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articolo tratto da "L'Espresso" del 16 maggio 2002


 

 

 








 
Giustizia / riforma della bancarotta
FALLITI E CONTENTI

 

 

 

di Peter Gomez e Marco Lillo

Riduzione delle pene. Cancellazione dei processi per chi risarcisce il danno. E prescrizioni più facili. È il progetto della Casa delle Libertà sulla bancarotta. Che salverebbe molti politici: da Dell’Utri a Martelli



Silvio, Silvio... speriamo che vinca Silvio... Intercettato dalle microspie della Guardia di Finanza, sospiravava così l’ingegner Antonio D’Adamo, ex direttore generale dell’Edilnord, poche settimane prima delle politiche del 13 maggio 2001. Arrestato il 6 febbraio dello scorso anno per il crac da 272 miliardi di lire di una delle sue società (l’Edilgest) il costruttore, celebre per essere stato il grande accusatore di Antonio Di Pietro davanti alla procura di Brescia, vedeva nella vittoria dell’amico Berlusconi l’unica possibilità per evitare un futuro in galera. E non aveva tutti i torti. La bancarotta fraudolenta per il nostro codice era (e per il momento è ancora) un reato grave, punito con la reclusione dai tre ai dieci anni, e a prova di prescrizione (il reato, in caso di aggravanti, si estingue infatti dopo 22 anni e mezzo).

Tutto però sta per cambiare. Lo scorso 14 febbraio, 34 deputati della Casa delle Libertà (metà dei quali avvocati) hanno presentato una proposta di legge che suona come un invito a nozze per tutti quei “falliti” che invece di pagare i creditori intascano il patrimonio dell’azienda o lo girano di nascosto a parenti e amici. Diciannove articoli accompagnati da una relazione di Niccolò Ghedini, l’onorevole avvocato di Silvio Berlusconi, che riducono di due terzi le condanne, rendono inevitabili le prescrizioni, impediscono le intercettazioni, cancellano i processi contro chi risarcisce anche solo parzialmente il danno. E soprattutto garantiscono, per i condannati del passato, una sorta di amnistia.

Secondo Ghedini, la riforma, già all’esame della commissione giustizia, garantirà la «libertà d’impresa» compressa da norme vecchie «chiara espressione di un regime totalitario». Così la Casa delle Libertà (per la gioia dei 4 mila bancarottieri condannati ogni anno in Italia) prevede pene che vanno da uno a tre anni di reclusione (la metà del furto con scasso) e una prescrizione che con le aggravanti si ferma a sette anni e mezzo. «In un periodo così breve, è impossibile arrivare a una sentenza definiva», dice Riccardo Targetti, il pm che a Milano ha seguito alcuni tra i maggiori fallimenti degli ultimi anni. «Il risultato», continua, «sarà quello di rendere impossibile un vero risarcimento del danno. Oggi io concedo il patteggiamento solo a chi restituisce il maltolto ai creditori. Domani, invece, tutti aspetteranno con fiducia il colpo di spugna del tempo».

Anche il giudice delegato del tribunale di Roma Vincenzo Vitalone è scettico, quanto meno sulle modalità seguite per cambiare la legge: «L’errore è quello di cambiare le pene prima che la commissione tecnica ministeriale abbia ultimato il suo lavoro sulla legge fallimentare». La Casa delle Libertà però ha fretta, e per evitare le polemiche il relatore Niccolò Ghedini ha dichiarato il 23 aprile di essere disposto a far salire il massimo della pena «a cinque o sei anni, purché il momento in cui si configura il reato (e quindi il momento da cui decorre la prescrizione, ndr) venga anticipato alla situazione di dissesto che precede il fallimento». Ma in questo modo il problema prescrizione rimane. Infatti il dissesto, cioè lo stato di crisi irreversibile che impone la «presentazione dei libri in Tribunale», risale in media a quattro o cinque anni prima della dichiarazione di fallimento.

«Per rispondere alle rogatorie sul Banco Ambrosiano la Svizzera ci ha messo otto anni», ricorda il maresciallo Silvio Novembre (il finanziere interpretato da Michele Placido nel film “Un eroe borghese”) che affiancò Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana ucciso dalla mafia su ordine di Michele Sindona. «Come dire che i grandi bancarottieri non saranno più condannati».

Per questo Giovanni Kessler, ex magistrato e ora deputato ds in commissione giustizia, giura che il centro-sinistra «farà un’opposizione durissima a un progetto di legge presentato da molti avvocati che concepiscono il loro impegno in Parlamento come una prosecuzione della professione». La partita è rovente. In gioco c’è la sorte di una serie di parlamentari eccellenti. Alcuni dei quali intimi del presidente del Consiglio: a Milano, per esempio, deve cominciare il processo di secondo grado per il crack Bresciano. Imputato è Marcello Dell’Utri che, in caso di condanna, finirebbe in carcere (è pregiudicato dal 1999 per false fatture). In primo grado si sta poi difendendo l’ex compagno di classe di Berlusconi, Romano Comincioli. Mentre Claudio Martelli (crack Ambrosiano) e il leghista Mario Borghezio, dopo l’annullamento della Cassazione, devono tornare davanti ai giudici d’appello. In Sicilia si trovano sotto processo gli onorevoli di Forza Italia Gaspare Giudice e Giovanni Mauro (quest’ultimo ha avuto tra i difensori uno dei firmatari della proposta di legge), e a Piacenza tocca all’ex numero uno della Bnl Giampiero Cantoni. Il ministro per le pari opportunità Stefania Prestigiacomo trepida invece per il destino del padre coinvolto nel dissesto dell’azienda di famiglia.

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Anche perché nuovi fronti si aprono ogni giorno. Proprio il 13 febbraio, Giovanni Alvisini, un uomo di affari romano inquisito nell’ambito di un’indagine sul crack dell’emittente Lombardia 7, ha mosso accuse precise all’ex titolare Paolo Romani, responsabile comunicazioni di Forza Italia, che si è dichiarato estraneo alla vicenda. E a Bergamo è finito sotto inchiesta il deputato azzurro Antonio Arnoldi per fallimenti collegati a quelli della tv di Romani. «Non sapevo che fossero così tanti gli indagati per bancarotta in Parlamento ma non mi interessa. Questa legge non riguarda solo qualche parlamentare ma decine di migliaia di italiani», replica l’avvocato Sergio Cola di An, primo firmatario della proposta. E precisa, a scanso di equivoci, di avere rinunciato alla difesa del figlio del bancarottiere Franco Ambrosio dopo aver depositato il testo delle nuove norme.

Resta il fatto che, a fronte di tanti illustri presunti bancarottieri che verrebbero beneficiati dalla riforma, ci sono milioni di italiani sconosciuti che ne pagherebbero le conseguenze. «Questo è un reato che cagiona danni a una moltitudine di risparmiatori», spiega l’avvocato Gianfranco Lenzini, difensore delle “vittime” del crack del Branco Ambrosiano. «Penso a tutti gli acquirenti di immobili dalle società che falliscono prima del rogito. Io stesso assisto centinaia di compratori di villlette nei villaggi sardi di Torre dell’Orso, Carbonin e Cala Rossa, che senza la minaccia della sanzione penale e l’intervento della procura difficilmente riuscirebbero a recupare una parte dei soldi pagati». E che gli imputati risarciscano per paura è dimostrato da quello che è accaduto a Milano durante il processo per uno stralcio del crac Sasea (la bancarotta da 1.000 miliardi di Florio Fiorini). La parte civile, costituita contro la Kpmg, si è ritirata non appena i revisori hanno versato al fallimento 30 miliardi pur di garantirsi una pena più leggera.

Anche la legge del Polo sembra battere la strada dei risarcimenti. Tra gli articoli è infatti prevista una causa di estinzione del reato: in pratica non verrà processato chi restituisce i beni sottratti in misura tale da «ridurre grandemente (e non totalmente, ndr) il pregiudizio dei creditori». «Questa norma rischia di aumentare le bancarotte», dice Alfredo Robledo, il magistrato che ha seguito tra l’altro la bancarotta miliardaria Trevitex. «Già oggi il 50 per cento dei crack fraudolenti sono opera di bande. Criminali che rilevano società decotte, acquistano merci per miliardi e spariscono. Domani chiunque potrà organizzare una bancarotta da 100 miliardi, farne sparire 30, restituirne 70 e non andare sotto processo. E potrà ricominciare». Oggi non va così. Nel 2000 il consigliere milanese di Forza Italia Massimo De Carolis per ottenere il patteggiamento nella bancarotta della società Dialogo ha dovuto restitutire il maltolto: un miliardo e 815 milioni. Con la nuova legge ne avrebbe risparmiati almeno 600.



  da "L'Espresso" del 16 maggio 2002

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