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Lodo
Mondadori: sentenza precotta, il giudizio fu scritto in anticipo |
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di Susanna Ripamonti
«Signor Treglia, vorrei capire meglio: qui lei ha scritto che
la sentenza per il Lodo Mondadori fu decisa nella camera di consiglio
del 14 gennaio del 1991. È esatto?».
Risposta: «Certo signor presidente».
Il presidente Paolo Carfì prosegue: «E qui, alla voce
consegna delloriginale lei ha segnato la data del
15 gennaio: è sicuro di questa data?».
Risposta, con tono quasi irritato: «Sicurissimo, il 15 gennaio
io la sentenza ce lavevo belle pronta».
Domanda: «Già dattiloscritta?».
Treglia: «Certo, consegnata in originale voleva dire che era
già dattiloscritta e pronta per la firma del presidente».
Carfì nasconde a stento la sorpresa, chiede una pausa, forse
ha bisogno di bere un bicchier dacqua. Siamo al processo milanese
per la vicenda del Lodo Mondadori, quello che deve accertare se la
sentenza del gennaio del 91, che strappò a Carlo De Benedetti
la Mondadori, consegnandola a Silvio Berlusconi, fu una sentenza comprata.
Il teste Vincenzo Treglia, che allepoca dei fatti era dirigente
della cancelleria della prima sezione civile della corte dAppello
di Roma, quella accusata di aver emesso una sentenza truccata, ha
prodotto un brogliaccio, sul quale con meticolosa precisione si segnava
tutte le date che segnano la vita di un verdetto, dalla camera di
consiglio al momento in cui, dopo la stesura, vengono depositate le
motivazioni. Secondo laccusa, Silvio Berlusconi (indagato e
poi prescritto) comprò i magistrati, avvalendosi delle entrature
di Cesare Previti. Stando allaccusa i giudici, quando entrarono
in camera di consiglio, non solo avevano già deciso le sorti
del processo, ma addirittura il relatore Vittorio Metta, ora imputato
per corruzione, aveva già scritto e fatto dattiloscrivere le
motivazioni. Adesso Vincenzo Treglia sta fornendo alla pm Ilda Boccassini
una prova decisiva: la sentenza fu consegnata in cancelleria allindomani
della camera di consiglio. Il cancelliere ora in pensione, aveva anche
spiegato che per la sua formidabile produttività, Metta era
considerato «la maglia rosa delle sentenze» ma 24 ore
per stilare e dattiloscrivere 167 pagine di motivazioni sono chiaramente
un record impossibile. Laccusa ha sempre sostenuto che quella
sentenza non fu scritta negli uffici della corte dAppello di
Roma, ma nello studio dellavvocato Giovanni Acampora, altro
imputato di questo processo e che fu preconfezionata. Altri testi,
nelle udienze precedenti, avevano dichiarato che a dicembre, con un
mese di anticipo, tutti sapevano che il verdetto era già deciso
e che era favorevole a Berlusconi. E già erano sorprendenti
le date ufficiali conosciute fino ad ora: si sapeva che le motivazioni
della sentenza erano state depositate il 24 gennaio del 91, dieci
giorni dopo la camera di consiglio (calcolando anche i festivi). Per
tutta la mattinata in aula erano sfilate le dattilografe della Corte
dAppello di Roma, in servizio allepoca. Nessuna ricordava
con certezza di aver dattiloscritto la sentenza, ma tutto sommato
era possibile che lavorando a tempo pieno e dividendo il lavoro, le
impiegate della corte dappello avessero battuto in poco più
di una settimana tutto il malloppo. Ma ecco Treglia che spiega che
addirittura le motivazioni erano nelle sue mani allindomani
del verdetto. Poi il tempo tecnico per farle firmare dal presidente
e il 24 erano ufficialmente depositate, a disposizione delle parti.
Sul brogliaccio fornito dal teste sono segnate le date di tutte le
sentenze del periodo 90-91: una scrittura precisa, senza sbavature
e cancellature, da burocrate di lungo corso. Cè la data
in cui la sentenza viene emessa, 14 gennaio, consegnata, 15 gennaio,
mandata al presidente per la firma, il 15 gennaio stesso, quella in
cui ritorna firmata, il 22 gennaio e quella in cui viene depositata,
24 gennaio. Treglia precisa: «sulle altre date non garantisco,
a volte erano scritte a capoccia, ma quella della decisione, quella
della consegna e quella del deposito sono esatte». Dopo la pausa
chiesta dal presidente il teste torna in aula, è un po frastornato,
forse ha intuito la portata delle sue dichiarazioni e le reazioni
che hanno provocato lo confondono. Carfì incalza: «Come
sarebbe a dire che le altre date sono scritte a capoccia, non poteva
sbarrarle, non metterci niente?» Treglia va un po nel
pallone, anche perchè Carfì gli fa notare la rigorosa
precisione e la coerenza di tutte le sue annotazioni, che non sembrano
affatto casuali, ma quello che ha detto è agli atti. Il teste
esce di scena lasciando a bocca asciutta i difensori degli imputati,
che se ne vanno un po dimessi, anche perchè, paradossalmente,
quel brogliaccio che incastra i loro assistiti, non è una prova
prodotta dallaccusa, ma dalla controparte: un clamoroso autogol.
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