri nel 1994 e nel 2001. Il suo nome di compare nelle liste della loggia massonica segreta P2: fascicolo 625, numero di tessera 1816, data di iniziazione 26 gennaio 1978. In un'audizione alla commissione parlamentare sulla P2, Berlusconi ammette di essersi iscritto alla P2 all'inizio del 1978 su invito di Gelli. Conferma la sua iscrizione alla loggia al processo P2, nel novembre 1993. Nel settembre 1988, invece, in un processo per diffamazione da lui intentato contro alcuni giornalisti, Berlusconi dichiara:"Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo che è di poco anteriore allo scandalo". Per questa dichiarazione Berlusconi viene denunciato per falsa testimonianza. Il processo per falsa testimonianza si conclude nel 1990: Berlusconi viene dichiarato colpevole, ma il reato è estinto per intervenuta amnistia.

Berlusconi fu indagato già dal 1983, nell'ambito di un'inchiesta su droga e riciclaggio: la Guardia di finanza aveva posto sotto controllo i suoi telefoni e scritto nel suo rapporto: "È stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane. Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni edilizie e opererebbe sulla Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo...". L'indagine non accertò nulla di penalmente rilevante e nel 1991 fu archiviata.

Berlusconi è accusato di aver pagato tangenti a ufficiali della Guardia di finanza, per ammorbidire i controlli fiscali su quattro delle sue società. In primo grado è condannato a 2 anni e 9 mesi per tutte e quattro le tangenti contestate, senza attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti generiche: così scatta la prescrizione per tre tangenti. Per la quarta (Telepiù), l'assoluzione è concessa con formula dubitativa, secondo il comma 2 art. 530 cpp. La Cassazione, nell'ottobre 2001, conferma le condanne per i coimputati di Berlusconi Berruti, Sciascia, Nanocchio e Capone (dunque le tangenti sono state pagate), ma assolve Berlusconi per non aver commesso il fatto.

Per 21 miliardi di finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, passati attraverso la società estera All Iberian, in primo grado è condannato a 2 anni e 4 mesi. In appello, a causa dei tempi lunghi del processo scatta la prescrizione del reato. La Cassazione conferma.

Berlusconi è rinviato a giudizio per aver falsificato i bilanci Fininvest (processo All Iberian 2). Il dibattimento, dopo molte lungaggini e schermaglie procedurali, è in corso presso il Tribunale di Milano.

La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi (anche sulla base di una voluminosa consulenza fornita dalla Kpmg) per la rete di società estere del gruppo Fininvest (Fininvest Group B) che, secondo l'accusa, hanno finanziato operazioni "riservate" (cioè illegali) con un giro di oltre 1.000 miliardi di fondi neri.

Berlusconi è stato rinviato a giudizio per aver deciso il versamento in nero di 6 miliardi dalle casse del Milan a quelle del Torino calcio, per l'acquisto del calciatore Gianfranco Lentini. Il dibattimento è in corso presso il Tribunale di Milano.

Berlusconi è accusato di comportamenti illeciti nelle operazioni d'acquisto della società Medusa cinematografica, per non aver messo a bilancio 10 miliardi. In primo grado è condannato a 1 anno e 4 mesi per falso in bilancio. In appello, la Corte gli ha riconosciuto le attenuanti generiche: è così scattata la prescrizione del reato.

Berlusconi è accusato di varie irregolarità fiscali nell'acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio. In primo grado è per alcuni reati assolto, per altri scatta la prescrizione. In appello è confermata la sentenza di primo grado.

Berlusconi è accusato di aver pagato i giudici di Roma per ottenere una decisione a suo favore nel Lodo Mondadori, che doveva decidere la proprietà della casa editrice. Il giudice dell'udienza preliminare Rosario Lupo ha deciso l'archiviazione del caso, con formula dubitativa. La Procura ha fatto ricorso alla Corte d'appello, che nel giugno 2001 ha deciso: per Berlusconi scatta la prescrizione, perché per lui è ipotizzabile il reato di corruzione semplice, e non quello di concorso in corruzione in atti giudiziari. Concesse le attenuanti generiche, il reato duque è prescritto, poiché risale al 1991 e la prescrizione, con le attenuanti genriche, scatta dopo 5 anni. Il giudice ha disposto che restino sotto processo i suoi coimputati Cesare Previti, Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Vittorio Metta.

Berlusconi è accusato di aver corrotto i giudici durante le operazioni per l'acquisto della Sme. Rinviato a giudizio insieme a Cesare Previti e Renato Squillante. Il processo di primo grado è in corso presso il Tribunale di Milano.

Berlusconi era accusato di aver indotto la Rai, da presidente del Consiglio, a concordare con la Fininvest i tetti pubblicitari, per ammorbidire la concorrenza. La Procura di Roma, non avendo raccolto prove a sufficienza per il reato di concussione, ha chiesto l'archiviazione, accolta dal Giudice dell'udienza preliminare.

Berlusconi era accusato di aver pagato tangenti a dirigenti e funzionari del ministero delle Finanze per ridurre l'Iva dal 19 al 4 per cento sulle pay tv e per ottenere rimborsi di favore. La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione, accolta dal Giudice dell'udienza preliminare.

Le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, indagano da molti anni sui "mandanti a volto coperto" delle stragi del 1992 (Falcone e Borsellino) e del 1993 (a Firenze, Roma e Milano). Le indagini preliminari sull'eventuale ruolo che Berlusconi e Marcello Dell'Utri possono avere avuto in quelle vicende sono state formalmente chiuse con archiviazioni o richieste di archiviazioni. Continuano però indagini per concorso in strage contro ignoti.

Berlusconi, Dell'Utri e altri manager Fininvest, responsabili in Spagna dell'emittente Telecinco, sono accusati di frode fiscale per 100 miliardi e violazione della legge antitrust spagnola. Sono ora in attesa di giudizio su richiesta del giudice istruttore anticorruzione di Madrid, Baltasar Garzon Real. Il presidente del Consiglio della Repubblica italiana avrà problemi a fare visite di Stato in Spagna: correrebbe il rischio di essere arrestato...

Berruti, Massimo Maria
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Da ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe la sorte di interrogare un giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose che della Edilnord era soltanto un "semplice consulente". Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione dell'accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest, invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come avvocato del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l'altro, l'acquisto del calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo). Nel gennaio 1994 Berlusconi gli ha affidato l'organizzazione della campagna elettorale di Forza Italia a Sciacca e nella provincia d'Agrigento. Con buoni risultati, tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss dell'Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore Monteleone, arrestato nel 1993 per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza Italia a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto in Parlamento già dal 1996. Con il Berruti avvocato e poi politico, convive il Berruti uomo d'affari: in Sicilia possedeva una societa, la Xacplast, che un rapporto dei carabinieri indicava come partecipata da uomini d'onore delle famiglie mafiose di Sciacca. Il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti e il boss Nino Gioè.

Biondi, Alfredo
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, per Forza Italia. Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare il famoso "decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato la pena di 2 mesi di arresto e 6 milioni di multa per frode fiscale: aveva evaso le tasse su parcelle professionali per quasi 1 miliardo.

Brancher, Aldo
Deputato della Repubblica. Eletto in Veneto. È stato il regista del nuovo accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha portato la Casa delle libertà alla vittoria elettorale del 2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana. Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del mitico don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio pubblicità di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale dall'ambiente provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana, Famiglia cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi, non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo. Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di Fedele Confalonieri e manager di Publitalia, la concessionaria di pubblicità della Fininvest. "Don Aldo sta facendo carriera", dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato da Antonio Di Pietro per tangenti (300 milioni al ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro l'Aids assegnata dal ministero alle reti Fininvest). È subito ribattezzato "il Greganti della Fininvest" perché in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora accanto al neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad abbandonare i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.

Briguglio, Carmelo
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nella quota proporzionale, sotto il simbolo di An. È indagato per il business della formazione professionale: gli inquirenti sospettano che durante il suo incarico di assessore regionale al Lavoro abbia favorito enti di formazione della sua provincia.

Cantoni, Giampiero
Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Lombardia. Banchiere, fu presidente della Bnl. È stato inquisito per corruzione e altri reati. Se l'è cavata con alcuni patteggiamenti.

Carra, Enzo
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nella lista della Margherita in Campania. Oggi è capo della segreteria politica dell'Udeur, dopo essere stato portavoce della Dc durante la segreteria di Arnaldo Forlani. Pregiudicato: condannato a 1 anno e 4 mesi per falsa testimonianza. Arrestato durante Mani pulite, la sua fotografia in manette divenne un'immagine-simbolo di Tangentopoli.

Cicchitto, Fabrizio
Deputato della Repubblica. Eletto per Forza Italia nel collegio di Corsico (Milano). Il suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2: fascicolo 945, numero di tessera 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980. All'epoca della scoperta degli elenchi Cicchitto era deputato e membro della direzione del Psi. È uno dei pochi ad aver ammesso di aver sottoscritto la domanda di adesione.

Colucci, Francesco
Deputato della Repubblica. Eletto a Milano. È stato condannato a un anno di reclusione per voto di scambio nel dicembre 1994. Poi è arrivata la condanna in appello, il rinvio in Cassazione e l'assoluzione nel nuovo appello. Ora l'ex deputato socialista Francesco Colucci, riconvertito a Forza Italia, è tornato in pista con la Casa delle libertà, che lo ha fatto eleggere in un collegio sicuro: quello milanese di Baggio, dove, ironia della sorte, si è scontrato con un apripista di Mani pulite: Pierluigi Mantini, candidato dell'Ulivo, l'avvocato che per primo denunciò un certo Mario Chiesa, non ancora mariuolo. Nel marzo 1992 a Colucci fu sequestrato un archivio informatico con migliaia di nomi accanto ai quali erano segnati i favori concessi: dalle assunzioni nel settore pubblico ai ricoveri in ospedale. Al processo, l'avvocato Domenico Contestabile (oggi senatore di Forza Italia) lo difese affermando che la raccomandazione non è reato. Alla fine Colucci fu assolto. Il giudice non ritenne sufficientemente provato il collegamento tra i favori concessi e i voti ottenuti. Ora si ricomincia.

Comincioli, Romano
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Lodi per la Casa delle libertà. Compagno di scuola e poi manager e prestanome di Berlusconi, era in contatto con Gaspare Gambino, imprenditore siciliano vicino a Pippo Calò, il cosiddetto cassiere romano di Cosa nostra. Attraverso Comincioli, la Fininvest realizzò affari con il faccendiere sardo Flavio Carboni. Cambiali con girata di Comincioli passarono a uomini della Banda della Magliana per poi finire nelle mani di Pippo Calò. Per i suoi rapporti con Cosa nostra e banda della Magliana è stato imputato a Roma (e poi assolto). Accusato per bancarotta fraudolenta, è stato latitante per alcune settimane. Poi imputato nel processo per le false fatture di Publitalia.

D'Alì, Antonio
Senatore della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia. Sottosegretario all'Interno nel secondo governo Berlusconi. Già vicepresidente della commissione Finanze, per un breve periodo è stato il responsabile economico di Forza Italia. La famiglia D'Alì Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di controllo della Banca Sicula costituivano l'impero governato con autorità da Antonio D'Alì senior, classe 1919, che fu direttamente amministratore delegato della banca di famiglia fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il suo nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare la mano al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula era uno dei più importanti istituti di credito siciliani per numero di sportelli e per mezzi amministrati. All'inizio degli anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche dall'Ambroveneto di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca Commerciale Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica debolezza in Sicilia. In seguito all'operazione, Giacomo D'Alì, professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del consiglio d'amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula, prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale, era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di polizia, Calogero Germanà, che poi, trasferito a Mazara, aveva subito un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona e oggi è dirigente della Dia (la superpolizia antimafia) a Roma. Il rapporto ipotizzava che l'istituto di credito fosse uno strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto che come presidente del collegio dei sindaci della banca fosse stato chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia e presidente della Regione Sicilia), già commercialista della famiglia Provenzano (l'altra, quella dell'attuale numero uno di Cosa nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima dell'incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione?
La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare; l'aumento di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca, "contro pegno di un rilevante pacchetto azionario", senza ingresso di nuovi soci; il finanziamento è stato poi "integralmente estinto con il ricavato della successiva vendita delle azioni alla Comit, che provvide a versare direttamente all'Efibanca le somme di competenza".
La famiglia D'Alì ha avuto come campieri alcuni membri delle famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il vecchio capomafia di Trapani, fu per una vita fattore dei D'Alì, prima di passare la mano - come boss e come "fattore" - al figlio Matteo Messina Denaro, classe 1962, che dopo essere stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai tempi dell'attacco stragista allo Stato è oggi considerato il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della mafia siciliana, all'ombra del vecchio Bernardo Provenzano. A riprova dei rapporti tra la famiglia D'Alì e il boss, l'allora vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998 esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991 dall'Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i contributi era Pietro D'Alì, fratello di Antonio il senatore e di un Giacomo D'Alì che, negli anni Settanta, era stato attivista di un gruppo neofascista siciliano.
Anche il fratello di Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato per i D'Alì: è stato funzionario della Banca Sicula e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che nel 1998 sia stato arrestato per mafia.
C'è un'altra vicenda in cui le strade dei D'Alì si incrociano con quelle dei boss di Cosa nostra. Francesco Geraci, notissimo gioielliere di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi alla famiglia di Totò Riina, dopo essere stato arrestato con l'accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha raccontato: "Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare dai D'Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina". Si tratta della tenuta di Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari del contratto sono Francesco Geraci il gioielliere e Antonio D'Alì il futuro senatore. "Io sono intervenuto solo al momento della firma", racconta Geraci. "Dopo la stipula andai spesso alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni". Quel terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato parte dei beni di Riina.
I D'Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina Denaro, dicono, fu assunto dal nonno di Antonio junior, l'ingegner Giacomo D'Alì, classe 1888, quando "si era ben lontani dall'evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la instaurazione di un'economia criminale". Matteo Messina Denaro era "alle dipendenze come salariato agricolo", "fino a quando non si scoprì chi fosse". Il passaggio della tenuta di Zangara dai D'Alì a Riina è "una vicenda svoltasi all'insaputa del venditore".
Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall'attività a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e Massimo Grillo (Ccd) costituisce il triumvirato informale che decide la politica della città. Anzi, ne è l'uomo emergente, mentre gli altri due hanno dovuto negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo triumvirato che nel maggio 1998 raggiunge l'accordo per candidare a sindaco di Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l'elezione, Canino (uno dei politici più bersagliati dalle critiche di Mauro Rostagno) viene arrestato per concorso nell'associazione mafiosa che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del Comune di Trapani. Poi, nell'ottobre 2000, tocca all'assessore Vito Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in giunta solo otto mesi prima, spinto da D'Alì, che subito dopo l'arresto lo difende: "Conosco la capacità lavorativa dell'assessore Conticello e la sua correttezza; mi auguro, pertanto, che il risultato dell'azione investigativa al più presto riveli una diversa valutazione dei fatti". Salvatore Cusenza, della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme ai politici dell'opposizione denuncia il partito degli affari e chiede chiarezza. D'Alì ribatte: "Colgono ogni occasione per criminalizzare gli avversari, con tentativi di sciacallaggio politico di stampo bolscevico". Il 24 aprile di quest'anno è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: "È arrivata l'ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!". D'Alì dichiara: "Nessuno può arrogarsi il diritto di giudizi sommari, né di strumentalizzazioni".
Da oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla polizia darà ordini.

Dell'Utri, Marcello
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio più chic di Milano. È, tecnicamente, un "pregiudicato". È stato infatti condannato a Torino per false fatture e frode fiscale continuata. Sentenza definitiva, stabilita dalla Cassazione: 2 anni e 3 mesi di carcere. Ma non eseguita, perché i suoi avvocati sono riusciti a tirare in lungo e a congelarla davanti alla Corte costituzionale. Dell'Utri è poi sotto processo anche per altre faccende: a Milano per corruzione e a Madrid per le irregolarità nella gestione di Telecinco. A Palermo è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto questo non ha impedito a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più centrale di Milano. Marcello lo ha confessato in tv: "Mi candido per legittima difesa".

Del Pennino, Antonio
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto per la Casa delle libertà. È tra i repubblicani che con Giorgio La Malfa sono passati con Berlusconi. In passato è stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte parlamentare. Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da Angelo Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo". Il 13 maggio 1992, agli albori di Mani pulite, quando era deputato del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera, è stato raggiunto da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato: ricettazione, per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati di Milano l'avevano richiesta per contributi in denaro che Del Pennino avrebbe ricevuto da fondi neri costituiti presso l' Associazione industriale lombarda (Assolombarda). A luglio 1994 Ha patteggiato una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni) nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento: di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per le tangenti Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti milanese (in precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una sua richiesta di patteggiamento, perché la pena concordata con il pubblico ministero non era stata ritenuta congrua rispetto alla gravità dei fatti contestati). Alla fine del 2000 Antonio Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per partecipare al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi con Berlusconi.

Drago, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Modica. Notabile ed ex vicepresidente nazionale del Ccd, 45 anni, ex presidente della Regione siciliana (tra il 1998 e il 1999), è indagato per una vicenda che riguarda proprio il periodo in cui era alla guida del governo regionale: avrebbe omesso di presentare il rendiconto dei soldi da lui spesi (200 milioni l'anno). Si è difeso dicendo che il rendiconto per le spese del capo del governo siciliano non era necessario, trattandosi di "fondi riservati". In realtà, nessuna norma regionale prevede questa prassi di spesa, seguita anche dal predecessore di Drago, Giuseppe Provenzano, di Forza Italia, anch'egli inquisito per gli stessi motivi.

Fiori, Publio
Deputato della Repubblica. Eletto in un collegio di Roma. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica segreta P2: fascicolo 646, numero di tessera 1878, data di iniziazione 10 ottobre 1978. Fiori, all'epoca deputato democristiano, ha smentito di essere iscritto. Oggi è membro di An.

Floresta, Ilario
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre. È nato a Desio, in Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia, nel settore della telefonia, ben introdotto nei subappalti della telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994 "scese in campo" sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel collegio di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi. Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia) lo misero sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera, uno dei mafiosi responsabili della strage di Giovanni Falcone, nei giorni precedenti e seguenti la strage aveva comunicato anche con cellulari intestati a un'azienda di Floresta. Questioni di lavoro, spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia palermitana, Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore di giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta negli uffici dell'autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d'onore calabrese del clan Ercolano, poi arrestato in seguito all'operazione Orsa Maggiore. Le affermazioni di Scavo sono rimaste però senza conferme e riscontri, così la procura ha chiesto l'archiviazione del caso

Frau, Aventino
Senatore della Repubblica. Eletto in Veneto, nel collegio di Verona città. Ex parlamentare democristiano, oggi fa parte di Forza Italia. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 533, numero di tessera 1705, data di iniziazione 1 gennaio 1977. Frau ha ammesso di aver conosciuto Licio Gelli, ma ha smentito la sua iscrizione alla P2.

Frigerio, Gianstefano
Deputato della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia. Già, ma qual è il nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi l'ha candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto sui manifesti. A Milano, dove da decenni fa politica, è Gianstefano. Eppure è sempre lui: come segretario regionale della Dc in Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato decine di tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993, è stato coinvolto in molti processi. È accusato di aver accettato mazzette per le discariche lombarde, per il depuratore di Monza, per gli appalti alle Ferrovie Nord. Alcune tangenti le ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha confessato, per esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio dei permessi alla Fininvest per gestire la discarica di Cerro Maggiore.
Ha accumulato tre condanne definitive: 1,4 anni per finanziamento illecito ai partiti, 1,7 per finanziamenti illeciti e ricettazione, 3,9 per corruzione e concussione. Ciò nonostante, dopo aver lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come consigliere personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia, di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell'esecuzione stavano esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per decidere il cumulo della pena da scontare, Gianstefano scompare e ricompare, in Puglia, Carlo: lì si è conquistato un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di riunione della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato. Dovrà scontare una pena di 6 anni e cinque mesi.

Gianni, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta. Giuseppe, detto Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è medico di Solarino ed ex sindaco di Priolo. Deputato regionale dal 1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato nell'Udeur di Clemente Mastella ed è stato anche componente della commissione Sanità. Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale di Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l'appalto di lavori nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione lo aveva definito "un prezioso capitale per la sua città, per la regione e per l'intero partito". Dopo la condanna lo ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.

Giudice, Gaspare
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel 1998, quando era vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia, la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi rapporti con l'onorevole Gianfranco Micciché, non si può neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché altrimenti non avrebbe potuto avere quell'incarico". Secondo l'accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di Caccamo, i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino, guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli ripetevano. Gli elementi raccolti dall'accusa erano tali da far escludere alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare. Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso, in giunta, non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati. Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò (303 voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d'arresto. Non solo, i deputati sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287 voti a 239, con 3 astenuti) l'utilizzo processuale dei tabulati Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza di Giudice dagli uomini delle cosche.

Grillo, Luigi
Senatore della Repubblica. Eletto in Liguria, nel collegio di Chiavari. Ex democristiano, nel 1994 sedeva in Parlamento tra i banchi del centrosinistra, ma saltò (nomen omen) nel centrodestra, permettendo a Silvio Berlusconi di avere la maggioranza per formare il suo primo governo (e avendo in premio una poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Nel 2001 è stato rieletto per Forza Italia. Appena messo piede in Senato, il primo giorno d'attività di Palazzo Madama, ha ricevuto un invito a comparire spedito dalla procura di Milano: per una vicenda che risale a quando Grillo era sottosegretario di un governo di centrosinistra e permise l'affidamento di una consulenza miliardaria per uno studio sull'Alta velocità ferroviaria in Liguria. L'ipotesi di reato su cui la procura di Milano indaga è truffa aggravata.

Lo Porto, Guido
Deputato della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale). Oggi è un esponente di An e parlamentare della Casa delle libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969, quando aveva 32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a quattro camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare dell'organizzazione neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata una quantità considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale. Concutelli fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato poi indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti mafiosi.

Lupi, Maurizio
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Merate. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Antonio Verro, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.

Maroni, Roberto
Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista, ex ministro dell'Interno nel primo governo Berlusconi. È coinvolto in tre inchieste giudiziarie. Per gli scontri con la polizia, inviata a perquisire la sede della Lega a Milano, è stato condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è indagato dalla procura di Verona per reati come attentato contro l'integrità dello Stato. Infine, la procura di Roma lo vuole processare per favoreggiamento di una presunta compravendita di voti. Candidato al ministero della Giustizia nel governo Berlusconi, ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque diventato ministro al Welfare.

Martino, Antonio
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, al proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Il suo nome compare nelle liste della loggia massonica P2, scoperte nel 1981: aveva presentato la domanda d'iscrizione, poi non perfezionata. Martino ha sempre negato, ma nei documenti P2 c'è una domanda d'iscrizione da lui stesso firmata, con data 6 luglio 1980, e la testimonianza del "fratello" presentatore, il collaboratore di Licio Gelli Giuseppe Donato. È ministro alla Difesa.

Mauro, Giovanni
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente di Forza Italia. Quando era presidente della Provincia di Ragusa, nell'agosto 1998, fu arrestato con alcuni suoi collaboratori con l'accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da sei professionisti che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo di progetti ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano territoriale provinciale) finanziati dall'Unione europea. Al momento dell'arresto, il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Micciché denunciò l'inizio di "una campagna d'agosto" contro il suo partito e lo definì "uno dei più stimati amministratori siciliani". Il capo d'imputazione era pesante: "associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione". In attesa che si concluda il processo a suo carico, è entrato in Parlamento. Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 2 mesi.

Mormino, Nino
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, per Forza Italia, dopo che per volere di Silvio Berlusconi era stato candidato nel collegio di Cefalù. Avvocato, per molti anni è stato presidente della Camera penale (l'organismo che riunisce gli avvocati) di Palermo, dopo aver retto la Camera penale di Termini Imerese. Tra i suoi assistiti vi sono boss di rango di Cosa nostra, come i membri della famiglia Madonia; e anche il collega avvocato Francesco Musotto, processato (e poi assolto) con l'accusa di aver ospitato nella sua villa il capomafia Leoluca Bagarella. Anche Mormino, insieme ad altri due penalisti, è finito sotto inchiesta per contatti con gli ambienti mafiosi, sulla scorta delle dichiarazioni di cinque collaboratori di giustizia. Ma nel maggio 1996 la procura di Palermo ha chiuso l'indagine contro di lui, non avendo trovato elementi sufficienti a dimostrare che i contatti non fossero di natura esclusivamente professionale.

Nicolosi, Nicolò
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Termini Imerese, per la Casa delle libertà. Ha 59 anni e una lunga esperienza all'Assemblea regionale siciliana. Ex democristiano, lascia alle spalle una contrastata esperienza di assessore regionale alle Finanze, nella quale tentò di coprire parte del buco di bilancio con una tassa sul metano Snam che attraversa il territorio siciliano. Fu coinvolto nel processo per le assunzioni pilotate alla Forestale di Palermo, assieme ad altri 35 imputati. Fu anche inquisito e arrestato per voto di scambio. Assolto dal tribunale di termini Imerese, gli è stato riconosciuto un risarcimento di 250 milioni per ingiusta detenzione.

Pisanu, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di Forza Italia. Ex democristiano, è stato per anni deputato dc e sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi del pentapartito. Nel secondo governo Berlusconi è finalmente ministro: di un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma di governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela".
Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che fa incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816). Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco Ambrosiano: "Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna, talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina. Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia 2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate" (Testimonianza Pisanu al pm Dell'Osso).
Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano. Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni. Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.
Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà Angelo Rizzoli: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Dopo lo scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro, il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano" (Corriere della sera, 22 gennaio 1983).
Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra. Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla scena. Ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda Calvi: Mirko Tremaglia.

Previti, Cesare
Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di Silvio Berlusconi, ha ereditato l'incarico professionale dal padre, che aiutò il giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un turbine di strane società svizzere e di anonime fiduciarie. È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti delle origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria 67 anni anni fa, crebbe professionalmente nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo mai rinnegato le sue origini politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Oggi è imputato nel processo "toghe sporche", per aver corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze favorevoli a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Cesare Previti ha rischiato (come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non trovare posto nelle liste di Forza Italia. Per lui però il Cavaliere alla fine ha fatto un'eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista di Forza Italia nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio uninominale di Roma Tomba di Nerone.

Salini, Rocco
Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà in Abruzzo, nel collegio di Teramo. Presidente democristiano della giunta regionale abruzzese nei primi anni Novanta, fu arrestato (con l'intera giunta) nell'ambito di un'indagine giudiziaria sui finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver falsificato la graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale, nelle liste di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior numero di voti nella regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente della giunta e assessore alla Sanità. Ma Salini, in quanto condannato, era ineleggibile al Consiglio regionale e su questo sta infatti decidendo il tribunale amministrativo regionale dell'Aquila, che potrebbe anche decretare lo scioglimento dell'assemblea, rendendo quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla Regione, Salini si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.

Selva, Gustavo
Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano, oggi è esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica P2: fascicolo 623, numero di tessera 1814, data di iniziazione 26 gennaio 1978. All'epoca, Selva era direttore del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla loggia. Sospeso dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.

Scajola, Claudio
Deputato della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia, democristiano nato in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando, dirigente Inps, fu segretario della Dc locale e sindaco d'Imperia fin dal 1952. Due anni dopo dovette dimettersi, perché travolto da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto il posto di primario chirurgico nell'ospedale locale e si malignava che fosse stato aiutato dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava niente per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una malattia di famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio maggiore, Alessandro, che divenne anch'egli sindaco d'Imperia nel 1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu eletto in Parlamento. Claudio era il più piccolo dei tre figli del notabile dc. Ma venne anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De Gasperi, figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo e poi dell'università si era impegnato nel movimento giovanile democristiano. Non è un teorico, ma un amministratore, un organizzatore: diventa presidente dell'ospedale Novaro, poi dell'Unità sanitaria locale; è anche segretario provinciale della Dc. Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d'Imperia, come il padre Ferdinando, come il fratello Alessandro. È una festa, in famiglia. Peccato che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. È il primo grande intreccio tra politica e affari in cui compare, nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La storia è complessa e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è semplice nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori che puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano gli appalti per la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi che attorno ai casinò ronzano da sempre e che hanno ottimi argomenti, finanziari e non solo, per arrivare al controllo del business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983 polizia, carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto i casinò di Sanremo, Campione d'Italia, Saint Vincent e Venezia. Gli arrestati sono una quarantina. Il "blitz di San Martino", come verrà chiamato, convolge imprenditori, politici e boss mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli amministratori pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d'Aosta. Che cosa era successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due gruppi, che puntavano a conquistare la gestione del casinò di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società Sit, che aveva stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento, sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare d'Imperia. Dall'altra il conte Giorgio Borletti, ultimo rampollo della famiglia che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era tornato dal Kenya, aveva fondato la società Flower's paradise e per battere Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi. Per vincere, sia Merlo, sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano state pagate o programmate tangenti per 4 miliardi ("parte a Roma": ma di questo non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna delle due cordate, poi, si muovevano, nell'ombra, altri personaggi: il finanziatore di Merlo, per esempio, era Ilario Legnaro, uomo legato ai clan catanesi di Nitto Santapaola e a Gaetano Corallo, che aveva già messo le mani sul casinò di Campione; quanto a Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei night, il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva presentato alcuni "amici" come Angiolino Epaminonda detto il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e Giuseppe Bono. Il primo era il principe della "mala" a Milano, gli ultimi due erano i boss delle "famiglie" palermitane al Nord. Bella gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall'altra la Flower's paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni, naturali i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti... Il sindaco Vento, interrogato dai magistrati dopo l'arresto, spiega: nel partito, il metodo delle tangenti è stato accettato non soltanto "per motivi economici, ma anche politici", perché "chi non accettava il piano di corruzione di fatto si isolava", "il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione". In questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo 1983. I commissari nominati dai partiti aprono le due buste con le offerte di canone al Comune per la gestione del casinò di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la Flower's paradise di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a suon di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all'ultimo momento aveva fatto il furbo ed era passato dall'altra parte: la commissione aveva stabilito che l'offerta non poteva superare i 20 miliardi e 980 milioni, così la Sit è sconfitta perché, in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri milioni... Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi a vicenda. Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte bollate, con ricorsi in Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale... è in questa baraonda che fa la sua comparsa sulla scena Claudio Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole della Dc provinciale. Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo Osvaldo Vento, a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in Svizzera. È Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti, a chiedere a Borletti di poterlo incontrare, "in modo riservato", insieme a un altro politico, "in un clima di sospetto e di timore che potesse essere violata la segretezza", scrive il magistrato. Borletti accetta. L'incontro avviene in un ristorante. Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che "i due politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le elezioni avrebbe ottenuto la casa da gioco", ma "ad alcune condizioni": la prima, che "la gestione fosse improntata a criteri di imparzialità nei confronti delle forze politiche e quindi senza etichette socialiste"; la seconda, che "venisse compiuto un "gesto"che potesse controbilanciare l'offerta fatta dal Merlo a favore degli sfrattati" (Merlo aveva offerto al Comune di Sanremo centinaia di milioni per dare un'abitazione ad alcune famiglie restate senza casa); terzo, che venisse pagata una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto al suo avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due persone (Lorenzo Acquarone e Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a indagare sui casinò, Borletti racconta dell'incontro e i tre confermano. Ecco allora che anche Scajola viene arrestato. Nella loro requisitoria, i pubblici ministeri Corrado Carnevali e Marco Maiga scrivono: "Sono stati raccolti elementi sufficienti per giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè Vento e Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise e dettagliate della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella loro portata accusatoria; le stesse dichiarazioni hanno trovato conferma in numerose testimonianze (Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli, Pier Giusto Jaeger)". E ancora: "Benché l'imputato Scajola abbia recisamente respinto l'addebito, sostenendo che la richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso della conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del Vento (...) devono debbono ritenersi determinanti in ordine all'effettiva sussistenza del reato, di cui sono presenti gli elementi costitutivi tutti. La presenza dello Scajola nel particolare contesto, (...) l'avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai testi di cui sopra si è detto, riferito l'indebita richiesta a lui avanzata ad entrambi i pubblici amministratori presenti nell'occorso, devono essere ritenute circostanze sufficienti perché lo stesso Scajola sia chiamato a rispondere del reato a titolo di concorso morale nel medesimo".
Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del pubblico ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico di Scajola siano sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio 1989 lo proscioglie. Scajola aveva spiegato di essere andato all'incontro con Borletti, ma soltanto per capire la situazione, che era alquanto confusa. Aveva confermato di aver posto il problema della "gestione imparziale"(cioè non filo-socialista) del casinò, ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere, alcuna tangente.
Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce con un accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti, in cambio di 1 miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi in seguito, a grosse rate mensili. Il processo per lo scandalo dei casinò termina invece con molte condanne definitive, che confermano nella sostanza l'impianto accusatorio.
E Claudio Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere sulla poltrona di sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma intanto la Dc si è dissolta in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te, "Amministrare Imperia", che si scontra con una lista dell'Ulivo e una del Polo. Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza Italia e An dice: "Sono soltanto dei fascisti". Vince il centrosinistra. Ma l'anno dopo, nell'aprile 1996, mostra di essersi ricreduto: si candida alla Camera per Forza Italia e viene eletto. Amministratore tenace, organizzatore efficiente, democristiano a 24 carati, si fa subito notare da Silvio Berlusconi, che gli affida un compito impegnativo: costruire il partito. Nominato coordinatore nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il "partito di plastica" in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli affida il più delicato dei ministeri, quello dell'Interno: con Scajola, al Viminale torna un democristiano doc, uno della tempra dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola, per i suoi trascorsi è, effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto.

Sodano, Calogero
Senatore della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd, è stato sindaco di Agrigento. Nell'aprile 2001 ha subito una condanna in primo grado a 1 anno e mezzo di reclusione per avere permesso l'abusivismo edilizio in cambio di vantaggi elettorali. Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche alcuni suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l'accusa, non avrebbero posto in essere né provvedimenti né iniziative per bloccare l'abusivismo edilizio tra il 1991 e il 1998, non solo nella Valle dei Templi, ma in tutta la città.

Urbani, Giuliano
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Vimercate. E' un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza politica all'università Bocconi. Nel 1985 è tra i fondatori del circolo Società civile di Milano. Nel 1994 la sua critica della vecchia politica si acquieta nel nuovo partito di Silvio Berlusconi: partecipa addirittura alla formazione di Forza Italia, in cui confluisce la sua Associazione per il Buon Governo. Berlusconi lo premia con una candidatura in Parlamento, in cui entra nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero della Funzione pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro dei Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo sottosegretario Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani ha mantenuto una attività professionale: è stato a lungo, per esempio, presidente di Domina, una delle società del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider di Garbagnate", Preatoni era stato per anni oggetto di indagini da parte della magistratura italiana e della Consob, l'autorità di controllo della Borsa. Gli innumerevoli procedimenti giudiziari aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai riusciti ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato di cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi in Estonia, diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del comunismo, un paradiso per le scorribande finanziarie. La sua holding finanziaria e immobiliare era diventata la Pro Kapital, con sede a Tallin, in Estonia. La società italiana Domina aveva però continuato a controllare le attività turistiche del gruppo, tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di Preatoni resta la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile (ai giudici) Vaduz. Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi, è rimasto presidente della Domina almeno fino a poco tempo fa. "Conosco Urbani da tempo", ha dichiarato Preatoni al Corriere della sera il 9 agosto 2001, "ma di recente ha dato le dimissioni dal suo incarico in Domina". Quanto di recente, onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era circolata la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti anche per l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto Urbani.

Verdini, Denis
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze, nelle liste di Forza Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi della Toscana. Presidente della banca Credito cooperativo fiorentino, dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è stato indagato per falso in bilancio. È editore del Giornale della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito dalla sua banca.

Verro, Antonio
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di Cremona. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al Comune di Milano, insieme al collega Maurizio Lupi, aveva fatto approvare una concessione per far diventare la cascina un centro polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e falso.

Vito, Alfredo
Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze" della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno. Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con 160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze). Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio: fatevi da parte, perché solo così si potrà procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica". Patteggiò una condanna e restituì più di 4 miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001 è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà, che lo ha portato in Parlamento.

Vizzini, Carlo
Senatore della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario del Psdi, cinque volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte ministro, è stato responsabile tra l'altro del dicastero delle Poste e di quello della Marina. Nel 1993 è rimasto coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado, in appello strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei ministri anche dall'accusa di aver ricevuto mazzette mentre era al ministero delle Poste. Giovanni Brusca ha incluso il suo nome nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio. Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri, è entrato nel Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.


  tratto da "società civile"
   

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