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La Fininvest ombra
di Domenico Marcello
Il sistema di società estere di Berlusconi: qui sono transitati
più di mille miliardi per ogni genere di operazioni. Illegali
Già la Fininvest ufficiale
non è un modello di trasparenza, con quelle 22 o 38 misteriose
holding attorcigliate tra loro che la controllano. Ma c'è
anche una Fininvest segreta, una Fininvest ombra. Un sistema di
oltre 60 società domiciliate nei paradisi fiscali. È
il "comparto riservato" del gruppo Fininvest, la "Fininvest
Group B - very discreet". Doveva restare sotterranea, pronta
per compiere le operazioni più delicate, quelle che non si
possono fare alla luce del sole per via di fastidiose leggi che
mettono odiosi paletti ai comportamenti dei liberi imprenditori.
Invece la Procura di Milano, aiutata anche dalle polizie fiscali
di Sua Maestà la Regina d'Inghilterra, l'ha scoperta e la
sta per mandare a giudizio. Perché attraverso le società
estere del "Group B" - questa l'ipotesi accusatoria -
sono state compiute, fuori da ogni bilancio, fuori da ogni controllo
fiscale e societario, molte operazioni illegali: dalla conquista
di Tele 5 in Spagna al controllo di Telepiù, dalle scalate
a società come Rinascente, Standa, Mondadori a strani finanziamenti
miliardari concessi a Giulio Malgara, il presidente dell'Auditel
tv, dall'acquisto di calciatori al ripianamento dei bilanci del
Milan, dal finanziamento di uomini politici al pagamento di giudici
del Tribunale di Roma per comprare sentenze favorevoli... Ma per
capire come funziona questa Fininvest ombra è necessario
fare un passo indietro.
A giugno del 1996 la Fininvest è
a un passo dal baratro. Il Biscione ha una posizione finanziaria
netta negativa di 2.396 miliardi. I manager cercano di spremere
liquidità dappertutto. Ma le banche hanno già dato
e sono in guardia. La locomotiva del gruppo, Publitalia, la concessionaria
che raccoglie la pubblicità per le reti di Berlusconi, sconta
le difficoltà del mercato pubblicitario. Pur di trovare dané,
è stata comprata la Standa.
L'azienda va male ma le casalinghe pagano subito e in contanti.
In compenso, i fornitori vengono pagati a 120-150-180 giorni e la
"casa degli italiani" sta andando in pezzi. Ma l'emergenza
impone sacrifici.
Per salvare la Fininvest Silvio Berlusconi ha solo una strada: staccare
dal gruppo la parte più appetibile e cercare di venderla
in Borsa quanto prima. Il 10 giugno 1996 la Consob, l'organo di
vigilanza, deposita il prospetto di collocamento di Mediaset, la
nuova subholding delle tre tv (Canale 5, Rete 4, Italia 1) presieduta
da Fedele Confalonieri.
A pagina 67 del documento si trova un paragrafo intitolato "Procedimenti
giudiziari e arbitrali". Ha il numero 17, forse non per caso,
e in quattro pagine mette in rassegna un formidabile elenco di guai.
Ecco il commento finale: "La Società (Mediaset, ndr)
non può escludere che sui corsi delle azioni Mediaset possano
influire sia un eventuale esito negativo dei suddetti procedimenti,
inclusi quelli relativi all'azionista di controllo, sia l'attenzione
da parte dei mezzi di comunicazione".
Il documento accenna in modo molto pudico al presunto falso in bilancio
Fininvest. Una riga in totale. Ma è proprio questa riga che
alimenta una tensione parossistica negli uffici milanesi del Biscione.
La preoccupazione è fondata.
La Procura di Milano ha appena ricevuto da Londra le carte del cosiddetto
"Fininvest Group B - very discreet". L'attenzione molesta
dei mezzi di comunicazione si è soffermata sul fatto che
decine di società estere, spesso controllate in modo occulto,
hanno creato fondi neri per 1.100 miliardi di lire. Lo strumento
principale per alimentare queste disponibilità extracontabili
è stata la compravendita alterata e contraffatta di diritti
televisivi e cinematografici. Secondo i giudici, uomini politici,
dirigenti del gruppo, calciatori e quant'altro sono stati pagati
in questo modo per anni.
Nello sforzo di non compromettere lo sbarco in Borsa tutti gli uomini
di Mediaset ripetono ossessivamente: noi non c'entriamo con l'inchiesta,
noi non c'entriamo con Fininvest.
Lo slogan è credibile? No, per tre motivi. Uno: Mediaset
è una controllata di Fininvest al 72%. Due: i principali
amministratori di Mediaset e quelli di Fininvest sono per lo più
le stesse persone. Il terzo è il punto più importante,
anche se non sembra. Nel mondo old economy del 1996 una società
da quotare viene valutata sulla base del patrimonio. Ora, il patrimonio
di Mediaset nel 1996 sono né più e né meno
che i diritti televisivi, cioè proprio il settore dove i
giudici sospettano gli illeciti più gravi. Solo nel periodo
fra il 1989 e il 1991, per fare un esempio, si sono volatilazzati
600 milioni di dollari in operazioni infragruppo su diritti negoziati
a Londra.
Il meccanismo è semplicissimo. La società A compra
dalla società B che vende a C con un sovrapprezzo. C rivende
a D e così via fino a Z. Da A a Z sono tutte controllate
occulte Fininvest. Da A a Z si tratta sempre dello stesso film.
Solo che costa cento anziché dieci. La differenza fra dieci
e cento sono fondi neri. D'altra parte, i dirigenti del Biscione
possono confidare sul fatto che le forti oscillazioni di prezzo
nel mercato dei diritti sono una cosa normale. Tanto è vero
che nel prospetto Mediaset la library dei diritti, cioè l'elemento
principale e decisivo per il prezzo di collocamento dell'azione,
è valutata 2.078 miliardi. Soltanto l'anno precedente valeva
meno della metà (909 miliardi) sulla base di stime fatte
prima da Claudio Scola, un perito del Tribunale di Bergamo, con
la collaborazione della società specializzata Bannon. L'ultima
cifra (2.078 miliardi) è stata indicata nel maggio del 1996
dalla Kagan world media, un'altra società specializzata nella
valutazione dei diritti con sede a Los Angeles.
Questa breve ricostruzione mostra come, nel giugno 1996, l'ombra
del Fininvest Group B sulla quotazione di Mediaset sia spessa e
fitta. In Italia, però, nessuno sembra accorgersene. Ognuna
delle parti in causa tiene gli occhi fissi sul suo particulare e
agisce in base alle norme del suo mestiere.
Incominciamo dalla magistratura. Il sostituto procuratore incaricato
dell'inchiesta è Francesco Greco. È un esperto di
reati finanziari sostenuto da una brillante squadra di polizia giudiziaria.
Pur essendo un membro storico del pool Mani pulite, non condivide
il metodo Di Pietro fatto di arresti, confessioni e inchieste rapide.
Ma gli scontri fra i due hanno avuto scarsa pubblicità e
Di Pietro si è tolto la toga un anno e mezzo prima.
Greco ha in mano ottimi elementi di prova documentale. Ha chiesto
e ottenuto il prezioso appoggio del Serious fraud office (Sfo),
una delle strutture anticrimine finanziario più preparate.
Il 16 aprile 1996 gli inglesi del Sfo hanno perquisito gli studi
londinesi della Cmm secretaries/Edsaco group dell'avvocato David
McKenzie Mills. Il bottino è stato ricco. Mills gestiva decine
di società estere per conto della Fininvest, e di altri gruppi
italiani come Benetton e Vender. Pesanti elementi di prova sembrano
mostrare che cifre enormi sono state sottratte ai bilanci ufficiali
a partire dal 1989 fino allo stesso 1996.
Tutti i giornali più importanti ne parlano e non solo in
Italia. Si occupano dell'affare gli inglesi e poi gli spagnoli,
da quando, il 22 maggio 1996, il giudice Baltazar Garzón
si presenta a Milano per avere aiuto nella sua inchiesta sul controllo
occulto di Tele 5.
Tutta questa agitazione non turba più di tanto la Consob.
L'organo di controllo al tempo guidato da Enzo Berlanda si mostra
soddisfatto della clausola apposta al paragrafo 17 del prospetto.
Chi compra titoli Mediaset lo fa a suo rischio, come sempre accade
in Borsa. Forse con Mediaset il rischio è un po' più
alto, ma tant'è.
Fra Consob e magistratura non c'è comunicazione perché
non è obbligatorio che ci sia. La magistratura è il
potere giudiziario, che è autonomo e dipende solo dalla legge.
E la Consob? Per quanto bistrattata e considerata da molti quasi
alla stregua di un ente inutile, la Consob è un organismo
altrettanto autonomo. Con una piccola differenza. I suoi commissari
non sono nominati con un concorso, come i giudici, ma dal ministero
del Tesoro. In altre parole, la Consob risponde al potere esecutivo.
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