scrivici
mailing list
guestbook
links
aiutaci
info
ringraziamenti
 
torna indietro
 
articolo tratto da "l'Unità" dell'8 marzo 2001


 

 

 








 
Lodo Mondadori: sentenza precotta, il giudizio fu scritto in anticipo

 

 

 

di Susanna Ripamonti

«Signor Treglia, vorrei capire meglio: qui lei ha scritto che la sentenza per il Lodo Mondadori fu decisa nella camera di consiglio del 14 gennaio del 1991. È esatto?».
Risposta: «Certo signor presidente».

Il presidente Paolo Carfì prosegue: «E qui, alla voce “consegna dell’originale” lei ha segnato la data del 15 gennaio: è sicuro di questa data?».
Risposta, con tono quasi irritato: «Sicurissimo, il 15 gennaio io la sentenza ce l’avevo bell’e pronta».
Domanda: «Già dattiloscritta?».
Treglia: «Certo, consegnata in originale voleva dire che era già dattiloscritta e pronta per la firma del presidente».

Carfì nasconde a stento la sorpresa, chiede una pausa, forse ha bisogno di bere un bicchier d’acqua. Siamo al processo milanese per la vicenda del Lodo Mondadori, quello che deve accertare se la sentenza del gennaio del ‘91, che strappò a Carlo De Benedetti la Mondadori, consegnandola a Silvio Berlusconi, fu una sentenza comprata. Il teste Vincenzo Treglia, che all’epoca dei fatti era dirigente della cancelleria della prima sezione civile della corte d’Appello di Roma, quella accusata di aver emesso una sentenza truccata, ha prodotto un brogliaccio, sul quale con meticolosa precisione si segnava tutte le date che segnano la vita di un verdetto, dalla camera di consiglio al momento in cui, dopo la stesura, vengono depositate le motivazioni. Secondo l’accusa, Silvio Berlusconi (indagato e poi prescritto) comprò i magistrati, avvalendosi delle entrature di Cesare Previti. Stando all’accusa i giudici, quando entrarono in camera di consiglio, non solo avevano già deciso le sorti del processo, ma addirittura il relatore Vittorio Metta, ora imputato per corruzione, aveva già scritto e fatto dattiloscrivere le motivazioni. Adesso Vincenzo Treglia sta fornendo alla pm Ilda Boccassini una prova decisiva: la sentenza fu consegnata in cancelleria all’indomani della camera di consiglio. Il cancelliere ora in pensione, aveva anche spiegato che per la sua formidabile produttività, Metta era considerato «la maglia rosa delle sentenze» ma 24 ore per stilare e dattiloscrivere 167 pagine di motivazioni sono chiaramente un record impossibile. L’accusa ha sempre sostenuto che quella sentenza non fu scritta negli uffici della corte d’Appello di Roma, ma nello studio dell’avvocato Giovanni Acampora, altro imputato di questo processo e che fu preconfezionata. Altri testi, nelle udienze precedenti, avevano dichiarato che a dicembre, con un mese di anticipo, tutti sapevano che il verdetto era già deciso e che era favorevole a Berlusconi. E già erano sorprendenti le date ufficiali conosciute fino ad ora: si sapeva che le motivazioni della sentenza erano state depositate il 24 gennaio del 91, dieci giorni dopo la camera di consiglio (calcolando anche i festivi). Per tutta la mattinata in aula erano sfilate le dattilografe della Corte d’Appello di Roma, in servizio all’epoca. Nessuna ricordava con certezza di aver dattiloscritto la sentenza, ma tutto sommato era possibile che lavorando a tempo pieno e dividendo il lavoro, le impiegate della corte d’appello avessero battuto in poco più di una settimana tutto il malloppo. Ma ecco Treglia che spiega che addirittura le motivazioni erano nelle sue mani all’indomani del verdetto. Poi il tempo tecnico per farle firmare dal presidente e il 24 erano ufficialmente depositate, a disposizione delle parti. Sul brogliaccio fornito dal teste sono segnate le date di tutte le sentenze del periodo 90-91: una scrittura precisa, senza sbavature e cancellature, da burocrate di lungo corso. C’è la data in cui la sentenza viene emessa, 14 gennaio, consegnata, 15 gennaio, mandata al presidente per la firma, il 15 gennaio stesso, quella in cui ritorna firmata, il 22 gennaio e quella in cui viene depositata, 24 gennaio. Treglia precisa: «sulle altre date non garantisco, a volte erano scritte a capoccia, ma quella della decisione, quella della consegna e quella del deposito sono esatte». Dopo la pausa chiesta dal presidente il teste torna in aula, è un po frastornato, forse ha intuito la portata delle sue dichiarazioni e le reazioni che hanno provocato lo confondono. Carfì incalza: «Come sarebbe a dire che le altre date sono scritte a capoccia, non poteva sbarrarle, non metterci niente?» Treglia va un po’ nel pallone, anche perchè Carfì gli fa notare la rigorosa precisione e la coerenza di tutte le sue annotazioni, che non sembrano affatto casuali, ma quello che ha detto è agli atti. Il teste esce di scena lasciando a bocca asciutta i difensori degli imputati, che se ne vanno un po’ dimessi, anche perchè, paradossalmente, quel brogliaccio che incastra i loro assistiti, non è una prova prodotta dall’accusa, ma dalla controparte: un clamoroso autogol.

   

motore di ricerca italiano

 

 

 

informazioni scrivici! torna all'home page torna indietro