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da La Repubblica, 3 luglio 2003




 
Pat Cox a Berlusconi: "Che c... hai combinato?"
Socialisti, liberali e verdi disertano la colazione

Sedie vuote al pranzo d'onore
governo italiano sotto processo

 

 

 

di Andrea Bonanni, La Repubblica

"SILVIO, what the fuck have you done!". "Silvio, che c... hai combinato!". Eccolo lì, nelle parole certo poco protocollari del presidente del Parlamento europeo Pat Cox, tutto il senso di sgomento, di costernazione, di incredulità per il disastro europeo con cui ieri il presidente del Consiglio Berlusconi ha sacrificato il semestre italiano sull'altare del proprio ego.

Mancano pochi minuti alle due. La conferenza stampa si è appena conclusa.
Berlusconi ha appena rifiutato di scusarsi per aver dato "ironicamente" del kapò al leader della delegazione socialdemocratica tedesca e per aver definito, sempre "ironicamente", gli eurodeputati dei "turisti della democrazia". Nel salon d'honneur al settimo piano del palazzo Louise Weiss del parlamento europeo, il disastro si misura dal numero di posti vuoti alla tavola imbandita per festeggiare l'inizio della presidenza italiana. Mancano i socialisti, mancano i liberali, mancano i verdi, manca l'estrema sinistra. Manca perfino l'euroscettico, ultra conservatore Jan-Peter Bonde. Ma, soprattutto, manca Gianfranco Fini. Silvio, che c... hai combinato", sibila Cox. Fini, prima di dileguarsi, deve essersi espresso più o meno negli stessi termini durante la "breve spiegazione a quattr'occhi" con Berlusconi.


Lo sgarbo protocollare non ha precedenti. Ma nemmeno il sacrilegio compiuto da Berlusconi, che in un colpo solo ha insultato il Parlamento e ha trasformato la Shoa in un argomento da barzelletta, ha precedenti nella storia europea del dopoguerra. Le espressioni dei pochi commensali rimasti sono di pietra. Arriva, con grande ritardo, il presidente del gruppo Ppe, Hans Poettering, tedesco. Altra faccia di pietra. Praticamente non si siede neppure a tavola. Prende da parte Berlusconi e anche lui sibila: "I miei sono furibondi, non ti sognare neppure di venire a ripetere alla riunione del gruppo popolare quello che hai appena detto in conferenza stampa". Poi lascia la sala. Il pranzo dura poco. Appena i camerieri portano il secondo, il presidente della Commissione Romano Prodi chiede scusa, invoca un impegno urgente e se ne va. Non ha scambiato con Berlusconi neppure una parola. Prima, in aula, quando ha dovuto andare al microfono "per riportare serenità", come gli ha chiesto di fare Cox subito dopo la bagarre scatenata dal presidente del Consiglio italiano, la sua voce tremava. Anche lui, come tutti, nella sala e fuori, era sotto shock. Forse lo è ancora. Prodi lascia il Parlamento senza fare dichiarazioni. Parlerà, forse, oggi con il presidente della Repubblica che lo attende per cena al Quirinale. Ma che cosa possono dirsi due uomini, uniti dall'impresa di aver portato l'Italia nel cuore dell'Europa, davanti allo spettacolo di ieri?

Questa è la cronaca del dopo-bomba. Il semestre di presidenza italiano dell'Unione europea è durato esattamente tre ore e mezza. Dalle nove e un quarto di mattina, quando Berlusconi ha preso la parola in aula per leggere un discorso esemplare punteggiato dagli applausi dei deputati, all'una meno un quarto, quando, parlando a braccio in una escalation incontrollabile di megalomania ferita, il presidente del Consiglio ha dato al mondo la prova di essere unfit to lead Europe, inadatto a guidare l'Europa, come aveva preconizzato l'Economist. Se anche tutti si affretteranno, per convenienza e per pietà, a dichiarare chiuso l'incidente, i prossimi sei mesi, se tutto va bene, saranno spesi per cercare di ricucire uno strappo la cui portata supera di gran lunga "l'incidente istituzionale" invocato dai socialisti.

In tanti decenni di vita, il Parlamento e l'Europa non avevano mai visto nulla di simile. Anni fa il presidente Chirac, subito dopo la ripresa dei test nucleari francesi, era stato accolto a fischi e insulti. In aula lo avevano contestato con striscioni e urla. Ma Chirac, pur furibondo, non aveva perso il senso della misura. Persino il famigerato Jean-Marie Le Pen, insultato e violentemente contestato durante una conferenza stampa l'anno scorso, non era sceso tanto in basso. Berlusconi ha superato tutti. Senza neppure rendersene conto, con poche battute ha offeso un'istituzione, il Parlamento, di cui era ospite in quanto massimo rappresentante di un'altra istituzione, il Consiglio. E ha ridotto a battutaccia da bar sport la tragedia del nazismo e dell'Olocausto, peccato originale del secolo sulla cui espiazione è stata costruita l'Europa. Con quali credenziali può adesso pretendere di ospitare a Roma la firma di una Costituzione europea, di una Carta dei valori che per primo ha dimostrato di non aver né letto né capito?

Non c'era traccia di soddisfazione, ieri, tra gli avversari politici italiani di Berlusconi. C'era costernazione, autentica, sincera. C'era il senso di sgomento per un sacrilegio che ha umiliato l'Europa, ma che rischia di ferire in modo irreparabile l'immagine dell'Italia. Anche perché il presidente del Consiglio, nel corso della conferenza stampa, si è fatto scudo del Paese per giustificare il proprio operato. "Gli italiani sono un popolo colto, intelligente, preparato alle cose della politica almeno quanto la media europea e ci hanno dato una grande maggioranza. Così offendete il popolo italiano", ha spiegato ripetendo il mantra di chi crede che l'elezione lo ponga al di sopra del bene e del male. Subito dopo l'incidente, quando ha dovuto sostituire Pat Cox alla guida dell'assemblea, il vicepresidente del Parlamento Renzo Imbeni era talmente sconvolto che ha sbagliato il posto su cui sedersi. Anche lui parlava con fatica.

"Vi prego, non identificate il nostro paese con questo terribile incidente" ha chiesto ai giornalisti stranieri la capodelegazione ds Pasqualina Napoletano durante una conferenza stampa in cui, seduta accanto al tedesco Schulz e allo spagnolo Baron Crespo, non è riuscita a dire molto altro. Costernazione, appunto. Un sentimento spontaneo e per una volta bipartisan ieri nelle sale del Parlamento. La stessa costernazione che ha spinto Gianfranco Fini ad alzarsi dalla poltrona su cui era seduto accanto al capo che straparlava, per andare a stringere la mano a Romano Prodi. "Che ti posso dire? Mi viene da piangere", gli ha confessato il presidente della Commissione.


   

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