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di
Sergio Sergi, l'Unità
Ride, il presidente-cavaliere.
Aspetta, seduto, l'inizio dei lavori del Consiglio europeo, ride
e conversa amabilmente con interlocutori di prim'ordine. Si sa come
vanno le cose prima di una riunione: si chiacchiera del più
e del meno, si tamburella con la penna sui fogli bianchi davanti
al proprio posto. Alla sua sinistra c'è il sottosegretario
agli Esteri, Roberto Antonione, che ha alle spalle, in piedi, il
consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Giorgio Castellaneta.
Ridacchia Silvio Berlusconi ma d'un tratto appare preoccupato. E
si sfoga con l'ambasciatore Umberto Vattani che, chinato su di lui,
cerca di non perdersi le ultime rivelazioni del suo presidente preferito.
Però, l'annuncio che Berlusconi inizia a fare provoca uno
sbandamento persino nell''irredimibile rappresentante permanente
a Bruxelles. Il presidente-giardiniere, forse immemore delle amorevoli
cure che dedicò alle fioriere di Genova, confessa: «Ambasciatore,
le devo proprio dire che questa politica agricola comune, la Pac,
io non l'ho mai approfondita.». Vattani barcolla ma sa che
non può svenire davanti a tutti i capi di Stato e di governo
e ai ministri degli Esteri che, a poco a poco, stanno affollando
la sala del summit, convenuti apposta per discutere tempi e modi
della riforma dell'agricoltura.
Detto per inciso: la «Pac» assorbe
quasi la metà del bilancio dell'Unione che raggiunge i 95
miliardi di euro. Berlusconi non ha «approfondito».
Insomma: non ha studiato. L'ambasciatore si capisce che vorrebbe
davvero scomparire, lasciarsi inghiottire dal nulla, proprio lui
che, prima d'essere Rappresentante Permanente Effettivo per il centro-destra,
è uno dei più profondi conoscitori delle politiche
europee. E dire che era andato, l'altro giorno, sino a Roma per
«prepararlo» al vertice, come è normale che sia.
Ma il «presidente B.» aveva altre gatte da pelare? Il
vertice europeo, cosaaaa? Piuttosto il vertice di maggioranza, caro
ambasciatore, che qui va tutto a rotoli tra Tremonti, Bossi, Buttiglione
e Follini.
Il giardiniere-presidente non capisce il malore
di Vattani. Che, rosso per la vergogna, prende ad annuire ritmicamente
ad ogni passaggio da brivido. Il presidente-bracciante continua
nel suo controvertice. Farfuglia: «Perché, pensavo
che nel 2006, con tutti i problemi che ci sono. Mah, ambasciatore
suvvia, si tiri su. Ho riflettuto, ho fatto un pensiero da liberista
e ho concluso che il fatto che ci siano degli aiuti speciali agli
agricoltori, come dire?, mi disturba. Sì, è una cosa
che non mi piace. perché se uno vuole fare l'imprenditore.
insomma perché tutti devono pagare. con i soldi nostri?».
Il presidente-coltivatore termina la riflessione e Vattani, sempre
chino, prosegue nell'assecondarlo. Dilaniato dal dubbio: dirglielo
che non è al bar ma al Consiglio Europeo oppure lasciar stare?
Perfidamente, l''ambasciatore, il sottosegretario e il consigliere
diplomatico lasciano il capo senza istruzioni. Il contributo italiano
nel duro confronto sulla proposta franco-tedesca per i contributi
agricoli diretti sarà stato sicuramente determinante. Il
ministro Alemanno sarà felice. Ma non c'è tempo per
queste quisquilie.
Ecco il presidente che s'alza di scatto. Ha
visto il cancelliere tedesco Schröder muoversi dal suo posto.
Quale migliore occasione per andargli a fare gli auguri di persona?
Detto per inciso: agli atti della cancelleria risulta che Berlusconi
è stato tra gli ultimi, e per lettera, a congratularsi per
la vittoria elettorale. Il presidente-coltivatore diretto scavalca
sedie, sposta tavoli nella speranza di incrociare il suo obiettivo.
Quando si dice la sfortuna: Schröder cambia tragitto, ora si
muove in direzione opposta vanificando l''impresa generosa del Nostro.
Il quale, con mossa abile, s''arresta, picchia sul vetro delle cabine
degli interpreti italiani e con la manina gli fa «ciao, ciao,
grazie». Una scena spettacolare. Le risorse non mancano: chi
l'ha detto che Berlusconi è malato e che non ce la fa più?
Maligni, pettegoli da strapazzo. Segue dimostrazione in diretta.
Passa il ministro Louis Michel, il corpulento liberale belga che,
nei mesi scorsi gliele ha cantate a B. e ai ministri di Alleanza
nazionale. La scena è da catalogare tra le più interessanti.
Il «ministro-ad-interim» placca
il «ministro-vero» Michel. Gli prende la mano e la tiene
in una stretta prolungata. Poi comincia la seconda parte del controvertice.
È il momento di nuove rivelazioni. Abbassando il tono della
voce, forse per timore che lo vengano a sapere i comunisti, gli
comunica quanto segue: «Sto facendo in Italia una politica
pro-gauche, a favore della sinistra, eh, eh». Michel, che
è stato di recente in ospedale, rischia il mancamento. Non
può scappare. Non può chiamare gli infermieri, per
sé e per quello. E deve ascoltare il resto: «Poi qualcuno
mi ha detto: Silvio, ma almeno dici qualcosa di destra!».
Michel si riprende, trova la forza e gli risponde: «Ecco,
la politica di destra ti viene molto più facile da fare».
Non l'avesse mai detto. Oddio, B. ritorna sui suoi passi. E riattacca:
«Ho aumentato le pensioni e ho ridotto le tasse.». Una
pausa. Confessa, pensoso: «Certo che, in questo momento, non
è facile fare la riduzione delle imposte.». Il Patto
con gli italiani è avvertito. Ma, bando alle tristezze. È
l'ora della cena. Eppur bisogna andare alla «Biblioteca Solvay»,
una splendida villa immersa nel parco Leopold, vicino al palazzo
del Consiglio Europeo. Il presidente-cuoco si presenta seguendo
il protocollo.
Accolto dal premier danese Anders Fogh Rasmussen,
quello «più bello di Cacciari», sale la doppia
rampa di scale. Lo fa lentamente. Arriva al piano e s''introduce
nella prima sala dove, in piedi, si trovano già i primi ospiti.
Si ferma. Alla sua destra il tavolino con i calici colmi di bevande
più disparate: succo di frutta, succo di pomodoro, champagne,
acqua minerale. Accade l'imprevisto. Dalla sala si muove verso l'uscita
nientemeno che il presidente francese Jacques Chirac. Dov'è
diretto? L''incertezza devasta il presidente-cameriere: gli va incontro?
La scena al rallentatore è agghiacciante. Il presidente-maître,
per non sapere né leggere né scrivere, si prepara
all''impatto. Sfodera il suo armamentario: 128 denti in fila, i
lati della bocca che quasi si squarciano a causa dell'innaturale
allargamento. Il capo dell'Eliseo è a tre passi, due, uno.
Ecco. Ma che succede? Chirac prende a strofinarsi le mani, come
si fa quando si ha freddo, prosegue nell'incedere, transita a 18
centimetri dal presidente-usciere ed esce. Con la bocca rimasta
spalancata B. fa un passo in avanti, afferra il primo bicchiere
e s'avvia. E dire che, sino all'altro ieri, dava del «Tu»
al mondo. A Bruxelles, ingrati, nemmeno un «Signor Lei». |