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dal Corriere della sera, giovedì 27 Settembre 2001




 
Il magistrato svizzero Bernard Bertossa:
«Rogatorie all’italiana, una catastrofe per la giustizia»

 

 

 

Il procuratore generale di Ginevra contro la legge voluta da Berlusconi che danneggia la collaborazione giudiziaria internazionale.

Intervista di Paolo Biondani

«Questa legge è una catastrofe per la giustizia internazionale. In dodici anni di collaborazione giudiziaria con Paesi di tutto il mondo, non ho mai visto norme del genere. Prima d’ora, mai. Queste vostre nuove regole sulle rogatorie sono in contrasto con tutti gli accordi tra Stati sulla validità delle prove raccolte all’estero: si tratta chiaramente di disposizioni politiche dirette a far cadere le indagini e i processi più delicati. Ma anche per il futuro, per noi magistrati svizzeri diventerà molto più difficile, anzi praticamente impossibile, continuare a collaborare con l’Italia nelle indagini sulla corruzione, sul riciclaggio dei patrimoni mafiosi e sulle organizzazioni che finanziano il terrorismo. Non resta che sperare in un intervento di Bush sul vostro premier Berlusconi: Osama Bin Laden ha soldi in Italia?» Il procuratore generale di Ginevra, Bernard Bertossa, boccia con parole severe la nuova legge italiana sulle rogatorie svizzere e sulla collaborazione giudiziaria internazionale. Una riforma, o controriforma, che il centrodestra intende far approvare oggi dal Parlamento.

L’alto magistrato elvetico (eletto dal popolo), quella «legge italiana» la studia da tempo «e con sincero stupore». Scorrendone gli emendamenti più discussi, ben in vista al centro della sua scrivania, il francofono Bertossa ne discute in un buon italiano, senza pose o toni da denuncia, ma con l’aria di chi si limita a constatare un’evidenza. Dal suo ufficio vista lago, al terzo piano del «Palace de justice», sono passate le più scottanti indagini internazionali: fondi neri del regime nigeriano, corruzione di finanzieri in Spagna, scandalo Elf e affaire Mitterrand in Francia. In cima alla sua libreria, una ventina di faldoni gialli intestati a Pacolli, Borodin e alla corte di Eltsin ricordano che è ancora apertissimo, tra l’altro, il famoso «Russiagate».

Procuratore Bertossa, alla luce della sua esperienza come giudica la legge sulle rogatorie che il parlamento italiano si appresta a varare?
«Mi sembra manifestamente in contrasto con la tendenza che si va affermando in tutti i Paesi più avanzati. In un momento storico in cui gli Stati Uniti e l’Ue premono per una maggior trasparenza finanziaria, proponendo di abbattere le barriere che frenano la collaborazione tra giudici e polizie di Stati diversi, l’Italia, invece di andare avanti, fa un grosso passo indietro».

Cosa la preoccupa in questa legge?
«L’articolo 17 è una cosa mai vista. Non conosco nessun’altra norma, nel mondo, in grado di cancellare prove già formate, come se certi versamenti bancari non fossero mai esistiti. Conosco per ragioni di lavoro le inchieste dei magistrati milanesi e so bene che stiamo parlando di documenti bancari di cui nessuno ha mai discusso l’autenticità: renderli addirittura inutilizzabili per qualsiasi irregolarità procedurale, per questioni cavillose sulla semplice trasmissione degli atti, è chiaramente una scelta politica, che contrasta con tutte le convenzioni internazionali sulla validità delle prove raccolte all’estero. L’articolo 12, con tutto il suo antistorico formalismo, poi, rischia di rendere praticamente impossibile collaborare con l’Italia anche per il futuro: non si può pretendere che un magistrato svizzero si adegui alla legge italiana, anzi debba diventarne addirittura un esperto. In questo caso mi sembra che l’obiettivo, in inglese “the goal”, sia soltanto la prescrizione dei reati».

Come spiega le scelte dei politici che governano l’Italia?
«Tra Italia e Svizzera c’è un accordo bilaterale già firmato, che puntava a rendere più rapide e meno formalistiche le rogatorie bancarie. Un patto internazionale, però, non può essere cambiato da una sola delle parti. Per annullarne gli effetti favorevoli, dunque, non resta che stravolgere la legge di ratifica».

Questo incidente sulle rogatorie modifica il suo giudizio sul governo italiano?
«In un dibattito con il ministro francese Fabius, ho già detto che il signor Berlusconi non mi sembra un campione di trasparenza finanziaria. Purtroppo devo aggiungere che l’Italia di oggi mi ricorda la Russia di Breznev: solo nell’ex Urss c’era un così ampio potere economico, mediatico e politico concentrato nelle mani di una sola persona. È paradossale che filosofie e impostazioni ideologiche così diverse arrivino a risultati così simili».

Pensa che le stragi terroristiche negli Usa possano favorire l’apertura delle frontiere investigative? Le indagini internazionali su corruzione, mafia e terrorismo continueranno a fermarsi nei soliti paradisi fiscali?
«Sono un po’ ottimista, ma non troppo. Gli interessi delle persone che nel mondo beneficiano della corruzione sono troppo forti per permettere che le operazioni finanziarie off-shore diventino davvero trasparenti. Una certa tendenza positiva c’è e riguarda anche Paesi come Liechtenstein e Lussemburgo. In Svizzera, da anni, è vietato aprire conti bancari senza indicarne il reale beneficiario economico. Ma in Francia, e perfino negli Usa, è ancora possibile aprire conti completamente anonimi. Sinceramente, penso che nemmeno il dramma dell’11 settembre sarà sufficiente a garantire una completa inversione di tendenza».

In Italia molti magistrati temono che la nuova legge sulle rogatorie possa favorire anche mafiosi e terroristi.
«Sono perfettamente d’accordo. Ma c’è anche un altro problema: non vorrei che a gestire le nostre rogatorie al Ministero fosse un avvocato dei mafiosi».

   

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