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Il prefetto ha chiesto lo scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Ma il sindaco non ne vuole sapere. E trova solide sponde nel governo.
Mentre Pisanu temporeggia
di Francesco Bonazzi
Un sindaco che querela il prefetto? Accade
a Lamezia Terme nel mezzo di una guerra di 'ndrangheta. E, guarda
caso, alla vigilia dello scioglimento del consiglio comunale per
infiltrazioni mafiose. Una ragnatela di omicidi, minacce, vendette
e tradimenti politici. Con tre sottosegretari del governo Berlusconi
impegnati nel ruolo di pompieri. E una città di 75 mila abitanti
che assiste al tutti contro tutti.
In questi giorni sul tavolo del ministro degli
Interni, Beppe Pisanu, giace il dossier Lamezia. Il prefetto di
Catanzaro Corrado Catenacci ha chiesto che il consiglio comunale
venga sciolto dal governo perché troppi suoi esponenti sarebbero
legati alle cosche. Ma a Lamezia, dopo sette anni di centro-sinistra,
dal 13 maggio 2001 comanda la Casa delle Libertà. E il sindaco
Pasquale Scaramuzzino fa di tutto perché a Roma se ne ricordino,
nell'ansia di salvare la città da un provvedimento già
subito nel 1991, quando a Lamezia c'erano dieci omicidi di mafia
l'anno. Ultima mossa di questi giorni, una denuncia per diffamazione
contro il prefetto, reo di aver svelato alla Commissione antimafia
che un proprio collaboratore aveva subito un tentativo di corruzione
da parte dell'amministrazione comunale, sotto forma di lauta consulenza
(«per un importo da non dormirci la notte»).
Così, l'aria a Lamezia è di nuovo
pesante come ai vecchi tempi. Le cose erano migliorate nel 1993
con l'elezione di un magistrato, la diessina Doris Lo Moro, che
ha governato per due mandati. Un minimo di trasparenza era tornata,
e i delitti erano scesi a un paio l'anno. Contemporaneamente era
partito un grande processo contro la cosca locale dei Torcasio-Gianpà.
Ma a luglio del 2000, il processo "Primi passi" crolla
in appello e gran parte degli 80 imputati viene assolta. In aula,
i pentiti si limitano a raccontare che si fregavano tra loro nell'esazione
del pizzo. Così, risolti a buon mercato i conti con la giustizia,
gli uomini d'onore passano a regolare i propri. I Gianpà
e i Torcasio cominciano a scannarsi. Lo fanno con 13 assassini e
nove tentati omicidi in 21 mesi.
Intanto, il 13 maggio 2001, il centro-sinistra
crolla. Lo Moro si candida alla Camera e perde contro l'avvocato
del Ccd Pino Galati, oggi sottosegretario alle Attività produttive.
Galati fa eleggere sindaco, con una maggioranza del 75 per cento,
il forzista Scaramuzzino. E come vice, gli piazza Albino Mauro (Ccd),
legale dei Torcasio. La serenità del nuovo corso viene scossa
dal ferimento di Giorgio Barresi, consigliere del Ccd, gambizzato
mentre chiacchiera con tre mafiosi. Oggi Barresi è impossibilitato
a partecipare alle riunioni in Comune, in quanto arrestato per usura.
Ma il segnale più allarmante arriva a marzo di quest'anno
con l'omicidio dell'avvocato Torquato Ciriaco. Solo un mese prima
aveva inaugurato con il sindaco la prima sala Bingo di Lamezia.
Immediatamente chiusa dalla questura, convinta che fosse di proprietà
di un imprenditore legato alla 'ndrangheta.
Ciriaco era soprattutto l'avvocato di Salvatore
Mazzei, re del calcestruzzo lametino. È proprio di Mazzei
che parla il prefetto nella sua audizione segreta in Antimafia il
20 settembre. Mazzei è il proprietario di una grossa cava
abusiva che si vede da tutto il golfo di Sant'Agata, recentemente
messa in regola dal Comune. Catenacci afferma che «da lì
proviene tutto il materiale che serve per la costruzione dell'autostrada
tra Cosenza e Vibo Valentia». E svela che «qualche mese
fa un'impresa di livello nazionale ha rinunziato a un appalto da
60 miliardi di vecchie lire perché aveva subito il sabotaggio
di un impianto per la produzione del calcestruzzo». «Praticamente,
tutti sono obbligati a comprare il calcestruzzo da questo signore»,
conclude il prefetto. Un mastino di origini napoletane che nella
sua carriera, quando ha chiesto lo scioglimento per mafia di un
Comune, ha vinto 21 volte su 22.
La bagarre s'è scatenata la scorsa estate,
quando Catenacci ha aperto le procedure di scioglimento per Lamezia.
La sua prima relazione inviata al Viminale a fine agosto ha fatto
fare un salto sulla sedia ai big della Cdl calabrese che stanno
a Roma. Galati ha subito difeso il sindaco, con una lettera aperta
in cui la buttava in politica. Poi, solo silenzio. Il sottosegretario
agli Interni, Antonio D'Alì, è stato meno accorto.
Nei giorni scorsi girava voce che avesse dato udienza a Scaramuzzino,
suscitando in Antimafia le polemiche sull'opportunità del
gesto. Poi è arrivata la vibrante difesa del sottosegretario
calabrese Jole Santelli. Che dal ministero di Giustizia, la sera
del 15 ottobre, ha spedito all'Ansa un comunicato in cui attacca
pesantemente il centro-sinistra sul caso Lamezia. Forse avvertita
dal capo del suo staff Antonia Pastorino, compagna di D'Alì,
la Santelli ha poi capito di avere esagerato. E nel giro di due
ore ha chiesto all'Ansa una rettifica, smorzando le accuse. Peccato
che nel comunicato abbia fornito la prima conferma autorevole che
l'incontro tra D'Alì e Scaramuzzino era avvenuto davvero.
Intanto, pochi giorni prima della visita dell'Antimafia
a Lamezia, Galati ha convinto il vicesindaco Mauro a dimettersi,
in cambio della presidenza di Lamezia Europa, consorzio che gestisce
l'ex area Sir. E Angela Napoli, deputato di An, da quando ha denunciato
la gravità della situazione vive sotto scorta. Accusata dalla
sua maggioranza di danneggiare Lamezia e la Cdl (vedi scheda).
Ora, la clamorosa querela del sindaco apre
uno scontro istituzionale dagli esiti imprevedibili. Ad alcuni deputati
Pisanu ha detto che lo scioglimento del consiglio di Lamezia è
probabile. Quando? La voce che circola è che al Viminale
aspettino di vedere se analogo provvedimento debba riguardare anche
Isola Capo Rizzuto, comune del Crotonese governato dall'Ulivo.
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