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articolo tratto da "l'Unità" del 28.05.2002
 
"Sono arrivati, hanno firmato e appena hanno potuto hanno abbandonato alla svelta uno dei più bizzarri vertici cui prenderanno mai parte. L'apparato scenico della firma era un anfiteatro romano in falso stile Disney".

Stephen Castle, The Indipendent, 28 maggio


 

 

 








 
Sorrisi e imbarazzo tra i grandi della terra nella Disneyland di Berlusconi

 

 

 

di Marcella Ciarnelli

PRATICA DI MARE (Roma) - Stanco ma felice. Come uno sposino al termine della cerimonia. Questa è la sensazione che prevale nel Silvio Berlusconi, gran ciambellano del vertice di Pratica di Mare, che se ne torna a Palazzo Chigi dopo aver celebrato, nella base area a pochi chilometri da Roma «un matrimonio fantastico per la storia e la sicurezza del mondo». E che, messi in archivio i fasti mondiali, deve tornare a fare i conti con le cose italiane, a cominciare dalle pesanti vicende della Fiat. Ma per lui, comunque, «oggi la storia volta pagina».

La cittadella, costruita in una ventina di giorni, comincia ad essere smantellata. Al premier dispiace. Era venuta bene. Lui è un perfezionista e se ha un sogno nel cassetto è quello di organizzare eventi. Ha molto temuto che a rovinargli la festa provvedesse il temporale che l'altra notte ha imperversato per ore su Roma. «Ho pregato perché non accadesse nulla. L'unica cosa che non avevo verificato era la tenuta dei tetti» confessa ora che sul borgo splende un sole che abbaglia e che lui mostra agli ospiti come una componente prevista anche quella della scenografia, che ricorda molto da vicino quella messa su per gli opulenti matrimoni di chi si può consentire di non badare a spese.

Tendoni bianchi e poltroncine di vimini. Prato a metraggio incollato con cura maniacale. Centinaia di pulmini di servizio e di automobili. Solo gli americani ne hanno usato una cinquantina. Catering a pieno ritmo per giornalisti e seguito. Ai capi di stato e di governo toccheranno le solite «pennette tricolore», ormai piatto forte dei pranzi ufficiali, ieri servite mentre le gloriose frecce tricolore dell'aeronautica militare solcavano il cielo. Applausi dei grandi per il cuoco Michele e per i piloti.

È cominciata molto presto la giornata che Silvio Berlusconi ha detto ricorderà «come una delle più belle della mia vita». Con lord George Robertson, segretario generale della Nato che il premier ha più volte chiamato Robinson, e che si è visto omaggiare di un «che bella cravatta», un must del manuale berlusconiano dei perfetti rapporti umani, ha accolto all'ingresso della base gli ospiti. Preoccupandosi di tutto.

Compreso la posizione dei fotografi. «Aspettami qui» ha detto allo sbalordito lord e ha cominciato a far indietreggiare il nutrito drappello di fotoreporter e cineoperatori finché non ha ritenuto fossero nella giusta postazione. La cerimonia può cominciare. Ma la goffaggine ha continuato a giocare brutti scherzi. E così, oltre a storpiare in nome di Robertson, il premier nel corso della giornata ha confuso i Balcani con il Baltico, ha ostinatamente menzionato gli Urali accentando la U, e, parlando della storia del sito scelto per il summit, ha raccontato un'altra volta, la quarta in tre giorni «di Enea che arrivò qui e, con Lavinia, dette inizio alla dinastia con Giulio» che invece era Ascanio, «da cui nacquero Romolo e Remolo». Lo scivolone sillabico per un attimo, invece dei sette re di Roma, fa tornare in mente i sette nani.

Non sta nella pelle il premier. Eccoli, attorno al tavolo, i venti che stanno contribuendo a far sì che «l'Occidente vada dagli Stati Uniti agli Urali». Usando un artificio retorico dice di aver spiegato così ai suoi figli che gli chiedevano quali fossero le finalità del vertice: «Noi tutti vogliamo fare di questo secolo quello della democrazia e della pace» portandole in paesi che non le conoscono. «Se dovessimo chiuderci nella nostra fortezza occidentale non avremmo conseguito lo scopo vero che dobbiamo perseguire, perché la libertà sfiorirebbe. Noi dobbiamo essere portatori di democrazia e libertà per tutti i popoli» e costituire un «circolo della democrazia e della pace» capace di opporsi al nuovo nemico in agguato «il terrorismo internazionale».

Porte aperte, dunque a Putin. Ed un grazie sentito all'uomo venuto da Mosca ed al presidente americano, «a Vladimr e a George» per il raggiungimento dell'accordo che i venti si accingono a firmare, tanto più che i due non si sono presentati a mani vuote «ma con l'accordo per la riduzione dei due terzi delle testate nucleari». Un gran sorriso del presidente americano saluta l'affermazione. Non muove un muscolo del viso Putin, definito «un sincero liberale» nel tentativo di metterlo di buon umore e che invece poco parteciperà, nell'intera giornata, al clima festaiolo che Berlusconi ha imposto all'incontro ma gli altri mostrano di gradire poco. Chirac, distaccato, commenta l'impegno «des Italiens» ma evita le pacche. Schröder al Berlusconi padrone di tv che voleva acquisire il gruppo Kirch dice «ti sei perso davvero poco». L'ex agente del Kgb sceglie di restare impassibile. L'espressione resta distaccata anche durante la conferenza stampa conclusiva a tre, con Robertson e Berlusconi, che non ha esitato a entrare a gamba tesa, ad interromperlo, temendo di non riuscire a dire la sua, visto che fino a quel momento per lui non c'erano state domande, sui nuovi rapporti tra Russia e Usa. «Non c'è nessuna gelosia -afferma Berlusconi- anzi noi con realismo vogliamo far sì che questi diventino sempre più stretti». Rivendica il suo ruolo, il premier italiano. Di Mago Merlino dell'intesa. Con una serie interminabile di io, ricorda di quando, a Genova, poco meno di un anno fa, durante il G8 favorì il primo incontro tra i due presidenti. Si accaparra una parte del merito dell'accordo sulle armi nucleari. «Il consiglio che si è svolto qui oggi lo abbiamo favorito noi» ricorda a chi lo avesse dimenticato. «E, sempre oggi, io ho sollevato il problema dello smaltimento di ciò che rimane degli arsenali chimici, biologici e dei sottomarini nucleari della vecchia Unione Sovietica». Magari con l'aiuto economico degli altri partner. «Ed io ho anche proposto a Putin che, incontrando i leader di Pakistan e India, proponga loro la mediazione di tutti gli stati della Nato».

La firma solenne viene apposta a mezzogiorno e mezzo. Con brivido. Perché Putin propone di chiamare il Consiglio dei 20 «Casa dei Soviet» e Robertson, tra il serio e il faceto, chiede che sia messo a verbale che si tratta di una battuta. Poi la giornata scorre via veloce. Pranzo, incontri bilaterali, chiacchiere, complimenti obbligati. I problemi vengono rimandati ad altri incontri. Poi tutti a casa. Come bomboniere i Grandi che hanno partecipato al matrimonio tra Oriente e Occidente si portano via penne Aurora e orologi di marca. Sull'Air Force One viene caricata anche una statua destinata a Bush padre. Un busto di donna comprato da Berlusconi per venticinque milioni in un negozio di via dei Coronari.

   

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