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articolo tratto da La Repubblica,
11 agosto 2001


 

 

 








 
la nuova giustizia secondo il centrodestra

 

 

 

di Gian Carlo Caselli

In ogni tempo, il modo di sentire della maggioranza contingente tenta di affermarsi imponendo una "tavola di valori". Naturalmente dei "suoi" valori. Dove la parola "suoi" acquista un significato tutt'affatto particolare ogni volta che la maggioranza sia non solo quella espressa dai sondaggi ma soprattutto quella che egemonizza i microfoni e l'informazione. Segno qualificante di questi tempi è la progressiva perdita di valore del "collettivo". Bruttissimo segno, se ne deriva l'esaltazione del benessere individuale e del successo personale come unici valori degni. Ricadute evidenti di questa concezione si registrano anche nell'ordinamento penale, mediante una riscrittura della tavola dei valori - appunto - che tende ad espellere (o minimizzare) le fattispecie di reato che non siano finalizzate esclusivamente o prevalentemente alla tutela di diritti individuali.

Molti, purtroppo, sono gli esempi che si possono fare. Si sono inasprite le pene per i furti domiciliari e gli scippi, cercando risposte soprattutto alla percezione soggettiva dei problemi della sicurezza, più che ad un'effettiva esigenza di maggior efficienza collettiva. Contemporaneamente si percorre la strada dell'abolizione di alcuni reati societari e di una nuova disciplina del falso in bilancio, con la prospettiva di mega prescrizioni a beneficio di interessi individuali e con il rischio di rendere sempre più difficile l'accertamento del danno erariale, ovvero alla collettività, che spesso si nasconde dietro i falsi in bilancio. Mentre l'abuso d'ufficio per finalità non patrimoniali da qualche tempo ormai non è più reato. Ciò che ha rinnovato i fasti delle pratiche di clientelismo, nepotismo e lottizzazione delle istituzioni: con alterazione del gioco democratico in favore di chi utilizza le pubbliche funzioni per costruire - abuso dopo abuso - una propria base di consenso clientelare.

Sul versante, poi, della minimizzazione normativa dei reati preposti alla tutela dei beni collettivi, emblematica è l'entità risibile della pena prevista per il reato di turbata libertà degli incanti. La condotta prevista da questo reato è lo strumento principe per l'eventuale pilotaggio illegale di pubblici appalti. Se i partecipanti alla gara si accordano tra loro sulle percentuali di ribasso e ciascuno - a rotazione - si aggiudica un appalto alle condizioni più favorevoli, si realizza un illecito che è difficilissimo accertare: perché la documentazione presentata è sempre ineccepibile; perché i partecipanti alla gara sono legati da un patto, come dire, di solidarietà, traendo ciascuno, a turno, vantaggio dal sistema; perché la pena prevista per il reato (reclusione sino a due anni) non consente di disporre intercettazioni telefoniche o ambientali. Ove poi accada (e accade raramente) che il reato sia accertato, una pena di tale modesta entità rende sempre possibile la salvifica prescrizione: perciò si può tranquillamente escludere che sia idonea a fungere da deterrente.

I costi collettivi di questa situazione possono essere devastanti: dalla mortificazione della libera concorrenza e dello sviluppo imprenditoriale (il mercato rischia di trasformarsi in un feudo di cordate e comitati d'affari), alla lievitazione complessiva dei costi delle opere pubbliche. Per finire con la prospettiva di un permanente sottosviluppo economico. Se poi entrano in campo (e l'esperienza insegna che è ben possibile...) organizzazioni mafiose, tutto si complica. La mafia è fortemente interessata ai ribassi minimi, perché se l'aggiudicatario guadagna di più, maggiore sarà la tangente che l'organizzazione potrà pretendere. Se poi qualche imprenditore volesse mostrarsi "renitente" e non soggiacere alle "regole" stabilite, si sa che la mafia possiede - purtroppo - mezzi di "convincimento" non indifferenti.

Potrebbe dunque essere un segnale importante di attenzione alla tutela dei beni collettivi (e al tempo stesso un contributo allo sviluppo di una miglior democrazia economica) rivedere la pena edittale del reato di cui all'articoo 353 del codice penale. Sia per una maggior controspinta all'agire illegale, sia per potere utilizzare strumenti investigativi adeguati (le intercettazioni). Ovviamente, coi tempi che corrono c'è poco da illudersi. Ma se persino i vescovi italiani, in un loro recente documento, parlano di "eclissi del senso morale", vale la pena ritornare su certi temi. Rassegnarsi all'oggi, contrassegnato com'è da una forte tendenza ad innalzare la soglia dell'impunità e dei privilegi, sarebbe sbagliato. E controproducente per gli interessi collettivi.

(La Repubblica, 11 agosto 2001)

   

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