|
Gli eletti condannati, riciclati,
candeggiati, arrestati.
Piccole e grandi storie ignobili da Repubblica delle banane.
Da non far sapere all'Economist...
Andreotti, Giulio
Senatore a vita, nominato dal presidente della Repubblica Francesco
Cossiga. Politico democristiano, più volte presidente del
Consiglio. Processato a Palermo con l'accusa di essere stato il
massimo referente politico dell'organizzazione mafiosa siciliana
Cosa nostra. Assolto con una formula dubitativa che corrisponde
all'insufficienza di prove del vecchio codice, è in attesa
della sentenza d'appello. La stessa sentenza di primo grado, però,
pur assolvendolo sottolinea che Andreotti ha più volte mentito
al Tribunale e aveva stretti rapporti politici con i referenti siciliani
di Cosa nostra, Salvo Lima e i cugini Salvo. Il 29 giugno 2001 è
stato condannato (in appello), per concorso esterno in associazione
mafiosa, Corrado Carnevale, il giudice ammazzasentenze: ma se Carnevale,
"braccio giudiziario" di Andreotti presso la Corte di
cassazione, aiutava Cosa nostra, allora anche Andreotti... Si vedrà
in appello.
Berlusconi, Silvio
Deputato della Repubblica. Eletto a Milano. Fondatore di Forza Italia.
Presidente del Consiglio dei ministri nel 1994 e nel 2001. Il suo
nome di compare nelle liste della loggia massonica segreta P2: fascicolo
625, numero di tessera 1816, data di iniziazione 26 gennaio 1978.
In un'audizione alla commissione parlamentare sulla P2, Berlusconi
ammette di essersi iscritto alla P2 all'inizio del 1978 su invito
di Gelli. Conferma la sua iscrizione alla loggia al processo P2,
nel novembre 1993. Nel settembre 1988, invece, in un processo per
diffamazione da lui intentato contro alcuni giornalisti, Berlusconi
dichiara:"Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla
P2, ricordo che è di poco anteriore allo scandalo".
Per questa dichiarazione Berlusconi viene denunciato per falsa testimonianza.
Il processo per falsa testimonianza si conclude nel 1990: Berlusconi
viene dichiarato colpevole, ma il reato è estinto per intervenuta
amnistia.
Berlusconi fu indagato già dal 1983, nell'ambito di un'inchiesta
su droga e riciclaggio: la Guardia di finanza aveva posto sotto
controllo i suoi telefoni e scritto nel suo rapporto: "È
stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso
traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre
regioni italiane. Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni
edilizie e opererebbe sulla Costa Smeralda avvalendosi di società
di comodo...". L'indagine non accertò nulla di penalmente
rilevante e nel 1991 fu archiviata.
Berlusconi è accusato di aver pagato tangenti a ufficiali
della Guardia di finanza, per ammorbidire i controlli fiscali su
quattro delle sue società. In primo grado è condannato
a 2 anni e 9 mesi per tutte e quattro le tangenti contestate, senza
attenuanti generiche. In appello, la Corte concede le attenuanti
generiche: così scatta la prescrizione per tre tangenti.
Per la quarta (Telepiù), l'assoluzione è concessa
con formula dubitativa, secondo il comma 2 art. 530 cpp. La Cassazione,
nell'ottobre 2001, conferma le condanne per i coimputati di Berlusconi
Berruti, Sciascia, Nanocchio e Capone (dunque le tangenti sono state
pagate), ma assolve Berlusconi per non aver commesso il fatto.
Per 21 miliardi di finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, passati
attraverso la società estera All Iberian, in primo grado
è condannato a 2 anni e 4 mesi. In appello, a causa dei tempi
lunghi del processo scatta la prescrizione del reato. La Cassazione
conferma.
Berlusconi è rinviato a giudizio per aver falsificato i bilanci
Fininvest (processo All Iberian 2). Il dibattimento, dopo molte
lungaggini e schermaglie procedurali, è in corso presso il
Tribunale di Milano.
La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio
di Berlusconi (anche sulla base di una voluminosa consulenza fornita
dalla Kpmg) per la rete di società estere del gruppo Fininvest
(Fininvest Group B) che, secondo l'accusa, hanno finanziato operazioni
"riservate" (cioè illegali) con un giro di oltre
1.000 miliardi di fondi neri.
Berlusconi è stato rinviato a giudizio per aver deciso il
versamento in nero di 6 miliardi dalle casse del Milan a quelle
del Torino calcio, per l'acquisto del calciatore Gianfranco Lentini.
Il dibattimento è in corso presso il Tribunale di Milano.
Berlusconi è accusato di comportamenti illeciti nelle operazioni
d'acquisto della società Medusa cinematografica, per non
aver messo a bilancio 10 miliardi. In primo grado è condannato
a 1 anno e 4 mesi per falso in bilancio. In appello, la Corte gli
ha riconosciuto le attenuanti generiche: è così scattata
la prescrizione del reato.
Berlusconi è accusato di varie irregolarità fiscali
nell'acquisto dei terreni intorno alla sua villa di Macherio. In
primo grado è per alcuni reati assolto, per altri scatta
la prescrizione. In appello è confermata la sentenza di primo
grado.
Berlusconi è accusato di aver pagato i giudici di Roma per
ottenere una decisione a suo favore nel Lodo Mondadori, che doveva
decidere la proprietà della casa editrice. Il giudice dell'udienza
preliminare Rosario Lupo ha deciso l'archiviazione del caso, con
formula dubitativa. La Procura ha fatto ricorso alla Corte d'appello,
che nel giugno 2001 ha deciso: per Berlusconi scatta la prescrizione,
perché per lui è ipotizzabile il reato di corruzione
semplice, e non quello di concorso in corruzione in atti giudiziari.
Concesse le attenuanti generiche, il reato duque è prescritto,
poiché risale al 1991 e la prescrizione, con le attenuanti
genriche, scatta dopo 5 anni. Il giudice ha disposto che restino
sotto processo i suoi coimputati Cesare Previti, Giovanni Acampora,
Attilio Pacifico e Vittorio Metta.
Berlusconi è accusato di aver corrotto i giudici durante
le operazioni per l'acquisto della Sme. Rinviato a giudizio insieme
a Cesare Previti e Renato Squillante. Il processo di primo grado
è in corso presso il Tribunale di Milano.
Berlusconi era accusato di aver indotto la Rai, da presidente del
Consiglio, a concordare con la Fininvest i tetti pubblicitari, per
ammorbidire la concorrenza. La Procura di Roma, non avendo raccolto
prove a sufficienza per il reato di concussione, ha chiesto l'archiviazione,
accolta dal Giudice dell'udienza preliminare.
Berlusconi era accusato di aver pagato tangenti a dirigenti e funzionari
del ministero delle Finanze per ridurre l'Iva dal 19 al 4 per cento
sulle pay tv e per ottenere rimborsi di favore. La Procura di Roma
ha chiesto l'archiviazione, accolta dal Giudice dell'udienza preliminare.
Le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, indagano da molti
anni sui "mandanti a volto coperto" delle stragi del 1992
(Falcone e Borsellino) e del 1993 (a Firenze, Roma e Milano). Le
indagini preliminari sull'eventuale ruolo che Berlusconi e Marcello
Dell'Utri possono avere avuto in quelle vicende sono state formalmente
chiuse con archiviazioni o richieste di archiviazioni. Continuano
però indagini per concorso in strage contro ignoti.
Berlusconi, Dell'Utri e altri manager Fininvest, responsabili in
Spagna dell'emittente Telecinco, sono accusati di frode fiscale
per 100 miliardi e violazione della legge antitrust spagnola. Sono
ora in attesa di giudizio su richiesta del giudice istruttore anticorruzione
di Madrid, Baltasar Garzon Real. Il presidente del Consiglio della
Repubblica italiana avrà problemi a fare visite di Stato
in Spagna: correrebbe il rischio di essere arrestato...
Berruti, Massimo Maria
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste di
Forza Italia. Da ufficiale della Guardia di finanza, nel 1979 ebbe
la sorte di interrogare un giovane imprenditore emergente di nome
Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria
e finanziaria della sua società Edilnord. Berlusconi rispose
che della Edilnord era soltanto un "semplice consulente".
Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione
di Berlusconi, permettendo così l'archiviazione dell'accertamento
valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società
estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare
per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo
a essere arrestato con l'accusa di corruzione nell'ambito dell'inchiesta
per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò
prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest,
invece, è stato di nuovo arrestato, nel 1994, per favoreggiamento
a Berlusconi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza.
Condannato in primo grado (10 mesi) e in appello (8 mesi). Come avvocato
del gruppo Fininvest, ha trattato, fra l'altro, l'acquisto del calciatore
Gigi Lentini (poi oggetto di un processo). Nel gennaio 1994 Berlusconi
gli ha affidato l'organizzazione della campagna elettorale di Forza
Italia a Sciacca e nella provincia d'Agrigento. Con buoni risultati,
tra i quali il coinvolgimento di Salvatore Bono (cognato del boss
dell'Agrigentino Salvatore Di Gangi) e di Salvatore Monteleone, arrestato
nel 1993 per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso
e diventato, appena uscito dal carcere, referente di Forza Italia
a Montevago. Per i suoi servizi, Berruti e stato premiato con un posto
in Parlamento già dal 1996. Con il Berruti avvocato e poi politico,
convive il Berruti uomo d'affari: in Sicilia possedeva una societa,
la Xacplast, che un rapporto dei carabinieri indicava come partecipata
da uomini d'onore delle famiglie mafiose di Sciacca. Il collaboratore
di giustizia Angelo Siino ha parlato anche di un incontro tra Berruti
e il boss Nino Gioè.
Biondi, Alfredo
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, per Forza Italia.
Avvocato, ex deputato liberale, ex ministro della Giustizia nel
primo governo Berlusconi (quando tentò, invano, di far passare
il famoso "decreto salvaladri"). Nel 1998 ha patteggiato
la pena di 2 mesi di arresto e 6 milioni di multa per frode fiscale:
aveva evaso le tasse su parcelle professionali per quasi 1 miliardo.
Brancher, Aldo
Deputato della Repubblica. Eletto in Veneto. È stato il regista
del nuovo accordo tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che ha
portato la Casa delle libertà alla vittoria elettorale del
2001. Era prete paolino e manager pubblicitario di Famiglia cristiana.
Don Aldo, giovane e brillante, era il braccio destro del mitico
don Emilio Mammana, che aprì il primo ufficio pubblicità
di Famiglia cristiana a Milano, facendo uscire il settimanale dall'ambiente
provinciale di Alba e dalle sacrestie. Grazie a don Mammana, Famiglia
cristiana divenne uno dei settimanali italiani più venduti
e più ricchi di pubblicità. Accanto a don Mammana
c'era sempre lui, don Aldo, pretino giovane e spregiudicato, guardato
con un po' d'apprensione dalle segretarie, per via dei suoi modi,
non proprio da prete fedele al voto di castità. I soldi che
faceva girare erano tanti e il ragazzo era svelto. Forse troppo.
Tanto che don Zega, allora direttore di Famiglia cristiana, arrivò
ai ferri corti con don Aldo. Sarà per questo, o per una donna
che era entrata stabilmente nella sua vita, ma comunque Brancher
lasciò i paolini, cambiò vita, abbandonò il
sacerdozio. Ma non la pubblicità: divenne collaboratore di
Fedele Confalonieri e manager di Publitalia, la concessionaria di
pubblicità della Fininvest. "Don Aldo sta facendo carriera",
dicevano di lui i suoi vecchi colleghi di Famiglia cristiana. La
carriera sembrò interrompersi nel 1993, quando fu arrestato
da Antonio Di Pietro per tangenti (300 milioni al ministro della
Sanità Francesco De Lorenzo, per la pubblicità contro
l'Aids assegnata dal ministero alle reti Fininvest). È subito
ribattezzato "il Greganti della Fininvest" perché
in cella non aprì bocca, non raccontò i segreti delle
tangenti Fininvest. Condannato (in appello) a 2 anni e 8 mesi per
falso in bilancio e violazione della legge sul finanaziamento ai
partiti. Per la sua fedeltà aziendale fu premiato: divenne
responsabile di Forza Italia nel Nord e poi, nel 2001, candidato
alla Camera in Veneto, eletto senza problemi e subito nominato da
Berlusconi sottosegretario alle Riforme e alla devoluzione. Lavora
accanto al neo-ministro Umberto Bossi, che ha convinto ad abbandonare
i toni anti-Berlusconi per allearsi nel 2001 con Forza Italia.
Briguglio, Carmelo
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nella quota proporzionale,
sotto il simbolo di An. È indagato per il business della
formazione professionale: gli inquirenti sospettano che durante
il suo incarico di assessore regionale al Lavoro abbia favorito
enti di formazione della sua provincia.
Cantoni, Giampiero
Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà
in Lombardia. Banchiere, fu presidente della Bnl. È stato
inquisito per corruzione e altri reati. Se l'è cavata con
alcuni patteggiamenti.
Carra, Enzo
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nella lista
della Margherita in Campania. Oggi è capo della segreteria
politica dell'Udeur, dopo essere stato portavoce della Dc durante
la segreteria di Arnaldo Forlani. Pregiudicato: condannato a 1 anno
e 4 mesi per falsa testimonianza. Arrestato durante Mani pulite,
la sua fotografia in manette divenne un'immagine-simbolo di Tangentopoli.
Cicchitto, Fabrizio
Deputato della Repubblica. Eletto per Forza Italia nel collegio
di Corsico (Milano). Il suo nome compare nelle liste della loggia
massonica P2: fascicolo 945, numero di tessera 2232, data di iniziazione
12 dicembre 1980. All'epoca della scoperta degli elenchi Cicchitto
era deputato e membro della direzione del Psi. È uno dei
pochi ad aver ammesso di aver sottoscritto la domanda di adesione.
Colucci, Francesco
Deputato della Repubblica. Eletto a Milano. È stato condannato
a un anno di reclusione per voto di scambio nel dicembre 1994. Poi
è arrivata la condanna in appello, il rinvio in Cassazione
e l'assoluzione nel nuovo appello. Ora l'ex deputato socialista
Francesco Colucci, riconvertito a Forza Italia, è tornato
in pista con la Casa delle libertà, che lo ha fatto eleggere
in un collegio sicuro: quello milanese di Baggio, dove, ironia della
sorte, si è scontrato con un apripista di Mani pulite: Pierluigi
Mantini, candidato dell'Ulivo, l'avvocato che per primo denunciò
un certo Mario Chiesa, non ancora mariuolo. Nel marzo 1992 a Colucci
fu sequestrato un archivio informatico con migliaia di nomi accanto
ai quali erano segnati i favori concessi: dalle assunzioni nel settore
pubblico ai ricoveri in ospedale. Al processo, l'avvocato Domenico
Contestabile (oggi senatore di Forza Italia) lo difese affermando
che la raccomandazione non è reato. Alla fine Colucci fu
assolto. Il giudice non ritenne sufficientemente provato il collegamento
tra i favori concessi e i voti ottenuti. Ora si ricomincia.
Comincioli, Romano
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Lodi per la Casa
delle libertà. Compagno di scuola e poi manager e prestanome
di Berlusconi, era in contatto con Gaspare Gambino, imprenditore
siciliano vicino a Pippo Calò, il cosiddetto cassiere romano
di Cosa nostra. Attraverso Comincioli, la Fininvest realizzò
affari con il faccendiere sardo Flavio Carboni. Cambiali con girata
di Comincioli passarono a uomini della Banda della Magliana per
poi finire nelle mani di Pippo Calò. Per i suoi rapporti
con Cosa nostra e banda della Magliana è stato imputato a
Roma (e poi assolto). Accusato per bancarotta fraudolenta, è
stato latitante per alcune settimane. Poi imputato nel processo
per le false fatture di Publitalia.
D'Alì, Antonio
Senatore della Repubblica. Eletto a Trapani. Di Forza Italia. Sottosegretario
all'Interno nel secondo governo Berlusconi. Già vicepresidente
della commissione Finanze, per un breve periodo è stato il
responsabile economico di Forza Italia. La famiglia D'Alì
Stati è una delle più potenti, facoltose e riverite
del Trapanese. Le immense tenute agricole, le saline tra Trapani
e Marsala, le molte proprietà e (fino al 1991) la quota di
controllo della Banca Sicula costituivano l'impero governato con
autorità da Antonio D'Alì senior, classe 1919, che
fu direttamente amministratore delegato della banca di famiglia
fino al 1983, anno in cui fu coinvolto nello scandalo P2 (il suo
nome era nelle liste di Gelli) e preferì passare la mano
al nipote Antonio junior, che poi nel 1994 aderì a Forza
Italia e fu premiato con un bel seggio al Senato. La Banca Sicula
era uno dei più importanti istituti di credito siciliani
per numero di sportelli e per mezzi amministrati. All'inizio degli
anni Novanta la banca trapanese, già corteggiata anche dall'Ambroveneto
di Giovanni Bazoli, fu acquistata e incorporata dalla Banca Commerciale
Italiana, alla ricerca di un partner per superare la sua storica
debolezza in Sicilia. In seguito all'operazione, Giacomo D'Alì,
professore associato di Fisica, figlio di Antonio senior e cugino
di Antonio junior il senatore, è entrato a far parte del
consiglio d'amministrazione della Banca Commerciale. La Banca Sicula,
prima di rigenerarsi dietro le rispettabilissime insegne della Commerciale,
era stata oggetto di un allarmato rapporto di un commissario di
polizia, Calogero Germanà, che poi, trasferito a Mazara,
aveva subito un attentato da parte di Leoluca Bagarella in persona
e oggi è dirigente della Dia (la superpolizia antimafia)
a Roma. Il rapporto ipotizzava che l'istituto di credito fosse uno
strumento di riciclaggio di Cosa nostra. E sottolineava il fatto
che come presidente del collegio dei sindaci della banca fosse stato
chiamato Giuseppe Provenzano (il futuro deputato di Forza Italia
e presidente della Regione Sicilia), già commercialista della
famiglia Provenzano (l'altra, quella dell'attuale numero uno di
Cosa nostra). Il rapporto non ebbe però alcun seguito. Prima
dell'incorporazione, la Banca Sicula aveva realizzato un aumento
di capitale di 30 miliardi. Niki Vendola, allora vicepresidente
della Commissione parlamentare antimafia, nel 1998, in un rapporto
inviato alla Vigilanza della Banca d'Italia, chiese: da dove erano
arrivati quei soldi? Chi aveva finanziato la ricapitalizzazione?
La risposta della famiglia D'Alì: tutto regolare; l'aumento
di capitale della Banca Sicula è stato finanziato da Efibanca,
"contro pegno di un rilevante pacchetto azionario", senza
ingresso di nuovi soci; il finanziamento è stato poi "integralmente
estinto con il ricavato della successiva vendita delle azioni alla
Comit, che provvide a versare direttamente all'Efibanca le somme
di competenza".
La famiglia D'Alì ha avuto come campieri alcuni membri delle
famiglie mafiose dei Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, il
vecchio capomafia di Trapani, fu per una vita fattore dei D'Alì,
prima di passare la mano - come boss e come "fattore"
- al figlio Matteo Messina Denaro, classe 1962, che dopo essere
stato uno degli alleati più fedeli di Totò Riina ai
tempi dell'attacco stragista allo Stato è oggi considerato
il boss emergente di Cosa nostra, forse il nuovo capo della mafia
siciliana, all'ombra del vecchio Bernardo Provenzano. A riprova
dei rapporti tra la famiglia D'Alì e il boss, l'allora vicepresidente
della Commissione parlamentare antimafia Nichi Vendola nel 1998
esibì i documenti che provano il pagamento a Matteo Messina
Denaro, ufficialmente agricoltore, di 4 milioni ricevuti nel 1991
dall'Inps come indennità di disoccupazione. A pagargli i
contributi era Pietro D'Alì, fratello di Antonio il senatore
e di un Giacomo D'Alì che, negli anni Settanta, era stato
attivista di un gruppo neofascista siciliano.
Anche il fratello di Matteo Messina Denaro, Salvatore, ha lavorato
per i D'Alì: è stato funzionario della Banca Sicula
e poi, nel 1991, è passato alla Commerciale. Peccato che
nel 1998 sia stato arrestato per mafia.
C'è un'altra vicenda in cui le strade dei D'Alì si
incrociano con quelle dei boss di Cosa nostra. Francesco Geraci,
notissimo gioielliere di Castelvetrano, gran fornitore di preziosi
alla famiglia di Totò Riina, dopo essere stato arrestato
con l'accusa di essere uno dei prestanome di Riina, ha raccontato:
"Nel 1992 Matteo Messina Denaro mi ha chiesto di acquistare
dai D'Alì un terreno per 300 milioni da regalare a Riina".
Si tratta della tenuta di Contrada Zangara, a Castelvetrano. I firmatari
del contratto sono Francesco Geraci il gioielliere e Antonio D'Alì
il futuro senatore. "Io sono intervenuto solo al momento della
firma", racconta Geraci. "Dopo la stipula andai spesso
alla Banca Sicula e mi feci restituire i 300 milioni". Quel
terreno, poi, nel 1997 è stato confiscato in quanto considerato
parte dei beni di Riina.
I D'Alì hanno sempre ribattuto su tutto. Francesco Messina
Denaro, dicono, fu assunto dal nonno di Antonio junior, l'ingegner
Giacomo D'Alì, classe 1888, quando "si era ben lontani
dall'evidenziarsi di fenomeni che rivelassero la instaurazione di
un'economia criminale". Matteo Messina Denaro era "alle
dipendenze come salariato agricolo", "fino a quando non
si scoprì chi fosse". Il passaggio della tenuta di Zangara
dai D'Alì a Riina è "una vicenda svoltasi all'insaputa
del venditore".
Gli impegni di senatore a Roma non lo distolgono dall'attività
a Trapani: con Francesco Canino (Cdu) e Massimo Grillo (Ccd) costituisce
il triumvirato informale che decide la politica della città.
Anzi, ne è l'uomo emergente, mentre gli altri due hanno dovuto
negli ultimi anni accusare dei colpi. È questo triumvirato
che nel maggio 1998 raggiunge l'accordo per candidare a sindaco
di Trapani Nino Laudicina. Pochi giorni dopo l'elezione, Canino
(uno dei politici più bersagliati dalle critiche di Mauro
Rostagno) viene arrestato per concorso nell'associazione mafiosa
che avrebbe monopolizzato gli affari e spartito gli appalti del
Comune di Trapani. Poi, nell'ottobre 2000, tocca all'assessore Vito
Conticello, arrestato mentre intasca una tangente. Era entrato in
giunta solo otto mesi prima, spinto da D'Alì, che subito
dopo l'arresto lo difende: "Conosco la capacità lavorativa
dell'assessore Conticello e la sua correttezza; mi auguro, pertanto,
che il risultato dell'azione investigativa al più presto
riveli una diversa valutazione dei fatti". Salvatore Cusenza,
della segreteria regionale dei Democratici di sinistra, insieme
ai politici dell'opposizione denuncia il partito degli affari e
chiede chiarezza. D'Alì ribatte: "Colgono ogni occasione
per criminalizzare gli avversari, con tentativi di sciacallaggio
politico di stampo bolscevico". Il 24 aprile di quest'anno
è il turno del sindaco Laudicina, arrestato per corruzione
con altre sette persone. Perfino il vescovo di Trapani grida: "È
arrivata l'ora di reagire. No allo strapotere, è ora di svegliarci!".
D'Alì dichiara: "Nessuno può arrogarsi il diritto
di giudizi sommari, né di strumentalizzazioni".
Da oggi comunque Antonio D'Alì, un tempo oggetto di indagini
di polizia, alla polizia darà ordini.
Dell'Utri, Marcello
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio più chic di
Milano. È, tecnicamente, un "pregiudicato". È
stato infatti condannato a Torino per false fatture e frode fiscale
continuata. Sentenza definitiva, stabilita dalla Cassazione: 2 anni
e 3 mesi di carcere. Ma non eseguita, perché i suoi avvocati
sono riusciti a tirare in lungo e a congelarla davanti alla Corte
costituzionale. Dell'Utri è poi sotto processo anche per
altre faccende: a Milano per corruzione e a Madrid per le irregolarità
nella gestione di Telecinco. A Palermo è sotto processo per
concorso esterno in associazione mafiosa. Tutto questo non ha impedito
a Silvio Berlusconi di candidarlo al Senato, nel collegio più
centrale di Milano. Marcello lo ha confessato in tv: "Mi candido
per legittima difesa".
Del Pennino, Antonio
Senatore della Repubblica. Eletto nel collegio di Milano-Niguarda-Sesto
per la Casa delle libertà. È tra i repubblicani che
con Giorgio La Malfa sono passati con Berlusconi. In passato è
stato vicesegretario nazionale del Pri e più volte parlamentare.
Una testimone racconta che a fine anni Settanta Del Pennino era
tra i frequentatori delle bische clandestine gestite a Milano da
Angelo Epaminonda. Lì era chiamato "Del Pennazzo".
Il 13 maggio 1992, agli albori di Mani pulite, quando era deputato
del Pri e capogruppo repubblicano alla Camera, è stato raggiunto
da un'informazione di garanzia. L' ipotesi di reato: ricettazione,
per aver ricevuto denaro provento di tangenti. Nel 1993 la Camera
ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere per violazione
delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti: i magistrati
di Milano l'avevano richiesta per contributi in denaro che Del Pennino
avrebbe ricevuto da fondi neri costituiti presso l' Associazione
industriale lombarda (Assolombarda). A luglio 1994 Ha patteggiato
una pena di 2 mesi e 20 giorni (convertita nella sanzione di 4 milioni)
nel processo per le tangenti Enimont. A ottobre 1994 altro patteggiamento:
di una pena di 1 anno, 8 mesi e 20 giorni per tangenti relative
alla Metropolitana milanese. Il 25 gennaio 2000 la settima sezione
penale del tribunale di Milano lo ha prosciolto nel processo per
le tangenti Atm, per le forniture di autobus all azienda dei trasporti
milanese (in precedenza, lo stesso tribunale aveva respinto una
sua richiesta di patteggiamento, perché la pena concordata
con il pubblico ministero non era stata ritenuta congrua rispetto
alla gravità dei fatti contestati). Alla fine del 2000 Antonio
Del Pennino è rientrato nel Pri, giusto in tempo per partecipare
al "ribaltino" che ha portato il glorioso partito ad allearsi
con Berlusconi.
Drago, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Modica. Notabile
ed ex vicepresidente nazionale del Ccd, 45 anni, ex presidente della
Regione siciliana (tra il 1998 e il 1999), è indagato per
una vicenda che riguarda proprio il periodo in cui era alla guida
del governo regionale: avrebbe omesso di presentare il rendiconto
dei soldi da lui spesi (200 milioni l'anno). Si è difeso
dicendo che il rendiconto per le spese del capo del governo siciliano
non era necessario, trattandosi di "fondi riservati".
In realtà, nessuna norma regionale prevede questa prassi
di spesa, seguita anche dal predecessore di Drago, Giuseppe Provenzano,
di Forza Italia, anch'egli inquisito per gli stessi motivi.
Fiori, Publio
Deputato della Repubblica. Eletto in un collegio di Roma. Il suo
nome compare negli elenchi della loggia massonica segreta P2: fascicolo
646, numero di tessera 1878, data di iniziazione 10 ottobre 1978.
Fiori, all'epoca deputato democristiano, ha smentito di essere iscritto.
Oggi è membro di An.
Floresta, Ilario
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Giarre.
È nato a Desio, in Lombardia, ma fa l'imprenditore in Sicilia,
nel settore della telefonia, ben introdotto nei subappalti della
telefonia di Stato (quando c'era). Nel 1994 "scese in campo"
sotto le bandiere di Forza Italia, fu eletto alla Camera nel collegio
di Giarre e divenne sottosegretario al Bilancio nel governo Berlusconi.
Gli investigatori della Dia (la Direzione investigativa antimafia)
lo misero sotto osservazione perché Gioacchino La Barbera,
uno dei mafiosi responsabili della strage di Giovanni Falcone, nei
giorni precedenti e seguenti la strage aveva comunicato anche con
cellulari intestati a un'azienda di Floresta. Questioni di lavoro,
spiegò La Barbera. Uscito pulito da questa storia palermitana,
Floresta entrò in una vicenda catanese: un collaboratore
di giustizia, Giuseppe Scavo, raccontò di aver visto Floresta
negli uffici dell'autoparco di Sebastiano Sciuto, uomo d'onore calabrese
del clan Ercolano, poi arrestato in seguito all'operazione Orsa
Maggiore. Le affermazioni di Scavo sono rimaste però senza
conferme e riscontri, così la procura ha chiesto l'archiviazione
del caso
Frau, Aventino
Senatore della Repubblica. Eletto in Veneto, nel collegio di Verona
città. Ex parlamentare democristiano, oggi fa parte di Forza
Italia. Il suo nome compare negli elenchi della loggia massonica
P2: fascicolo 533, numero di tessera 1705, data di iniziazione 1
gennaio 1977. Frau ha ammesso di aver conosciuto Licio Gelli, ma
ha smentito la sua iscrizione alla P2.
Frigerio, Gianstefano
Deputato della Repubblica. Eletto in Puglia. Un nome, una garanzia.
Già, ma qual è il nome? Nel collegio dove Silvio Berlusconi
l'ha candidato, in Puglia, è Carlo Frigerio, com'era scritto
sui manifesti. A Milano, dove da decenni fa politica, è Gianstefano.
Eppure è sempre lui: come segretario regionale della Dc in
Lombardia (e cassiere occulto del partito) ha incassato decine di
tangenti, è stato arrestato tre volte tra il 1992 e il 1993,
è stato coinvolto in molti processi. È accusato di
aver accettato mazzette per le discariche lombarde, per il depuratore
di Monza, per gli appalti alle Ferrovie Nord. Alcune tangenti le
ha ammesse, pur minimizzando il proprio ruolo. Ha confessato, per
esempio, di aver ricevuto 150 milioni da Paolo Berlusconi, in cambio
dei permessi alla Fininvest per gestire la discarica di Cerro Maggiore.
Ha accumulato tre condanne definitive: 1,4 anni per finanziamento
illecito ai partiti, 1,7 per finanziamenti illeciti e ricettazione,
3,9 per corruzione e concussione. Ciò nonostante, dopo aver
lasciato la Dc si è inventato una nuova vita come consigliere
personale di Silvio Berlusconi e influente membro di Forza Italia,
di cui dirige il centro studi. Mentre i giudici dell'esecuzione
stavano esaminando le sentenze definitive che pesano su di lui per
decidere il cumulo della pena da scontare, Gianstefano scompare
e ricompare, in Puglia, Carlo: lì si è conquistato
un bel seggio in Parlamento. Il 31 maggio, primo giorno di riunione
della nuova Camera dei deputati, Frigerio, è stato arrestato.
Dovrà scontare una pena di 6 anni e cinque mesi.
Gianni, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, nel collegio di Augusta.
Giuseppe, detto Pippo, è esponente del Cdu. Ha 53 anni, è
medico di Solarino ed ex sindaco di Priolo. Deputato regionale dal
1991 al 1996 per la Dc, è poi transitato nell'Udeur di Clemente
Mastella ed è stato anche componente della commissione Sanità.
Nel 1998 è stato arrestato e poi condannato a tre anni (tribunale
di Siracusa, primo grado) per una mazzetta di 25 milioni per l'appalto
di lavori nella pineta cittadina. Il leader del Cdu Rocco Buttiglione
lo aveva definito "un prezioso capitale per la sua città,
per la regione e per l'intero partito". Dopo la condanna lo
ha nominato coordinatore regionale del Cdu siciliano.
Giudice, Gaspare
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia. Forzista doc. Nel
1998, quando era vicecoordinatore per la Sicilia di Forza Italia,
la procura di Palermo chiese il suo arresto per complicità
con la mafia. Silvio Berlusconi commentò: "Essendo Giudice
vicecoordinatore di Forza Italia in Sicilia e avendo avuto quindi
rapporti con l'onorevole Gianfranco Micciché, non si può
neppure immaginare alcun alone di dubbio intorno a lui, perché
altrimenti non avrebbe potuto avere quell'incarico". Secondo
l'accusa, Giudice era al diretto servizio della cosca mafiosa di
Caccamo, i cui uomini si vantavano di averlo fatto eleggere e gli
telefonavano fin dentro il palazzo di Montecitorio per ricordargli
la sua dipendenza e per ordinargli che cosa doveva fare: "Gasparino,
guarda che siamo stati noialtri a metterti lì", gli
ripetevano. Gli elementi raccolti dall'accusa erano tali da far
escludere alla giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere
che ci fosse fumus persecutionis nei confronti del parlamentare.
Perfino il "supergarantista" Filippo Mancuso, in giunta,
non aveva avuto nulla da eccepire contro la richiesta dei magistrati.
Eppure la Camera dei deputati il 16 luglio 1998 bocciò (303
voti a 210, con 13 astenuti) la richiesta d'arresto. Non solo, i
deputati sottrassero al giudice elementi di prova: impedirono (287
voti a 239, con 3 astenuti) l'utilizzo processuale dei tabulati
Telecom, quelli da cui erano documentati i rapporti e la dipendenza
di Giudice dagli uomini delle cosche.
Grillo, Luigi
Senatore della Repubblica. Eletto in Liguria, nel collegio di Chiavari.
Ex democristiano, nel 1994 sedeva in Parlamento tra i banchi del
centrosinistra, ma saltò (nomen omen) nel centrodestra, permettendo
a Silvio Berlusconi di avere la maggioranza per formare il suo primo
governo (e avendo in premio una poltrona di sottosegretario alla
presidenza del Consiglio). Nel 2001 è stato rieletto per
Forza Italia. Appena messo piede in Senato, il primo giorno d'attività
di Palazzo Madama, ha ricevuto un invito a comparire spedito dalla
procura di Milano: per una vicenda che risale a quando Grillo era
sottosegretario di un governo di centrosinistra e permise l'affidamento
di una consulenza miliardaria per uno studio sull'Alta velocità
ferroviaria in Liguria. L'ipotesi di reato su cui la procura di
Milano indaga è truffa aggravata.
Lo Porto, Guido
Deputato della Repubblica. Eletto a Palermo (quota proporzionale).
Oggi è un esponente di An e parlamentare della Casa delle
libertà. Tanti anni fa, il 24 ottobre 1969, quando aveva
32 anni, fu fermato vicino a Palermo dai carabinieri insieme a quattro
camerati (tra cui Pierluigi Concutelli, capo militare dell'organizzazione
neofascista Ordine nuovo). Nella sua automobile fu trovata una quantità
considerevole di armi da guerra avvolte in carta da giornale. Concutelli
fu condannato a 2 anni, Lo Porto a 16 mesi. Lo Porto è stato
poi indagato (senza conseguenze penali) per rapporti con ambienti
mafiosi.
Lupi, Maurizio
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio
di Merate. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia
delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta
giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al
Comune di Milano, insieme al collega Antonio Verro, aveva fatto
approvare una concessione per far diventare la cascina un centro
polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio
di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria
privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia
delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile,
è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e
falso.
Maroni, Roberto
Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Varese. Leghista,
ex ministro dell'Interno nel primo governo Berlusconi. È
coinvolto in tre inchieste giudiziarie. Per gli scontri con la polizia,
inviata a perquisire la sede della Lega a Milano, è stato
condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a
pubblico ufficiale. Come capo delle "camicie verdi", è
indagato dalla procura di Verona per reati come attentato contro
l'integrità dello Stato. Infine, la procura di Roma lo vuole
processare per favoreggiamento di una presunta compravendita di
voti. Candidato al ministero della Giustizia nel governo Berlusconi,
ha dovuto farsi da parte, tra le polemiche. Ma è comunque
diventato ministro al Welfare.
Martino, Antonio
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, al proporzionale,
nelle liste di Forza Italia. Il suo nome compare nelle liste della
loggia massonica P2, scoperte nel 1981: aveva presentato la domanda
d'iscrizione, poi non perfezionata. Martino ha sempre negato, ma
nei documenti P2 c'è una domanda d'iscrizione da lui stesso
firmata, con data 6 luglio 1980, e la testimonianza del "fratello"
presentatore, il collaboratore di Licio Gelli Giuseppe Donato. È
ministro alla Difesa.
Mauro, Giovanni
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Ragusa. Esponente
di Forza Italia. Quando era presidente della Provincia di Ragusa,
nell'agosto 1998, fu arrestato con alcuni suoi collaboratori con
l'accusa di corruzione: avrebbe ricevuto denaro da sei professionisti
che volevano ottenere incarichi per lo studio e lo sviluppo di progetti
ambientali (come la bonifica delle discariche e il piano territoriale
provinciale) finanziati dall'Unione europea. Al momento dell'arresto,
il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Micciché
denunciò l'inizio di "una campagna d'agosto" contro
il suo partito e lo definì "uno dei più stimati
amministratori siciliani". Il capo d'imputazione era pesante:
"associazione per delinquere finalizzata ad atti di corruzione".
In attesa che si concluda il processo a suo carico, è entrato
in Parlamento. Subito dopo, nel giugno 2001, è stato condannato
in primo grado a 1 anno e 2 mesi.
Mormino, Nino
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, per Forza Italia,
dopo che per volere di Silvio Berlusconi era stato candidato nel
collegio di Cefalù. Avvocato, per molti anni è stato
presidente della Camera penale (l'organismo che riunisce gli avvocati)
di Palermo, dopo aver retto la Camera penale di Termini Imerese.
Tra i suoi assistiti vi sono boss di rango di Cosa nostra, come
i membri della famiglia Madonia; e anche il collega avvocato Francesco
Musotto, processato (e poi assolto) con l'accusa di aver ospitato
nella sua villa il capomafia Leoluca Bagarella. Anche Mormino, insieme
ad altri due penalisti, è finito sotto inchiesta per contatti
con gli ambienti mafiosi, sulla scorta delle dichiarazioni di cinque
collaboratori di giustizia. Ma nel maggio 1996 la procura di Palermo
ha chiuso l'indagine contro di lui, non avendo trovato elementi
sufficienti a dimostrare che i contatti non fossero di natura esclusivamente
professionale.
Nicolosi, Nicolò
Deputato della Repubblica. Eletto in Sicilia, a Termini Imerese,
per la Casa delle libertà. Ha 59 anni e una lunga esperienza
all'Assemblea regionale siciliana. Ex democristiano, lascia alle
spalle una contrastata esperienza di assessore regionale alle Finanze,
nella quale tentò di coprire parte del buco di bilancio con
una tassa sul metano Snam che attraversa il territorio siciliano.
Fu coinvolto nel processo per le assunzioni pilotate alla Forestale
di Palermo, assieme ad altri 35 imputati. Fu anche inquisito e arrestato
per voto di scambio. Assolto dal tribunale di termini Imerese, gli
è stato riconosciuto un risarcimento di 250 milioni per ingiusta
detenzione.
Pisanu, Giuseppe
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, nelle liste
di Forza Italia. Ex democristiano, è stato per anni deputato
dc e sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi del pentapartito.
Nel secondo governo Berlusconi è finalmente ministro: di
un nuovo dicastero che si chiama "Attuazione del programma
di governo": una sorta di musiliana "Azione Parallela".
Nell'estate 1981, Pisanu, sardo e amico di Armando Corona (che poi
diventerà Gran Maestro della massoneria) conosce in Sardegna
il banchiere Roberto Calvi (tessera P2 numero 1624). L'uomo che
fa incontrare Calvi e Pisanu è Flavio Carboni, faccendiere
sardo che era in contatto con un imprenditore milanese che voleva
fare affari in Sardegna: Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816).
Pisanu è il padrino politico di Carboni, che presenta come
un "interlocutore valido per le forze politiche richiamantesi
alla stessa aspirazione, cioè quella cattolica". Dichiara
Pisanu al magistrato titolare dell'indagine su Calvi e il suo Banco
Ambrosiano: "Il Carboni si diceva congiuntamente interessato
alle televisioni private in Sardegna: ciò in un'ottica di
inserimento nella regione del circuito televisivo Canale 5, facente
capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. Il Carboni mi spiegò
che il Berlusconi aveva interesse a espandere Canale 5 alla Sardegna,
talché lo stesso Carboni si stava interessando per rilevare
a tal fine la più importante rete televisiva sarda, Videolina.
Sempre riferendosi all'oggetto delle sue attività, il Carboni
mi disse di essere in affari con il signor Berlusconi non solo con
riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo
a un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato "Olbia
2". Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie
attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva
operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi
e vari contatti con persone qualificate" (Testimonianza Pisanu
al pm Dell'Osso).
Poi Carboni ebbe vari guai giudiziari. Girò assegni del Banco
Ambrosiano agli usurai della Banda della Magliana. Subì arresti
e condanne. Ma almeno fino alla primavera 1982 restò in stretto
contatto con Giuseppe Pisanu che, mentre era sottosegretario al
Tesoro, si interessò attivamente della vicenda Calvi-Ambrosiano.
Nei mesi frenetici che precedono la scoperta della bancarotta dell'Ambrosiano
e la fuga all'estero di Calvi, Pisanu incontra Calvi per quattro
volte, sempre accompagnato da Carboni. L'ultimo appuntamento avviene
il 22 maggio 1982, quando Pisanu vola a Milano sull'aereo di Carboni.
Poi, il 6 giugno, il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune
interrogazioni sulla situazione della banca di Calvi, dopo che erano
ormai filtrate voci sulla drammatica crisi finanziaria che stava
attraversando. Pisanu risponde tranquillizzando: la situazione è
normale; il sottosegretario non accenna minimamente alla gravissima
situazione debitoria in cui versa il Banco Andino, controllato dall'Ambrosiano.
Alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, dichiarerà
Angelo Rizzoli: "A proposito dell'Andino, Calvi disse a me
e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento
l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso
Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni". Dopo lo
scandalo P2 e il crac Ambrosiano, nel gennaio 1983 Pisanu è
indotto a dimettersi da sottosegretario al Tesoro. "A causa
di fatti incontrovertibili", secondo una dichiarazione del
deputato radicale Massimo Teodori al Corriere della sera: "I
rapporti strettissimi e continuativi fra Pisanu e Carboni; i rapporti
di Pisanu con Calvi tramite Carboni; i rapporti di Pisanu con Calvi
e Carboni per la sistemazione del Corriere della sera; i rapporti
di Pisanu con Calvi e Carboni quando, sottosegretario al Tesoro,
il ministro prendeva importanti decisioni sull'Ambrosiano"
(Corriere della sera, 22 gennaio 1983).
Il 18 luglio 1982 Calvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra.
Pisanu, dopo le sue dimissioni, scomparve per molto tempo dalla
scena. Ricompare nel 1994, quando torna in Parlamento e diventa
vicecapogruppo dei deputati di Forza Italia: lasciata la Dc, si
è schierato con il partito di Berlusconi, ex socio d'affari
del suo protetto Carboni. E Berlusconi, nel 2001, pur di dargli
una poltrona da ministro, inventa il curioso dicastero dell'"Attuazione
del programma". Accanto, alle riunioni di governo, avrà
il più feroce dei suoi accusatori, ai tempi della vicenda
Calvi: Mirko Tremaglia.
Previti, Cesare
Deputato della Repubblica. Eletto a Roma. Avvocato personale di
Silvio Berlusconi, ha ereditato l'incarico professionale dal padre,
che aiutò il giovane Silvio a fondare la Fininvest, in un
turbine di strane società svizzere e di anonime fiduciarie.
È dunque uno dei consulenti che conoscono i segreti delle
origini di Berlusconi. Nato a Reggio Calabria 67 anni anni fa, crebbe
professionalmente nello studio del padre, a Roma. Pur non avendo
mai rinnegato le sue origini politiche neofasciste, nel 1994 Berlusconi
gli chiese di "scendere in campo" con Forza Italia e lui
accettò un posto al Senato prima e un ministero poi. Oggi
è imputato nel processo "toghe sporche", per aver
corrotto i giudici di Roma perché emettessero sentenze favorevoli
a Silvio Berlusconi e alla Fininvest. Cesare Previti ha rischiato
(come Amedeo Matacena e Gianni De Michelis) di non trovare posto
nelle liste di Forza Italia. Per lui però il Cavaliere alla
fine ha fatto un'eccezione, piazzandolo nel posto sicuro di capolista
di Forza Italia nel proporzionale in Calabria, oltre che nel collegio
uninominale di Roma Tomba di Nerone.
Salini, Rocco
Senatore della Repubblica. Eletto per la Casa delle libertà
in Abruzzo, nel collegio di Teramo. Presidente democristiano della
giunta regionale abruzzese nei primi anni Novanta, fu arrestato
(con l'intera giunta) nell'ambito di un'indagine giudiziaria sui
finanziamenti europei alla Regione. L'accusa: aver falsificato la
graduatoria per l'assegnazione dei fondi. Patteggiò una condanna
a 1 anno e 4 mesi. Poi, nel 1999, fu rieletto consigliere regionale,
nelle liste di Forza Italia (fu il candidato che ottenne il maggior
numero di voti nella regione Abruzzo, oltre 12 mila). Divenne vicepresidente
della giunta e assessore alla Sanità. Ma Salini, in quanto
condannato, era ineleggibile al Consiglio regionale e su questo
sta infatti decidendo il tribunale amministrativo regionale dell'Aquila,
che potrebbe anche decretare lo scioglimento dell'assemblea, rendendo
quindi necessarie nuove elezioni. Ineleggibile alla Regione, Salini
si è presentato al Senato, nel 2001, ed è stato eletto.
Selva, Gustavo
Deputato della Repubblica. Eletto nel collegio di Treviso. Ex democristiano,
oggi è esponente di An. Il suo nome compare negli elenchi
della loggia massonica P2: fascicolo 623, numero di tessera 1814,
data di iniziazione 26 gennaio 1978. All'epoca, Selva era direttore
del Gr2 Rai. Ha smentito di essere iscritto alla loggia. Sospeso
dalla Rai dal Consiglio d'amministrazione, ha presentato ricorso
al pretore del lavoro, che però lo ha respinto.
Scajola, Claudio
Deputato della Repubblica. Eletto in Liguria. Classe 1948, di Imperia,
democristiano nato in una famiglia democristiana. Il padre Ferdinando,
dirigente Inps, fu segretario della Dc locale e sindaco d'Imperia
fin dal 1952. Due anni dopo dovette dimettersi, perché travolto
da uno scandalo: il cognato aveva ottenuto il posto di primario
chirurgico nell'ospedale locale e si malignava che fosse stato aiutato
dal potente sindaco democristiano. Erano altri tempi, bastava niente
per costringere alle dimissioni. Ma la politica restò una
malattia di famiglia. Il testimone passò dapprima al figlio
maggiore, Alessandro, che divenne anch'egli sindaco d'Imperia nel
1972, poi ancora nel 1977, e nel 1979 fu eletto in Parlamento. Claudio
era il più piccolo dei tre figli del notabile dc. Ma venne
anche il suo momento. Aveva respirato aria democristiana fin dalla
culla: sua madrina di battesimo era stata Maria Romana De Gasperi,
figlia del grande capo della Dc. Già negli anni del liceo
e poi dell'università si era impegnato nel movimento giovanile
democristiano. Non è un teorico, ma un amministratore, un
organizzatore: diventa presidente dell'ospedale Novaro, poi dell'Unità
sanitaria locale; è anche segretario provinciale della Dc.
Nel 1982, a 34 anni, diventa sindaco d'Imperia, come il padre Ferdinando,
come il fratello Alessandro. È una festa, in famiglia. Peccato
che un anno dopo esploda lo scandalo dei casinò. È
il primo grande intreccio tra politica e affari in cui compare,
nel nord del Paese, lo zampino della mafia. La storia è complessa
e ancora oggi non svelata in tutte le sue pieghe, ma è semplice
nella sua essenza: si era saldato un triangolo, tra imprenditori
che puntavano a gestire le case da gioco, politici che concedevano
gli appalti per la gestione, ma volevano qualcosa in cambio, e mafiosi
che attorno ai casinò ronzano da sempre e che hanno ottimi
argomenti, finanziari e non solo, per arrivare al controllo del
business. Nella notte di giovedì11 novembre 1983 polizia,
carabinieri e guardia di finanza circondano e perquisiscono a tappeto
i casinò di Sanremo, Campione d'Italia, Saint Vincent e Venezia.
Gli arrestati sono una quarantina. Il "blitz di San Martino",
come verrà chiamato, convolge imprenditori, politici e boss
mafiosi, e azzera due gruppi dirigenti locali, gli amministratori
pubblici del Comune di Sanremo e della Valle d'Aosta. Che cosa era
successo, nei mesi precedenti? In Liguria si erano affrontati due
gruppi, che puntavano a conquistare la gestione del casinò
di Sanremo. Da una parte Michele Merlo, titolare della società
Sit, che aveva stretto accordi con i democristiani Osvaldo Vento,
sindaco di Sanremo, e Manfredo Manfredi, parlamentare d'Imperia.
Dall'altra il conte Giorgio Borletti, ultimo rampollo della famiglia
che a Milano aveva fondato la Rinascente, che era tornato dal Kenya,
aveva fondato la società Flower's paradise e per battere
Merlo e conquistare il casinò si era rivolto ai socialisti
milanesi Antonio Natali e Cesare Bensi. Per vincere, sia Merlo,
sia Borletti avevano messo mano al portafoglio. Erano state pagate
o programmate tangenti per 4 miliardi ("parte a Roma":
ma di questo non si è mai appurato niente). Dietro ciascuna
delle due cordate, poi, si muovevano, nell'ombra, altri personaggi:
il finanziatore di Merlo, per esempio, era Ilario Legnaro, uomo
legato ai clan catanesi di Nitto Santapaola e a Gaetano Corallo,
che aveva già messo le mani sul casinò di Campione;
quanto a Borletti, si era affidato a Lello Liguori, il re dei night,
il padrone del Covo di Nord-Est di Santa Margherita, che gli aveva
presentato alcuni "amici" come Angiolino Epaminonda detto
il Tebano, Salvatore Enea detto Robertino e Giuseppe Bono. Il primo
era il principe della "mala" a Milano, gli ultimi due
erano i boss delle "famiglie" palermitane al Nord. Bella
gara: da una parte la Sit, con democristiani e catanesi, dall'altra
la Flower's paradise, con socialisti e palermitani. Con queste formazioni,
naturali i ricatti, le minacce, il doppio gioco, i tradimenti...
Il sindaco Vento, interrogato dai magistrati dopo l'arresto, spiega:
nel partito, il metodo delle tangenti è stato accettato non
soltanto "per motivi economici, ma anche politici", perché
"chi non accettava il piano di corruzione di fatto si isolava",
"il dissenso avrebbe significato una vera e propria emarginazione".
In questo clima teso e confuso, si arriva alla gara, il 25 marzo
1983. I commissari nominati dai partiti aprono le due buste con
le offerte di canone al Comune per la gestione del casinò
di Sanremo. La Sit di Merlo offre 21 miliardi, la Flower's paradise
di Borletti 18 miliardi e 900 milioni. Destinata a vincere, a suon
di tangenti, era la Sit, ma evidentemente qualcuno all'ultimo momento
aveva fatto il furbo ed era passato dall'altra parte: la commissione
aveva stabilito che l'offerta non poteva superare i 20 miliardi
e 980 milioni, così la Sit è sconfitta perché,
in questo gioco miliardario, sfora il tetto per 20 miseri milioni...
Scoppia il finimondo. Tra i politici è tutto un accusarsi
a vicenda. Tra le due imprese invece comincia la guerra delle carte
bollate, con ricorsi in Giunta, al Tar, al Coreco, al Tribunale...
è in questa baraonda che fa la sua comparsa sulla scena Claudio
Scajola, sindaco di Imperia ed esponente autorevole della Dc provinciale.
Il 20 maggio 1983 si reca, con il collega di Sanremo Osvaldo Vento,
a un incontro segreto con Borletti, a Bourg Saint Pierre, in Svizzera.
È Vento, che stava trattando con entrambi i contendenti,
a chiedere a Borletti di poterlo incontrare, "in modo riservato",
insieme a un altro politico, "in un clima di sospetto e di
timore che potesse essere violata la segretezza", scrive il
magistrato. Borletti accetta. L'incontro avviene in un ristorante.
Dopo il blitz di San Martino, il conte racconterà che "i
due politici sostanzialmente gli comunicarono che subito dopo le
elezioni avrebbe ottenuto la casa da gioco", ma "ad alcune
condizioni": la prima, che "la gestione fosse improntata
a criteri di imparzialità nei confronti delle forze politiche
e quindi senza etichette socialiste"; la seconda, che "venisse
compiuto un "gesto"che potesse controbilanciare l'offerta
fatta dal Merlo a favore degli sfrattati" (Merlo aveva offerto
al Comune di Sanremo centinaia di milioni per dare un'abitazione
ad alcune famiglie restate senza casa); terzo, che venisse pagata
una tangente di 50 milioni. Borletti riferisce subito tutto al suo
avvocato Pier Giusto Jaeger e ad altre due persone (Lorenzo Acquarone
e Sergio Carpinelli). Quando i magistrati di Milano cominciano a
indagare sui casinò, Borletti racconta dell'incontro e i
tre confermano. Ecco allora che anche Scajola viene arrestato. Nella
loro requisitoria, i pubblici ministeri Corrado Carnevali e Marco
Maiga scrivono: "Sono stati raccolti elementi sufficienti per
giustificare e imporre il rinvio a giudizio dei due prevenuti (cioè
Vento e Scajola, ndr). A loro carico vi sono le dichiarazioni precise
e dettagliate della parte offesa (Borletti, ndr), inequivoche nella
loro portata accusatoria; le stesse dichiarazioni hanno trovato
conferma in numerose testimonianze (Lorenzo Acquarone, Sergio Carpinelli,
Pier Giusto Jaeger)". E ancora: "Benché l'imputato
Scajola abbia recisamente respinto l'addebito, sostenendo che la
richiesta oggetto di contestazione non venne mai avanzata nel corso
della conversazione, (...) le sostanziali ammissioni sul punto del
Vento (...) devono debbono ritenersi determinanti in ordine all'effettiva
sussistenza del reato, di cui sono presenti gli elementi costitutivi
tutti. La presenza dello Scajola nel particolare contesto, (...)
l'avere il Borletti, nelle confidenze effettuate ai testi di cui
sopra si è detto, riferito l'indebita richiesta a lui avanzata
ad entrambi i pubblici amministratori presenti nell'occorso, devono
essere ritenute circostanze sufficienti perché lo stesso
Scajola sia chiamato a rispondere del reato a titolo di concorso
morale nel medesimo".
Il giudice istruttore Paolo Arbasino, ricevute le richieste del
pubblico ministero, non ritiene invece che gli elementi a carico
di Scajola siano sufficienti per un rinvio a giudizio e il 31 gennaio
1989 lo proscioglie. Scajola aveva spiegato di essere andato all'incontro
con Borletti, ma soltanto per capire la situazione, che era alquanto
confusa. Aveva confermato di aver posto il problema della "gestione
imparziale"(cioè non filo-socialista) del casinò,
ma aveva ribadito di non aver chiesto, né sentito chiedere,
alcuna tangente.
Per la cronaca: la guerra per il casinò di Sanremo finisce
con un accordo tra le due cordate che prevede il ritiro di Borletti,
in cambio di 1 miliardo e 900 milioni subito, più 4 miliardi
in seguito, a grosse rate mensili. Il processo per lo scandalo dei
casinò termina invece con molte condanne definitive, che
confermano nella sostanza l'impianto accusatorio.
E Claudio Scajola? Ritorna subito a fare politica. Torna a sedere
sulla poltrona di sindaco nel 1990, sempre sotto le bandiere della
sua Dc. Nel 1995 ci riprova, ma intanto la Dc si è dissolta
in cento rivoli. Mette in piedi una lista fai-da-te, "Amministrare
Imperia", che si scontra con una lista dell'Ulivo e una del
Polo. Nella foga della campagna elettorale, degli avversari di Forza
Italia e An dice: "Sono soltanto dei fascisti". Vince
il centrosinistra. Ma l'anno dopo, nell'aprile 1996, mostra di essersi
ricreduto: si candida alla Camera per Forza Italia e viene eletto.
Amministratore tenace, organizzatore efficiente, democristiano a
24 carati, si fa subito notare da Silvio Berlusconi, che gli affida
un compito impegnativo: costruire il partito. Nominato coordinatore
nazionale di Forza Italia, lavora sodo. Trasforma il "partito
di plastica" in un partito vero. Come premio, Berlusconi gli
affida il più delicato dei ministeri, quello dell'Interno:
con Scajola, al Viminale torna un democristiano doc, uno della tempra
dei Taviani, Scelba, Restivo... Scajola, per i suoi trascorsi è,
effettivamente, un esperto del ramo. A Genova, però, non
lo dimostra: responsabile dell'ordine pubblico al G8, sbaglia tutto.
Sodano, Calogero
Senatore della Repubblica. Eletto ad Agrigento. Membro del Ccd,
è stato sindaco di Agrigento. Nell'aprile 2001 ha subito
una condanna in primo grado a 1 anno e mezzo di reclusione per avere
permesso l'abusivismo edilizio in cambio di vantaggi elettorali.
Con Sodano sono stati condannati a un anno di reclusione anche alcuni
suoi ex assessori. Gli imputati, secondo l'accusa, non avrebbero
posto in essere né provvedimenti né iniziative per
bloccare l'abusivismo edilizio tra il 1991 e il 1998, non solo nella
Valle dei Templi, ma in tutta la città.
Urbani, Giuliano
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio
di Vimercate. E' un professore, Giuliano Urbani, docente di Scienza
politica all'università Bocconi. Nel 1985 è tra i
fondatori del circolo Società civile di Milano. Nel 1994
la sua critica della vecchia politica si acquieta nel nuovo partito
di Silvio Berlusconi: partecipa addirittura alla formazione di Forza
Italia, in cui confluisce la sua Associazione per il Buon Governo.
Berlusconi lo premia con una candidatura in Parlamento, in cui entra
nel 1994. Subito dopo lo chiama a reggere il ministero della Funzione
pubblica. Oggi, nel secondo governo Berlusconi, è ministro
dei Beni culturali, un po' infastidito dal protagonismo del suo
sottosegretario Vittorio Sgarbi. Parallelamente alla politica, Urbani
ha mantenuto una attività professionale: è stato a
lungo, per esempio, presidente di Domina, una delle società
del finanziere Ernesto Preatoni. Soprannominato "il raider
di Garbagnate", Preatoni era stato per anni oggetto di indagini
da parte della magistratura italiana e della Consob, l'autorità
di controllo della Borsa. Gli innumerevoli procedimenti giudiziari
aperti sulle sue attività finanziarie non erano mai riusciti
ad approdare a una condanna, ma Preatoni aveva comunque pensato
di cambiare aria, trasferendo i suoi affari prima in Islanda e poi
in Estonia, diventata, come tutto l'Est europeo dopo la caduta del
comunismo, un paradiso per le scorribande finanziarie. La sua holding
finanziaria e immobiliare era diventata la Pro Kapital, con sede
a Tallin, in Estonia. La società italiana Domina aveva però
continuato a controllare le attività turistiche del gruppo,
tra cui un noto villaggio a Sharm el-Sheik. Centro dell'impero di
Preatoni resta la Peak Mount Corporation, con sede nella inespugnabile
(ai giudici) Vaduz. Urbani, stretto collaboratori di Berlusconi,
è rimasto presidente della Domina almeno fino a poco tempo
fa. "Conosco Urbani da tempo", ha dichiarato Preatoni
al Corriere della sera il 9 agosto 2001, "ma di recente ha
dato le dimissioni dal suo incarico in Domina". Quanto di recente,
onorevole deputato e signor ministro? Ai primi d'agosto era circolata
la notizia che la Borsa estone aveva deciso di sospendere dal listino
la Pro Kapital: gli affari di Preatoni sono troppo poco trasparenti
anche per l'Estonia, ma evidentemente non lo erano per il poco avveduto
Urbani.
Verdini, Denis
Deputato della Repubblica. Eletto nel proporzionale, a Firenze,
nelle liste di Forza Italia. A Firenze lo chiamano il Berlusconi
della Toscana. Presidente della banca Credito cooperativo fiorentino,
dopo un'ispezione della Banca d'Italia nel suo istituto, è
stato indagato per falso in bilancio. È editore del Giornale
della Toscana e possiede quote del Foglio di Giuliano Ferrara. Il
pubblico ministero di Firenze ha chiesto per Verdini anche un rinvio
a giudizio per violenza sessuale: sarebbe saltato addosso, nel suo
ufficio, a una signora che andava a chiedergli di ottenere un prestito
dalla sua banca.
Verro, Antonio
Deputato della Repubblica. Eletto in Lombardia, nel collegio di
Cremona. Esponente di Comunione e liberazione, vicino alla Compagnia
delle opere. E' stato candidato dopo essere stato coinvolto nell'inchiesta
giudiziaria sulla cascina San Bernardo di Milano. Da assessore al
Comune di Milano, insieme al collega Maurizio Lupi, aveva fatto
approvare una concessione per far diventare la cascina un centro
polivalente con finalità sociali. Poi, con un repentino cambio
di marcia, la cascina era stata trasformata in una struttura sanitaria
privata da 20 posti, naturalmente affidata agli amici della Compagnia
delle opere. Subito dopo l'elezione alla Camera, come prevedibile,
è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per truffa e
falso.
Vito, Alfredo
Deputato della Repubblica. Eletto in Campania. Noto ai bei tempi
della Prima Repubblica come "Mister centomila preferenze"
della Democrazia cristiana, ora è parlamentare della Casa
delle libertà. Ex impiegato dell'Enel, si buttò in
politica, nella Dc, con grande impegno. Si dice che nel suo ufficio
elettorale riuscisse a ricevere più di 200 persone al giorno.
Il soprannome se lo guadagnò con i risultati elettorali conseguiti
nel 1985, 1987 e 1992: fu eletto prima al Consiglio regionale della
Campania (con 120 mila voti), poi alla Camera dei deputati (con
160 mila voti) e infine di nuovo al Parlamento (con 104 mila preferenze).
Poi arrivò Mani pulite: fu indagato, arrestato e processato
per tangenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli chiese
al Parlamento l'autorizzazione a procedere contro di lui anche per
concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, sospettando
suoi rapporti con la Camorra. Alfredo Vito indossò allora
il saio del pentimento: "Torno alla mia famiglia; con la politica
ho chiuso". Scrisse: "Lascio il mio vecchio partito, la
Dc, e invito tutti i parlamentari inquisiti a seguire il mio esempio:
fatevi da parte, perché solo così si potrà
procedere al rinnovamento dei partiti e della classe politica".
Patteggiò una condanna e restituì più di 4
miliardi di lire. Sono stati impiegati per costruire un parco pubblico
alla periferia di Napoli, ribattezzato dalla fantasia popolare "Parco
Mazzetta". Ma non ha mantenuto la promessa di stare lontano
dalla politica: ha riallacciato i contatti di un tempo, ha riaperto
un ufficio a Roma ed è tornato alla carica con la Nuova democrazia
cristiana (fondata nel 2000 insieme con Flaminio Piccoli). Nel 2001
è stato accolto a braccia aperte nella Casa delle libertà,
che lo ha portato in Parlamento.
Vizzini, Carlo
Senatore della Repubblica. Eletto in Sicilia. Palermitano, ex segretario
del Psdi, cinque volte deputato (la prima a soli 28 anni), tre volte
ministro, è stato responsabile tra l'altro del dicastero
delle Poste e di quello della Marina. Nel 1993 è rimasto
coinvolto nello scandalo Enimont con l'accusa di aver ricevuto un
finanziamento illecito di 300 milioni. Condannato in primo grado,
in appello strappa una prescrizione. Fu assolto dal Tribunale dei
ministri anche dall'accusa di aver ricevuto mazzette mentre era
al ministero delle Poste. Giovanni Brusca ha incluso il suo nome
nella lista di politici che la mafia voleva far fuori dopo le stragi
di Capaci e via D'Amelio. Nel giugno del 1999 Vizzini, amico di
Silvio Berlusconi e di Marcello Dell'Utri, è entrato nel
Consiglio di presidenza di Forza Italia. Nel 2001 ha vinto il confronto
elettorale nel collegio senatoriale di Palermo centro.
|