|
di
Giuseppe D'Avanzo
NON si comprende la solidarietà che il presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi ha espresso alla velocità della luce nei
confronti di Cesare Previti, condannato a undici anni di carcere
per corruzione. Le cose stanno così. Cesare Previti, per
il tribunale di Milano, ha corrotto i giudici di Roma per truccare
alcune sentenze. Una di queste sentenze ha annullato il cosiddetto
Lodo Mondadori che ha consentito al presidente della Fininvest,
oggi capo del governo, di mettere le mani sulla più importante
casa editrice del Paese.
Anche Berlusconi è
stato imputato in questo processo. La Cassazione lo ha tirato via
dall'affare ritenendolo semplicemente un corruttore "costretto"
alla corruzione dall'opaco andazzo che governava le cose di giustizia
nella capitale. Di quella opacità, Cesare Previti era un
dominus, per il tribunale di Milano. Un "signore delle sentenze"
che, grazie alla rete di interessi economici intessuta con i magistrati,
otteneva risultati assai benefici per i suoi assistiti. Tra i quali,
anche il presidente del Consiglio.
Ora a tutti dovrebbe apparire
evidente che Silvio Berlusconi dovrebbe, per lo meno, avvertire,
anche se imputato salvato dalla prescrizione, la responsabilità
morale della condanna di Previti. Quella condanna lo interpella,
lo chiama in causa. La sua funzione di capo del governo, come è
ovvio, oggi non c'entra nulla. Questa è soltanto una sentenza
di primo grado e anche i condannati di oggi rimangono ancora sub
judice. Ci sarà l'appello.
Interverrà la Cassazione,
e soltanto allora si potrà parlare di processo concluso,
di condanna (o assoluzione) definitiva. Ma una condanna provvisoria
così severa dovrebbe per lo meno imbarazzare, invitare al
silenzio e al rispetto per la Giustizia chi, nei fatti, è
stato ed è tuttora, come proprietario della Mondadori, beneficiario
diretto di quell'atto corruttivo.
Di quella manipolazione, di quella "baratteria". Perché
la sentenza di ieri di Milano questo dice: quelle toghe erano "sporche".
C'erano i corruttori, avvocati che nell'interesse dei loro clienti
pagavano i giudici e giudici corrotti che manipolavano le decisioni.
Le sentenze Imi/Sir e Lodo Mondadori sono state, dunque, barattate
per il Tribunale di Milano. Cesare Previti, Attilio Pacifico, Giovanni
Acampora pagavano i giudici e i giudici addomesticavano le loro
decisioni.
Per dirla con le parole giuste,
le toghe hanno asservito la funzione giudiziaria agli interessi
di chi gonfiava il loro conto all'estero. Dopo sette ore e quarantacinque
minuti di camera di consiglio, la quarta sezione penale del Tribunale
(Paolo Carfì, presidente, Maria Luisa Balzarotti, Enrico
Consolandi) legge un dispositivo durissimo, severo.
La pena più alta il
tribunale la riserva a Vittorio Metta. Tredici anni (contro i tredici
anni e i sei mesi chiesti dal pubblico ministero). Il giudice scrisse
materialmente la sentenza (160 pagina e passa in una sola notte)
che annullava il Lodo Mondadori e consegnava la casa editrice di
Segrate a Silvio Berlusconi. Undici anni per Cesare Previti e Attilio
Pacifico (contro i tredici anni invocati dall'accusa). Otto anni
e sei mesi per l'ex consigliere istruttore Renato Squillante. Sette
anni per l'avvocato Giovanni Acampora. Sei anni per Felice Rovelli
e quattro anni e sei mesi per sua madre Primarosa Battistella. Assolto
Filippo Verde.
Tecnicamente la sentenza
è abbastanza elementare nella sua ricostruzione. C'era da
decidere se quei due procedimenti (Imi-Sir/Lodo Mondadori) avevano
avuto una conclusione truccata. C'era da valutare se l'imponente
impianto indiziario messo insieme dal pubblico ministero era sufficiente
solido per dire "sporche" quelle toghe e corruttori quegli
avvocati.
Il primo caso è il
Lodo Mondadori. Il 21 giugno 1990 c'era stato il lodo arbitrale
sul contratto Cir-Formenton. La decisione fu presa dai tre arbitri,
Carlo Maria Pratis, Natalino Irti e Pietro Rescigno, incaricati
di dirimere la controversia tra De Benedetti e Formenton per la
vendita alla Cir da parte dei Formenton di 13 milioni 700 mila azioni
Amef (il 25,7% della finanziaria che controlla la Mondadori) contro
6 milioni 350 mila azioni ordinarie Mondadori. Il lodo fu favorevole
alla Cir e diede a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale
ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate (Berlusconi perde
la presidenza).
24 gennaio 1991. La Corte
d'Appello di Roma presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati
Vittorio Metta e Giovanni Paolini dichiarò che l'accordo
del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina
delle società per azioni e da considerarsi nullo come il
lodo arbitrale. Per il tribunale di Milano, non si può parlare
nel caso di Cesare Previti di corruzione in atti giudiziari, ma
soltanto di corruzione semplice perché tra il 12 maggio 1990
e il 17 marzo 1992 il legislatore non aveva previsto nel codice
la norma da usare per punire il soggetto privato autore della corruzione
in atti giudiziari.
La corruzione semplice di
Previti non salva il pubblico ufficiale, Vittorio Metta, che scrive
sotto dettatura la sentenza. Secondo procedimento truccato. La vicenda
Imi-Sir ha inizio nel 1982 quando Rovelli cita davanti al tribunale
di Roma l'Imi per non avere onorato una convenzione per il risanamento
delle società del gruppo chimico Sir-Rumianca per circa 500
miliardi di lire. Nel 1986 il tribunale di Roma condanna l'Imi al
risarcimento dei danni subiti da Rovelli. Nel 1990 la corte d'appello
di Roma conferma la sentenza di primo grado.
Pochi giorni dopo, il 30
dicembre 1990, Nino Rovelli muore a Zurigo lasciando alla vedova
e ai quattro figli l'eredità di una richiesta di risarcimento
che, compresi gli interessi, era arrivata a circa 800 miliardi.
Il contenzioso va in Cassazione e, mentre documenti scompaiono e
ricompaiono, si conclude il 14 luglio 1993 con una sentenza che
dà ragione agli eredi Rovelli.
A gennaio del 1994 l'Imi
liquidò le spettanze agli eredi Rovelli, per una cifra totale
di 980,3 miliardi, circa 300 dei quali finirono al fisco. Sessantasei
miliardi andarono a Previti, Acampora e Pacifico; ne rigirarono
una tranche a Renato Squillante. In questo caso, la corruzione non
è semplice. I pagamenti sono del 1994, quando il legislatore
ha corretto la norma inserendo anche per il soggetto privato (Rovelli,
Previti e compagni) il reato di corruzione in atti giudiziari.
È una vittoria per
la procura della Repubblica di Milano che si vede confermato l'intero
impianto accusatorio se si esclude la posizione di Filippo Verde,
per il quale evidentemente il Tribunale non ha ritenuto sufficiente
l'indizio di un passaggio di denaro. È una sconfitta per
Cesare Previti, che ostinatamente ha voluto cancellare il processo
delegittimando il lavoro della procura, l'imparzialità del
tribunale di Milano. È una brutta pagina per Silvio Berlusconi
che, incapace di vedere se stesso nelle pieghe di questo affare
giudiziario, invita a mettere mano alla riforma della giustizia
"nell'interesse del Paese" ovvero nel suo personale interesse.
|