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articoli tratti da "Il Nuovo" e da "La Repubblica" del 6 agosto 2003
 
scarica le 534 pagine della motivazione della sentenza
  scarica l'intero documento in formato pdf [adobe acrobat reader] dal sito de "la Repubblica" con un click qui


 

 

 








 

"IMI-SIR, CORRUZIONE SENZA LIMITI"
Le motivazioni della sentenza per la condanna di Cesare Previti. "Pagò per fare uso privato della giustizia". Grande importanza, nel documento, a documenti bancari mai discussi

 

 

 

tratto da Il Nuovo

ROMA - Un dibattimento "durato per un tempo sicuramente poco compatibile con il dettato di cui l'art.111 della Costituzione, ma grazie al quale al tribunale è stato concesso molto tempo per studiare in modo capillare e approfondito, fino al giorno prima della Camera di Consiglio, tutto l'enorme materiale processuale". Iniziano con una lunga premessa le 620 pagine (tutte scritte fronte retro ndr) in cui i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Milano hanno motivato la sentenza di condanna a sette degli otto imputati al processo Imi Sir/Lodo Mondadori. Tra loro anche Cesare Previti, condannato a 11 anni di reclusione e gli ex giudici del Foro romano Vittorio Metta (13 anni) e Renato Squillante (8 anni).

"Lo studio (ciò che solo conta) - scrivono ancora i giudici - di tutti questi atti permette di sfatare una delle tante leggende che sono state da qualcuno alimentate al di fuori dell'aula di udienza, e cioé quella secondo la quale il procedimento in oggetto quasi consisterebbe in una sorta di abuso processuale, non essendo basato su prove piene e certe, ma solamente su un magmatico, indistinto e insufficiente quadro indiziario".

La comparazione dei documenti in atti e il loro studio, secondo i giudici, ha permesso di "arrivare alla conclusione, basata su precise prove documentali (che vanno ad aggiungersi a quel quadro indiziario portato dalla pubblica accusa già di per sé avente la caratteristica di concordanza, precisione e univocità assolute) che la causa civile Imi-Sir fu tutta frutto di una gigantesca opera di corruzione".

E' questo il succo delle 620 pagine di motivazioni, (9 introduttive, 534 di motivazioni vere e proprie, e 77 di allegati) pensate ed elaborate in tre mesi e una settimana, il tempo trascorso dalla lettura del dispositivo della sentenza Imi Sir/ Lodo Mondadori. Un documento, quello scritto dal giudice Carfì e dai due magistrati a latere, fitto di riferimenti a fatti e documenti esaminati nel processo. Ma i magistrati hanno tenuto conto anche di moltissimi documenti bancari mai discussi in aula, che, a loro dire, completano l'impianto accusatorio e inchiodano la famiglia Rovelli e la Fininvest. L'una destinataria del maxi risarcimento dell'Imi di 1.000 miliardi e l'altra facilitata nella scalata al gruppo Mondadori.

I giudici parlano di "impressionanti analogie" tra la vicenda Imi-Sir e quella Lodo Mondadori e non mancano di usare termini come "caso di corruzione devastante" e "degrado della giustizia, che da cieca fu trasformata in giustizia ad uso privato". Parole dure, cui si affiancano riflessioni durissime. Anche i magistrati, come già i pm, si scagliano violentemente contro gli ex magistrati coinvolti nella vicenda. "Il dibattimento Imi-Sir/Lodo principalmente è - ed è sempre stato - un processo ad alcuni magistrati della corte d'appello di Roma, al loro modo di concepire la funzione cui sono stati chiamati, ai loro inconfessabili rapporti con un gruppo di avvocati d'affari e a ciò che ne è conseguito".

Anche nel linguaggio usato si capisce come si sia sposata l'impostazione dei pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo. Ci sono, è questo il senso della motivazione, le "prove pesanti come macigni", di cui parlò il pm Boccassini in sede di requisitoria. E ci sono quegli elementi documentali, fatti di contabilità bancarie, e ricostruiti attraverso decine di rogatorie su conti esteri. Transazioni e passaggi di denaro che le persone coinvolte avrebbero spiegato in modo "differente e contraddittorio".

Come nel caso del versamento effettuato nel 1991, dal conto All Iberian della Fininvest al conto Mercier riconducibile a Cesare Previti. "In esso - scrivono i magistrati - non può che rinvenirsi un contributo fornito da Previti all'esito favorevole della vicenda che vedeva contrapposti Carlo De Benedetti e la stessa Fininvest". "La somma - spiegano i giudici - non può essere qualificata come normale parcella in nero per le prestazioni professionali di Previti, anche al di fuori di un regolare mandato, ma si deve ritenere una provvista pagata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi per regolare rapporti di natura illecita (corruzione del giudice Metta ndr) strettamente connessi alla causa Mondadori".

I magistrati non hanno mancato di rimarcare il comportamento processuale degli imputati. "A dir poco pessimo, volto a negare qualsiasi circostanza, anche la più evidente, così dimostrando una assoluta mancanza di un sia pur minimo 'ripensamento' della loro condotta di vita". Comportamento che "si è concretizzato in una serie di tentativi volti esclusivamente ad impedire lo svolgimento del processo, strumentalmente utilizzando gli istituti previsti dal codice: una serie infinita di ricusazioni per i più diversi motivi fin sulla soglia della camera di consiglio".

La vicenda non è certamente chiusa. Non è stato nenache necessario che i legali degli imputati condannati aspettassero le motivazioni per annunciare ricorso in appello: lo diedero per scontato, dopo la lettura del dispositivo della sentenza, il 29 aprile scorso.

Il dato certo è che il collegio giudicante non ha nominato, se non nella parte iniziale del documento, il nome di Silvio Berlusconi. Lo si cita solo qualche volta come "presidente Fininvest" e poi si lascia correre. Del resto per la posizione del premier è ormai caduta in prescrizione del reato in relazione alla vicenda Lodo-Mondadori, e poi non fu mai imputato per quella Imi-Sir.

   
  Ecco i punti salienti delle motivazioni della sentenza Imi-Sir Lodo Mondadori. "Giustizia usata a fini privati"

"Gigantesca opera di corruzione eletta a stile di vita"
 

da Repubblica del 6 agosto 2003

MILANO - "Una gigantesca opera di corruzione" che dagli imputati è stata "eletta a vero e proprio sistema di vita". "Il più grande caso di corruzione nella storia, non solo d'Italia", "un degrado della giustizia che da cieca fu trasformata in giustizia ad uso privato". Parole durissime quelle che i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano usano nelle motivazioni della sentenza con la quale, lo scorso 29 aprile, hanno condannato sei dei sette imputati, fra i quali Cesare Previti, nel processo Lodo Mondadori - Imi-Sir.

Vediamo i passaggi salienti delle oltre 534 pagine redatte dal tribunale presieduto da Paolo Carfì per spiegare le condanne inflitte.

Imi-Sir: gigantesca opera di corruzione.
Lo studio dell'enorme materiale processuale, spiegano i giudici, ha permesso di arrivare alla conclusione che "la causa civile Imi-Sir fu tutta frutto di una gigantesca opera di corruzione".

Precise prove documentali.
Se la sentenza è arrivata dopo due anni, 11 mesi e 88 udienze è perché al Tribunale "è stato 'concesso' molto tempo per studiare in modo capillare e approfondito tutto l'enorme materiale processuale". Il problema del "ritardo" non è stato dunque, come hanno sostenuto i legali di Previti, che il processo si è basato "solamente su un magmatico, indistinto e insufficiente quadro indiziario" ma su "precise prove documentali".

Analogie con il Lodo-Mondadori.
Sempre lo studio e la comparazione degli atti ha permesso "di constatare, pure qui con un quadro che definire gravemente indiziario è dire poco, che anche la coeva causa Mondadori presenta impressionanti analogie (per l'iter processuale e la presenza sempre degli stessi protagonisti) con ciò che si è appurato rispetto alla 'gemella' controversia Imi-Sir".

La più grande corruzione nella storia dell'Italia Repubblicana.
Il quadro che si delinea, per il collegio, è "quello della "più grande corruzionè nella storia dell'Italia Repubblicana e forse anche di più, se si dovesse seguire l'opinione di uno degli imputati di questo processo (Cesare Previti, n.d.r).

Imparzialità della giurisdizione.
Per i giudici "certo è che si tratta di un caso di corruzione devastante, atteso che tocca uno dei gangli vitali di uno stato democratico: quello della imparzialità della giurisdizione". "Questo Tribunale - scrivono - è stato oggetto, negli ultimi due anni in particolare, delle 'critiche' più aspre e delle accuse più gravi - perché di questo si è trattato - dentro e, soprattutto, fuori dall'aula, fino a quella più infamante per un giudice: quella non poche volta propalata, di essere non al 'servizio della legge' ma al soldo di una parte politica".

Giustizia a uso privato.
Il dibattimento Imi-Sir/Lodo, "principalmente è - ed è sempre stato - un processo ad alcuni magistrati della corte d'appello di Roma, al loro modo di concepire la funzione cui sono stati chiamati, ai loro inconfessabili rapporti con un gruppo di "avvocati d'affari e a ciò che ne è conseguito, fino al punto di poter parlare - in questo caso sì - di un degrado della giustizia che da cieca fu trasformata in "giustizia ad uso privato".

Corruzione come stile di vita.
"Appare assolutamente evidente" come gli imputati Vittorio Metta, Renato Squillante, Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora "avessero eletto la corruzione in atti giudiziari a vero e proprio sistema di vita, a metodo attraverso il quale conseguire nel modo più facile, ma anche tra i più sordidi, quella ricchezza materiale evidentemente mai sufficiente, ponendo la loro professioni, le loro capacità e le loro intelligenze al servizio ora di questo ora di quello tra i 'clienti' disposti a pagare qualsiasi cifra pur di raggiungere il loro scopo".

Autodifesa dall'accusa di "moralismo".
Per i giudici milanesi la condotta degli imputati non lascia dubbi. E aggiungono: "Sarà anche 'moralismo', come sicuramente qualcuno obietterà, ma ritiene questo collegio che nessuna scusante possa essere addotta da imputati a cui nessuno e nulla, nè le condizioni famigliari, nè quelle sociali, nè quelle economiche, ha imposto di vendere in tal modo, la loro imparzialità, correttezza e professionalita".

La versione di Previti: inattendibile.
Sulla posizione del parlamentare di Forza Italia "pesa a suo sfavore l'iniziale menzogna relativa alla destinazione dell'ingente somma ricevuta nel 1994, a causa finita, dagli eredi Rovelli, inserita in un quadro di generale presa di distanze da tutti i soggetti in quel momento protagonisti della indagine. Una menzogna - scrivono i giudici - che pesa ancora di più quando si vanno a valutare le giustificazioni addotte dall'imputato allorquando, nel corso dell'esame dibattimentale, ha rappresentato uan diversa verità dei fatti, sempre e comunque lontana dall'accusa di corruzione".

Familiari dell'ingegner Rovelli.
Il trattamento più favorevole per i familiari di Nino Rovelli è determinato "non tanto per lo stato di incensuratezza, comune a tutti gli imputati, ma più che altro in considerazione di alcune "particolarità della loro condotta criminosa". La vedova e il figlio di Nino Rovelli, per il collegio, hanno agito infatti "in un certo senso 'iure ereditario', trovandosi inseriti in un "iter criminoso già in stato di avanzata realizzazione". "Certo, nessuno dei due - è scritto -, e in particolare Felice Rovelli, sembra aver fatto troppa 'fatica' a trovare un accordo con tre intermediari". "Tutto ciò - a detta dei giudici - nella più assoluta indifferenza dei danni enormi causati non solo alla "giustizia", ma all'intera tenuta morale di una comunità".

Pessimo comportamento processuale degli imputati.
A questo va aggiunto "un comportamento processuale a dir poco pessimo, volto a negare qualsiasi circostanza, anche la più evidente, così dimostrando una assoluta mancanza di un sia pur minimo 'ripensamento' della loro condotta di vita". Comportamento che "si è concretizzato in una serie di tentativi volti esclusivamente ad impedire lo svolgimento del processo, strumentalmente utilizzando gli istituti previsti dal codice: una serie infinita di ricusazioni per i più diversi motivi fin sulla soglia della camera di consiglio, la revoca del mandato ai propri difensori nel novembre 2001 in risposta alle ordinanze di questo Tribunale sulle rogatorie e sulle problematiche poste dalla sentenza 225/2001 della Corte Costituzionale, manovre dilatorie di ogni genere".

"Reati gravissimi - concludono i giudici milanesi -, anche e soprattutto da un punto di vista soggettivo; condotta processuale pessima da qualsiasi parte la si osservi; si può ribaltare agli istanti la domanda: su quali basi giuridiche potrebbero essere concesse le invocate attenuanti generiche?".


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