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di
Andrea Bonanni
La Repubblica, 5 luglio 2003
DR. JECKYLL
e Mr. Hyde, capitolo secondo. Berlusconi scherzava. Non ha chiesto
nessuna scusa. Il cancelliere Schroeder, che credeva di aver ricevuto
delle scuse formali, ha capito male. Anzi, è stato lui, Berlusconi,
a lagnarsi con Schroeder per essere stato "gravemente offeso"
dall'eurodeputato socialdemocratico Schulz. E comunque il capo del
governo italiano non intende chiedere scusa al Parlamento europeo
per aver insultato un suo membro e definito gli altri onorevoli
"turisti della democrazia". Il presidente dell'assemblea
Pat Cox, a nome di tutti i gruppi politici, esige una pubblica ammenda?
Berlusconi si stupisce: per dimostrare quanto egli ammiri il Parlamento
europeo ricorda che, bontà sua, ha persino offerto a Cox
una poltrona da osservatore al tavolo della Conferenza intergovernativa.
Se le poltrone tacitano Bossi,
perché non dovrebbero tacitare Cox? In compenso, il presidente
del Consiglio corre a Washington, dall'"amico Bush": il
primo capo di governo che incontrerà nel suo semestre di
presidenza europea. L'unico che lo capisce. L'unico che si è
congratulato per il suo discorso. Forse anche l'unico che, in questo
momento, è disposto a difenderlo.
Appena rientrato in Italia dopo la catastrofe di Strasburgo, Silvio
Berlusconi è tornato ad immergersi in quella che il Financial
Times definisce "la bolla mediatica in cui vive", che
si è costruito con il controllo delle tv e la compiacenza
di molti giornali, e in cui si adagia come in una placenta protettiva.
E il pendolo della doppia personalità torna sui registri
della strafottenza e della megalomania.
Lo abbiamo già visto
a Strasburgo: prima un discorso programmatico pacato e conciliatorio;
poi la rabbia, l'insulto, il dispiegarsi incontrollabile di un ego
ferito. Lo abbiamo rivisto a Roma: giovedì i toni calmi e
rasserenanti, le mediazioni diplomatiche, la telefonata di scuse
a Schroeder; venerdì l'impennata di orgoglio, la ritrattazione,
il ribaltamento della realtà in cui si dipinge come la vittima
offesa e reclama giustizia.
Noi italiani siamo abituati
a queste oscillazioni che animano e ipnotizzano il teatrino della
politica nostrana. L'Europa no. L'Europa non capisce. E fa bene,
perché la sua incomprensione del fenomeno Berlusconi nasce
dal rifiuto di una sintassi politica che distorce insieme la logica,
le regole e la realtà. I capi di governo olandese e lussemburghese,
democristiani, hanno invitato Berlusconi a chiedere scusa. Lo stesso
gli svedesi. Il portavoce del governo tedesco si limita a sperare
che "qualcuno vicino al premier Berlusconi gli dia un buon
consiglio". Illuso. L'ultima riemersione del Berlusconi-Mr
Hyde si spiega anche, probabilmente, con lo svolgimento tutto sommato
sereno e senza intoppi degli incontri con il presidente Ciampi e
con la Commissione di Romano Prodi. Che ormai, entro i limiti del
possibile, fanno finta di niente.
Berlusconi interpreta questi
silenzi come un segno della sua forza. Non capisce che sono, invece,
la spia della sua crescente solitudine.
Di fronte ad un comportamento
manifestamente anomalo da parte del premier italiano, l'Europa può
scegliere tra due strade. Può tenere duro, andare allo scontro,
cercare una pubblica umiliazione della sua pecora nera. O può
invece prendere la strada del guardare dall'altra parte, del fare
finta di niente.
Le dichiarazioni di Schroeder,
che ha definito l'incidente "chiuso in nome dell'Europa",
ripetute con toni diversi dai responsabili francesi e spagnoli,
lascerebbero credere ad una volontà dei governi di imboccare
questa seconda via, apparentemente conciliante. La sorte ha messo
sulla strada dell'Italia e del suo semestre di presidenza troppe
questioni importanti, a cominciare dalla Conferenza intergovernativa,
perché l'Europa si possa permettere di sprecare sei mesi
in discussioni inutili su una questione di principio. La decisione
di salvare il salvabile, di cercare di andare avanti nonostante
tutto, appare come una scelta realistica. Una scelta resa più
facile dalla mancanza di appuntamenti elettorali negli altri paesi,
che avrebbero invece reso molto fruttuosa per qualsiasi governo
uscente la drammatizzazione di uno scontro aperto con il leader
oggi più impopolare d'Europa.
Una scelta che sembra inevitabile
anche per quei poteri italiani che stanno rapidamente imparando
a misurare tutta la distanza che corre tra gli interessi del Paese
e quelli di chi lo rappresenta.
Ma, in termini diplomatici,
affermare che un incidente è chiuso "in nome" di
un bene superiore, equivale a dire che nella sostanza non è
chiuso affatto. Né potrebbe esserlo. Lo "strappo"
di Berlusconi non è rammendabile perché non ha contenuto
politico mediabile, non investe interessi negoziabili, non coinvolge
divergenze ideologiche confrontabili. Berlusconi non ha creato un
incidente che contrappone l'Italia all'Europa. Berlusconi è
l'incidente.
L'Europa non può comporlo,
se non dichiarandolo "chiuso" a priori, cercando di guardare
dell'altra parte e sperando che la prossima oscillazione del pendolo
tra il dottor Jeckyll e Mr. Hyde non crei sconquassi più
gravi. Il compito, non facile, di risolvere il problema Berlusconi,
può essere affrontato e risolto solo dall'Italia. Ma questa,
evidentemente, è un'altra storia.
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