|
di
Ezio Mauro
LA DISPERAZIONE che stringe
alla gola Silvio Berlusconi lo ha portato ieri, poco dopo la condanna
di Cesare Previti ad 11 anni per corruzione di magistrati, a compiere
un atto apertamente eversivo. Una dichiarazione politica che accusa
i magistrati di golpismo, denuncia una trama che vuole rovesciare
il governo per via giudiziaria e proclama una ribellione contro
la sentenza di Milano: schierando così il Primo Ministro
italiano dalla parte dei corruttori condannati e contro i Tribunali
della Repubblica, avvertendoli: adesso ripristinerò il sistema
di immunità e risolverò la politicizzazione della
magistratura.
Tutto questo è accaduto
mentre i giornali e le agenzie straniere diffondevano nel mondo
la notizia che "uno stretto amico e alleato del primo ministro
italiano Silvio Berlusconi è stato condannato per corruzione
di magistrati in due battaglie di corporate takeover". Nel
Paese rovesciato in cui viviamo, il Capo del governo non sta dalla
parte della giustizia, amministrata dai Tribunali per conto dello
Stato e nel nome del popolo italiano, ma sta a fianco dei condannati
che hanno violato la legge con un reato gravissimo, deformando insieme,
con la loro condotta, la giurisdizione dello Stato e la democrazia
economica. Che sia l'impudenza del potere, a dettare questi comportamenti,
o la disperazione della politica, poco importa ai cittadini. È
un gesto gravissimo, prima di tutto perché travolge la separazione
e l'equilibrio tra i poteri dello Stato, con il giudiziario pesantemente
e apertamente minacciato dall'esecutivo subito dopo una sentenza,
attraverso la ritorsione immediata ed esplicita del presidente del
Consiglio.
E infatti ieri si sono mossi
tutti i membri togati del Csm, per difendere i giudici di Milano
dagli attacchi del premier, mentre il vicepresidente Rognoni - immaginiamo
dopo una consultazione con Ciampi, che non potrà non intervenire
personalmente - ha denunciato la delegittimazione dell'attività
giudiziaria, attraverso una contrapposizione "patologica"
tra i poteri.
Ma c'è a nostro parere
un limite in più, anche nel mondo senza limiti del berlusconismo,
che è stato violato in queste ore, e riguarda l'autonomia
dello Stato, la separazione tra la cosa pubblica e i destini individuali
dei governanti pro tempore.
In un gesto inconsulto e
tuttavia per lui inevitabile e naturale, il Capo del governo ha
trascinato il nostro Stato dalla parte dei malfattori, in un sentimento
istintivo di arditismo verbale e di sacrilegio democratico che rovescia
i parametri e le norme su cui si regge la convivenza civile in uno
Stato moderno. È qualcosa di eversivo, una sorta di congiura
dei dannati che affonda la sua forza nel peggio, esaltando il disordine,
la devianza e la licenza come elementi creatori di un nuovo ordine,
contro ogni maestà delle istituzioni, ogni autorità
dei valori, ogni rispetto delle regole. Un impasto di istinto cieco
di sopravvivenza, quasi rivoluzionario, e di una cultura politica
terribile che ricorda quell'"empia audacia" di cui parlava
negli Anni '30 Roger Caillois e che speravamo di non dover vedere
mai all'opera in Italia: "Chi vuole comandare gli uomini deve
aver sconfitto gli dei, e non con la preghiera ma con la forza".
Perché "nulla rende sacro come un grande sacrilegio,
come la violazione solenne degli interdetti che sospende il castigo"
e pone il sacrilego "al di sopra dei comuni mortali, votandolo
ad una fatalità regale".
La destra che governa l'Italia è dunque fatta con l'impasto
della peggior destra, e oggi ne sta dando prova. Berlusconi tenta
addirittura una rilettura tecnicamente rivoluzionaria degli ultimi
dieci anni italiani, immaginando una congiura giustizialista nata
nell'aprile del 1993, e collegando se stesso a Bettino Craxi come
vittime di un golpismo organizzato dai "comunisti" diessini,
dal "partito giustizialista" e naturalmente da Repubblica,
la sua ossessione. Eugenio Scalfari e i suoi articoli del '93 sono
usati come i pifferai magici di un'operazione antidemocratica che
secondo Berlusconi dura tuttora e punta a scalzare il suo governo.
L'attacco a Repubblica e al suo fondatore non stupisce. Nell'afasia
italiana, e di fronte all'egemonia culturale del Caf allora, del
Polo oggi, questo giornale rappresenta semplicemente un'idea diversa
dell'Italia, un'idea non riducibile al berlusconismo, una difesa
dello Stato di diritto e delle istituzioni democratiche. Per questo
Berlusconi lo mette al centro di un disegno costruito dalla sua
disperazione, che assegna al Cavaliere il ruolo rivoluzionario di
unica forza sana, sempre vincente, sempre con il favore del popolo
(e per questo si tace accuratamente la sconfitta del '96 da parte
di Romano Prodi), costretto a combattere ieri come oggi contro i
golpisti che vogliono fermarlo. Uno schema che sarebbe ridicolo,
e folle, se non fosse l'incubazione di un progetto di ribellione
organizzata davanti al corso istituzionale degli eventi. La formula
è inedita e terribile: la definirei una specie di "ribellione
della maggioranza", impaurita e spaventosa insieme, pronta
a tutto pur di mantenere il potere.
Vorrei dire che non è
un caso se questo accade sul terreno della giustizia, che è
il cerchio magico del mistero berlusconiano, e attorno alla figura
prima onnipotente e ormai politicamente maledetta di Cesare Previti,
che è lo stregone custode di quel mistero. Uno stregone che
ha celebrato in pubblico per anni il rito di un potere basato sulla
licenza e sugli eccessi e che oggi vede il fuoco del suo sortilegio
ormai spento, ma con fumi e ceneri di cui lui e il Cavaliere conoscono
bene significati occulti e potenza palese.
Il caso del "lodo"
è esemplare, quanto a sortilegi, perché parla da solo:
con una provvigione di denaro occulto che parte dai conti esteri
intestati alla Fininvest, Previti organizzò un sistema di
corruzione che portò nel '91 la Corte d'Appello di Roma ad
annullare un lodo arbitrale in base al quale il controllo della
Mondadori era stato assegnato alla Cir di Carlo De Benedetti. Quella
sentenza è stata pilotata, quel pronunciamento è stato
comprato, quella battaglia imprenditoriale è stata vinta
illegalmente, con la frode e attraverso la corruzione.
Silvio Berlusconi, padrone
della Fininvest, era imputato insieme con le persone ieri condannate,
ed è uscito dalla vicenda giudiziaria grazie alla prescrizione.
Dunque penalmente è al riparo. Ma la provvista di soldi per
la corruzione dei magistrati, in modo da piegare la sentenza a favore
della Fininvest, secondo il Tribunale di Milano viene dalla All
Iberian, il cui beneficiario era proprio il Gruppo Fininvest. E
il risultato della sentenza pilotata e comprata, cioè la
sua ricaduta imprenditoriale, economica, editoriale, di potere,
è andato a indubbio ed esclusivo vantaggio di Silvio Berlusconi.
Queste due circostanze accertate da un Tribunale della Repubblica
avrebbero dovuto consigliare da sole, per decenza e per prudenza,
all'imprenditore Berlusconi di tacere. Quanto al presidente del
Consiglio Berlusconi, lui no, lui doveva parlare, ma per dire il
contrario di quanto ha detto. Per testimoniare il suo imbarazzo
agli italiani, per spiegare magari balbettando, ma con parole finalmente
sincere, ciò che può spiegare di una storia scandalosa,
per chiedere scusa, per prendere le distanze da Previti se può
farlo, per assicurare infine che scendendo in politica ha abbandonato
per sempre quei metodi: e dunque si augura nell'interesse della
giustizia e per sua personale trasparenza, che la giustizia vada
avanti celermente in appello, e componga una triste vicenda.
Tutto ciò Berlusconi
non lo farà mai, e c'è una ragione. Perché
questa sentenza, dimostrando e condannando la forma fraudolenta
con cui fu ottenuta la proprietà di una grande azienda, colpisce
al cuore l'identità imprenditoriale di Berlusconi, quella
sovrastruttura pre-politica attraverso la quale il Cavaliere è
potuto scendere in campo e conquistare una parte rilevante del suo
consenso: presentandosi cioè come l'imprenditore puro, capace
di rimettere in piedi l'Italia e i suoi conti dopo aver creato e
conquistato aziende, spazzato via i concorrenti, dominato il campo
con la sua purissima energia industriale. Solo che quell'identità
imprenditoriale risulta oggi bacata, minata alla base. E dunque,
il presidente-imprenditore deve fare i conti con quel sistema di
corruzione a cui la Fininvest ha concorso e da cui ha tratto beneficio,
e che lui non poteva naturalmente non conoscere, come dimostra anche
lo strettissimo legame, l'amicizia personale che lo lega a Cesare
Previti.
E da qui, nasce un'altra
domanda. Conoscendo quel che conosceva, sapendo ciò che era
successo e che il Tribunale adesso ha sanzionato, come ha potuto
Silvio Berlusconi, l'uomo che è sceso in campo perché
"ama il suo Paese", pensare nel '94 di proporre proprio
Previti come ministro Guardasigilli, cioè alla testa della
giustizia italiana?
Sono queste le domande a
cui Berlusconi non potrà mai rispondere: né sulle
piazze, né sui giornali, neppure a "Porta a Porta".
Piuttosto, parla di persecuzione, di giudici politicizzati. Ma questo
processo riguarda reati tutti commessi ben prima che il Cavaliere
scendesse in campo, dunque la politica non c'entra. Quanto alla
persecuzione, il lodo Mondadori è del '91, la sentenza che
riconosce la corruzione arriva oggi, dodici anni dopo, al termine
di 6 anni di inchiesta e ben 3 di pubblico processo, durante il
quale la difesa ha potuto giocare tutte le carte giudiziarie e anche
molte extragiudiziarie. Per la prima volta nella storia della Repubblica
sono state costruite norme ad personam, provvedimenti ad hoc, si
è cioè deformata la giurisdizione, sono stati manomessi
alcuni istituti, si è intervenuti su trattati internazionali
per costruire appositamente e fisicamente una qualsivoglia forma
di salvacondotto. Questo processo è diventato qualcosa di
improprio, con il governo, la maggioranza parlamentare, il presidente
del Consiglio che alzavano quotidianamente la loro ombra dietro
la figura dell'imputato Previti, pronti a trasformare in legge nelle
Camere le tesi che i difensori avanzavano in aula, appena il Tribunale
le respingeva.
Il sistema di garanzie è
stato dunque dispiegato pienamente, e certo in misura enormemente
superiore a quanto avviene per un normale cittadino. Ad un certo
punto, abbiamo vissuto il paradosso drammatico in cui lo Stato era
schierato e in forma gladiatoria con un imputato, nell'aula in cui
un Tribunale doveva amministrare la giustizia per conto dello Stato.
Non sono mancate le intimidazioni, le accuse gravissime ai magistrati.
Che però hanno portato il loro compito fissato dalla legge
fino alla fine.
Questo è ciò
che conta, in uno Stato di diritto. Voglio dirlo con chiarezza ai
lettori. Nel caso del "lodo", com'è noto, il gruppo
editoriale Espresso-Repubblica subì un danno rilevantissimo,
perché fu spogliato fraudolentemente del possesso della Mondadori.
Ma nel giudizio che oggi diamo della vicenda, più della soddisfazione
per il ristabilimento della verità dei fatti conta la conferma
venuta da Milano che in Italia la legge è ancora uguale per
tutti. Non perché c'è stata una condanna: ma perché
c'è stata una sentenza, che Previti e Berlusconi hanno fatto
di tutto per evitare e scongiurare, costruendo una sorta di immunità
politica con le loro mani, che avrebbe colpito a morte lo Stato
di diritto.
Ora, regolato il caso giudiziario,
resta aperto il caso morale e politico. Non ci interessa nessuna
speculazione, basta la verità: e avanza. La lezione è
chiara. Saperla leggere tocca a Berlusconi, è affar suo,
e la ferocia della reazione di ieri dimostra che ha capito per chi
suona la campana. Qualcuno dovrà fermarlo, consigliandogli
di interrompere questo duello eterno col paese che dovrebbe invece
governare. È facile prevedere, al contrario, che il Cavaliere
finirà prigioniero dell'incendio istituzionale che ha appiccato.
E purtroppo, trascinerà lo Stato dentro quel cerchio previtiano
di fuoco che lo circonda in eterno. |