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di
Gian Carlo Caselli
In ogni tempo, il modo di sentire della maggioranza
contingente tenta di affermarsi imponendo una "tavola di valori".
Naturalmente dei "suoi" valori. Dove la parola "suoi"
acquista un significato tutt'affatto particolare ogni volta che
la maggioranza sia non solo quella espressa dai sondaggi ma soprattutto
quella che egemonizza i microfoni e l'informazione. Segno qualificante
di questi tempi è la progressiva perdita di valore del "collettivo".
Bruttissimo segno, se ne deriva l'esaltazione del benessere individuale
e del successo personale come unici valori degni. Ricadute evidenti
di questa concezione si registrano anche nell'ordinamento penale,
mediante una riscrittura della tavola dei valori - appunto - che
tende ad espellere (o minimizzare) le fattispecie di reato che non
siano finalizzate esclusivamente o prevalentemente alla tutela di
diritti individuali.
Molti, purtroppo, sono gli esempi che si possono
fare. Si sono inasprite le pene per i furti domiciliari e gli scippi,
cercando risposte soprattutto alla percezione soggettiva dei problemi
della sicurezza, più che ad un'effettiva esigenza di maggior
efficienza collettiva. Contemporaneamente si percorre la strada
dell'abolizione di alcuni reati societari e di una nuova disciplina
del falso in bilancio, con la prospettiva di mega prescrizioni a
beneficio di interessi individuali e con il rischio di rendere sempre
più difficile l'accertamento del danno erariale, ovvero alla
collettività, che spesso si nasconde dietro i falsi in bilancio.
Mentre l'abuso d'ufficio per finalità non patrimoniali da
qualche tempo ormai non è più reato. Ciò che
ha rinnovato i fasti delle pratiche di clientelismo, nepotismo e
lottizzazione delle istituzioni: con alterazione del gioco democratico
in favore di chi utilizza le pubbliche funzioni per costruire -
abuso dopo abuso - una propria base di consenso clientelare.
Sul versante, poi, della minimizzazione normativa
dei reati preposti alla tutela dei beni collettivi, emblematica
è l'entità risibile della pena prevista per il reato
di turbata libertà degli incanti. La condotta prevista da
questo reato è lo strumento principe per l'eventuale pilotaggio
illegale di pubblici appalti. Se i partecipanti alla gara si accordano
tra loro sulle percentuali di ribasso e ciascuno - a rotazione -
si aggiudica un appalto alle condizioni più favorevoli, si
realizza un illecito che è difficilissimo accertare: perché
la documentazione presentata è sempre ineccepibile; perché
i partecipanti alla gara sono legati da un patto, come dire, di
solidarietà, traendo ciascuno, a turno, vantaggio dal sistema;
perché la pena prevista per il reato (reclusione sino a due
anni) non consente di disporre intercettazioni telefoniche o ambientali.
Ove poi accada (e accade raramente) che il reato sia accertato,
una pena di tale modesta entità rende sempre possibile la
salvifica prescrizione: perciò si può tranquillamente
escludere che sia idonea a fungere da deterrente.
I costi collettivi di questa situazione possono
essere devastanti: dalla mortificazione della libera concorrenza
e dello sviluppo imprenditoriale (il mercato rischia di trasformarsi
in un feudo di cordate e comitati d'affari), alla lievitazione complessiva
dei costi delle opere pubbliche. Per finire con la prospettiva di
un permanente sottosviluppo economico. Se poi entrano in campo (e
l'esperienza insegna che è ben possibile...) organizzazioni
mafiose, tutto si complica. La mafia è fortemente interessata
ai ribassi minimi, perché se l'aggiudicatario guadagna di
più, maggiore sarà la tangente che l'organizzazione
potrà pretendere. Se poi qualche imprenditore volesse mostrarsi
"renitente" e non soggiacere alle "regole" stabilite,
si sa che la mafia possiede - purtroppo - mezzi di "convincimento"
non indifferenti.
Potrebbe dunque essere un segnale importante
di attenzione alla tutela dei beni collettivi (e al tempo stesso
un contributo allo sviluppo di una miglior democrazia economica)
rivedere la pena edittale del reato di cui all'articoo 353 del codice
penale. Sia per una maggior controspinta all'agire illegale, sia
per potere utilizzare strumenti investigativi adeguati (le intercettazioni).
Ovviamente, coi tempi che corrono c'è poco da illudersi.
Ma se persino i vescovi italiani, in un loro recente documento,
parlano di "eclissi del senso morale", vale la pena ritornare
su certi temi. Rassegnarsi all'oggi, contrassegnato com'è
da una forte tendenza ad innalzare la soglia dell'impunità
e dei privilegi, sarebbe sbagliato. E controproducente per gli interessi
collettivi.
(La Repubblica,
11 agosto 2001)
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