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articolo tratto da l'Unità del 14 gennaio 2002
 
L'Europa di Berlusconi

 

 

 

L'Europa di Berlusconi: ellenistica e romana, dunque cristiana.
di Gianni Marsilli

Eppure un paio di cose le ha dette, Silvio Berlusconi, nel suo slalom europeo tutto teso ad evitare di spiegare perché diamine Renato Ruggiero se ne sìa tornato a casa. Non ha detto se alla moneta unica vuole affiancare un governo europeo dell’economia, questo no. Non ha detto neanche se avverte o meno la necessità di una politica comune estera e di sicurezza. Non ha detto se il prossimo allargamento gli vada o meno a genio, né ha detto alcunché sui suoi tempi e sui suoi modi. Ma un paio di cose le ha dette, ed è bene esserne consapevoli. E’ cosa nota che il premier italiano tiene moltissimo a che il processo costituzionale europeo, che inizierà in marzo con i lavori della Convenzione presieduta da Giscard d’Estaing, si concluda nel secondo semestre del 2003, quando la presidenza sarà italiana. Berlusconi sa che l’avvenimento sarà di storica portata, e intende esserne la madrina trionfale e sorridente. Ieri ci ha fatto ufficialmente sapere che intende anche imprimere il marchio italiano alla futura Costituzione europea. Più che un segno politico, sarà un sigillo papale. La Costituzione dovrà disegnare un’Europa «naturalmente laica, ma la vera laicità, come insegna il meglio della nostra storia nazionale, sta nel riconoscere...la tradizione cristiana nella vita della società e quindi il posto eminente delle chiese...la religione insomma non è e non può essere soltanto un eccetera». Esattamente come ha recentemente suggerito il Papa e prima di lui Francesco Cossiga: che la Costituzione europea ricordi esplicitamente le radici cristiane dell’Europa. A Cossiga aveva già risposto il premier francese Jospin ricordando il carattere laico dello Stato francese, e quindi la difficoltà di far sua una Costituzione che parli di religione oltreché di regole. La diatriba era poi degenerata. Cossiga aveva dato dell’«ignorante» e del «fazioso» al premier francese, il quale aveva definito «oltraggiose» le sue precedenti dichiarazioni. Adesso sappiamo che Berlusconi la pensa esattamente come Cossiga. Il presidente del Consiglio italiano non ha preso per buono neanche il ragionato avvertimento che dalle colonne del Corriere della Sera (11/1/02) gli aveva inviato Sergio Romano: «...sarei amareggiato ma non sorpreso se i candidati cominciassero a invocare fra qualche anno, nei loro discorsi elettorali, le radici “giudeo-cristiane-islamiche” dell’Europa...le Costituzioni non dovrebbero essere documenti filosofici». Il problema ovviamente non sta nel disconoscere le radici cristiane dell’Europa. Ma nell’opportunità di imprimere un simile timbro di esclusività, per quanto incontestabile, ad un sistema di regole di convivenza futura. Berlusconi lo vuole, da ieri è chiaro. E per volerlo ha scomodato parole forti: «Esiste per noi, come italiani, una certa religione dell’Europa: la convinzione che il suo fondamento ultimo non nasce dalla politica ma dal cristianesimo, che fuse ellenismo e romanità». Capperi, erano settant’anni che non si sentivano simili involate. O meglio da tre mesi. Da quando a Berlino parlò di «civiltà superiore», e mise in crisi la coalizione antiterrorista. C’è da giurare che ieri sera gli omologhi europei di Berlusconi avevano il sopracciglio più inarcato del solito.
Ma dovevano avere l’aria preoccupata anche i capi dei governi polacco, ungherese, sloveno e così via andando verso est. L’entrata di questi paesi nell’Unione europea ha una premessa: che si cambi la regola dell’unanimità nelle decisioni del Consiglio. In altre parole che si limiti al massimo il diritto di veto. Che si possano compiere scelte a maggioranza qualificata, pena la paralisi in un’Unione a 25 o 30. Su questo punto «tecnico» ma delicatissimo Berlusconi è stato di eloquente prudenza, come prima di lui era stato Giulio Tremonti. Per lui tutto è prematuro. Non si può «mettere il carro davanti ai buoi». Non si può dire «se debba scomparire o modificarsi la regola dell’unanimità». Malgrado fior di documenti del Partito popolare europeo auspichino l’uso più ampio possibile della maggioranza qualificata. Gliel’ha ricordato Piero Fassino: con questo atteggiamento le sessantamila imprese italiane che già operano nell’est europeo avranno vita dura. Così come avrà vita dura quell’idea «degasperiana» dell’Europa, così politica, alla quale Berlusconi si è continuamente richiamato. Smentendosi rigo dopo rigo.


  articolo tratto da l'Unità del 14 gennaio 2002
   

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