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di Furio Colombo
Ci sono temi che una aggregazione o un gruppo
politico scelgono per affinità o strategia. Difendere la
giustizia (i giudici, la loro autonomia, la separazione dei poteri,
il libero funzionamento, il prestigio, la capacità di funzionare
della magistratura senza lo sbarramento di leggi apposite) è
oggi il primo impegno della democrazia italiana. E questo è
ciò che hanno voluto dire quarantamila cittadini, autoconvocati
al Palavobis di Milano intorno a «Micromega», a «lUnità»,
a molte altre associazioni, rispondendo a una infinità di
passaparola, di volontariato, di iniziative spontanee di base.
Su questo giornale abbiamo parlato di emergenza
democratica. Lo abbiamo fatto non appena ci siamo resi conto degli
attacchi simultanei che erano stati lanciati contro listituzione
giudiziaria: una campagna di svilimento, accusa denuncia, ridicolo,
su tutta la stampa e la tv di regime. Una legge con effetto retroattivo
quella sulle rogatorie, che rende impossibile la collaborazione
investigativa tra giudici di diversi Paesi. Il no italiano al mandato
di cattura europeo, che ha stupito tutti i partner dEuropa
e ha gettato una luce di sospetto sulla classe dirigente di questo
Paese anche agli occhi di coloro che, prima, non se ne erano occupati.
Il tentativo di ritardare e umiliare tutta lattività
giudiziaria, colpendo lorgano di autogoverno, riducendo il
numero dei membri del Consiglio superiore della Magistratura in
modo da renderne impossibile il funzionamento.
La campagna di guerra ai giudici si è
aperta con la festosa irruzione in scena dellimputato - capo
partito - primo ministro Silvio Berlusconi che ha proclamato al
mondo: in Italia cè stata una guerra civile. È
stata - lui dice - la guerra civile dei giudici contro la politica.
Essi hanno distrutto i loro nemici e spinto al potere i propri alleati.
Essi hanno dunque agito per conto di forze politiche esenti da inchiesta
e promosse in questo modo al potere. Nel mondo in cui «guerra
civile» vuol dire Pinochet e «desaparecidos»,
la mossa di Berlusconi ha due aspetti. Uno è la menzogna,
che è abituale in lui e dunque ha stupito poco, almeno in
Italia. Infatti lui, Silvio Berlusconi è stato lunico
e vero vincitore di Mani Pulite. È andato al governo subito
dopo luscita di scena di un certo numero di corrotti che hanno
governato lItalia prima di lui.
Laltro è una dichiarazione di
emergenza, caso raro, anzi senza precedenti da parte di chi detiene
il potere in un sistema democratico. Ha detto «guerra civile».
La guerra civile richiede e giustifica misure pesanti di salute
pubblica.
Berlusconi ha inteso dare una cornice adeguatamente
drammatica alla serie di azioni contro i giudici che lui, i suoi
ministri, il suo parlamento e la sua stampa, i suoi fedeli commentatori,
il suo prediletto conduttore televisivo, (quello di «Porta
a Porta» che di tanto in tanto offre lo spazio della sua trasmissione
allautodifesa dei co-imputati del premier) si preparavano
ad organizzare.
Sia chiaro, dunque, che lemergenza esiste
non come trovata di questo giornale e di alcuni iper-nervosi esponenti
della opposizione. Esiste prima di tutto perché dichiarata
nel modo più clamoroso dal capo delle imprese riunite del
pubblico e del privato, di Mediaset e della Rai, del governo e di
Confindustria, dei suoi affari e dei suoi processi. Data la gravità
delle sue imputazioni (laccusa è di avere corrotto
i giudici, la più pesante, in ogni tipo di governo) si può
spiegare in termini privati e psicologici la dichiarazione di guerra
del primo ministro a una parte del Paese.
Potevano le istituzioni colpite e chi ha a
cuore la democrazia italiana non rispondere o contenere la risposta
nei limiti di sussurrati rimbrotti? Non potevano, e non dovevano.
È in questa luce che tanti italiani hanno visto, capito e
sostenuto la ribellione di migliaia di magistrati nel giorno della
inaugurazione dellanno giudiziario. La pace istituzionale
era stata frantumata dal capo dellesecutivo, che è
anche imputato, e che rifiuta risolutamente di essere un cittadino
come tutti gli altri. Con gesti e parole esemplari, i magistrati
hanno indicato ai cittadini laggressione in corso contro il
potere giudiziario. Le parole chiare del Procuratore Generale di
Milano Borrelli sono il drammatico messaggio ricevuto e condiviso
da tanti italiani. Non opporsi significa accettare una mutilazione
della democrazia.
Cera in quel messaggio un intento pedagogico.
Far capire bene, a tutti, che lattentato alla integrità
dello Stato può anche non richiedere, come nel passato, misure
fisicamente violente. È raro, e anzi è un caso unico,
che un golpe sia organizzato da chi detiene legittimamente il potere.
Ma poiché sta avvenendo, i giudici - tutti - lo hanno comunicato
ai cittadini in modo che nessuno possa dire: «Non lo sapevo».
Intanto è stata approvata la legge più
pericolosa che abbia mai attraversato la vita di una repubblica
democratica, quella sulle rogatorie internazionali. Gli avvocati
del primo ministro-proprietario-imputato hanno dettato alla maggioranza
fedele di Camera e Senato una legge che serve a una sola persona
e ai suoi immediati co-imputati e che infatti è ormai nota
come la «Legge Previti». Occorreva rendere impossibile,
attraverso la richiesta di formalità inesistenti nei codici
degli altri Paesi, il passaggio di atti giudiziari internazionali
utili per provare alcuni capi di accusa.
Ogni espediente è stato inventato, ogni magistrato è
stato personalmente svilito, ogni commentatore fedele o ex carica
dello Stato mobilitato per colpire e screditare un tribunale, lungo
il percorso delle calunnie, quello degli intralci procedurali, quello
dellaccusa di violazione di una sentenza della Corte Costituzionale.
Era una accusa così grave che la stessa Corte Costituzionale
si è ribellata rendendo noto (caso raro) il suo pensiero
e negando in modo autorevole e risoluto le accuse del premier-imputato
al suo tribunale. Ma ciò che ha unito gran parte della opposizione
politica a tanti cittadini, ciò che ha provocato sorpresa
e scandalo nella opinione internazionale, è la retroattività
di quella legge. La retroattività era necessaria perché
un intero Parlamento è stato usato per servire un unico imputato,
che è il capo della maggioranza. Il prezzo è stata
la violazione di un principio fondamentale del diritto di tutti
gli Stati in tutti i tempi.
Perché non si parli dei continui attacchi
ai giudici e alla giustizia da parte di questo governo e di chi
lo asseconda viene usata, come estremo insulto, la parola «giustizialismo».
È una parola prelevata dal gergo dellArgentina Peronista:
giustizialisti erano i «descamisados» che sostenevano
con le buone o con le cattive il generale Peron, demagogo e populista,
una figura ovviamente cara a uno schieramento che va dal partito
degli imputati a quello della Lega Nord. La parola circola ancora
nei sottoscala del giornalismo ma sono in tanti ormai a sapere che
è priva di senso. E in tanti a dire che è necessario
difendere la giustizia.
Perciò adesso lUlivo è
impegnato nella raccolta di firme per il referendum popolare contro
la legge-golpe. E un numero sempre più alto di cittadini
si schiera con i giudici perché ha capito in che modo si
può togliere lossigeno alla democrazia. I girotondi
intorno ai palazzi di giustizia sono ridicoli? Anche i governatori
razzisti di Alabama e Luisiana lo pensavano di due sconosciuti ventenni
di nome Bob Dylan e Joan Baez che comparivano con la chitarra accanto
al pastore battista Martin Luther King per dire la avventata bestemmia
secondo cui «i neri sono uguali ai bianchi e devono avere
gli stessi diritti». Quando Rosa Park ha rifiutato di scendere
dallautobus dei bianchi e ha iniziato la rivolta dei diritti
civili è stato detto di lei «è solo una stupida
cameriera».
Ha cambiato la storia. Forse lo farà anche il girotondo.
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