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articolo tratto da L'Espresso
 

scienza / il crollo dei finanziamenti
RICERCA A VUOTO

 

 

 

di Elisa Manacorda, L'Espresso

Erano stati promessi fondi consistenti. Invece sono stati diminuiti. E ai più bravi non resta che andarsene all'estero

Quando hanno destinato il premio Nobel per la Fisica al professor Riccardo Giacconi, i membri dell'Accademia reale di Svezia non pensavano certo di scatenare un putiferio nella patria dell'illustre scienziato. Un diluvio di appelli, lettere aperte, mozioni, assemblee, nelle quali il mondo dell'università e della ricerca italiano ha manifestato tutto il suo scontento. Sono preoccupati i ricercatori dell'Osservatorio astrofisico di Arcetri, così come gli illustri membri dell'Accademia nazionale delle Scienze. Si mobilitano gli universitari e i ricercatori del Cnr, si agitano quelli dell'Enea e degli istituti di Fisica.

Tutti insieme si sono ritrovati a discutere, il 10 settembre scorso, nella grande Assemblea della ricerca. A partire da una considerazione: se l'italianissimo Giacconi (è nato a Genova nel 1931) è stato premiato in quanto cittadino americano (è negli Usa dal 1977), vuole proprio dire che nel nostro Paese qualcosa non ha funzionato. È l'annoso problema del brain drain, la cosiddetta fuga dei cervelli. Per trovare un posto di lavoro adeguato alla loro formazione, uno stipendio degno di questo nome e magari anche degli strumenti con cui lavorare, i giovani italiani infilano il diploma in valigia ed emigrano. Mete preferite: gli Stati Uniti, ovviamente, che raccolgono l'8,7 per cento degli studenti italiani all'estero, ma anche Inghilterra (16,2 per cento), Germania (20,8 per cento), e poi Francia, Austria, Svizzera. Persino la Spagna, con le sue recenti politiche di incentivo alla ricerca, risulta un luogo spesso più promettente dell'Italia per chi ha scelto la strada del lavoro intellettuale.

D'altra parte, i numeri di casa nostra riflettono un panorama da Terzo mondo. «Le spese per la ricerca in Italia sono in calo da diversi anni», spiega Sveva Avveduto, primo ricercatore dell'Ispri-Cnr, «e la tendenza sembra inarrestabile. D'altra parte, questo è l'unico settore in cui i governi possono tagliare senza il rischio di sollevazioni popolari». Oggi la spesa per la ricerca rappresenta l'1,04 del prodotto interno lordo, contro una media europea del 2,3 per cento. Nel 2000, secondo i dati dell'Ocse, la percentuale sul Pil era dell'1,05. Nello stesso anno, l'Inghilterra ha stanziato l'1,83 per cento, la Germania il 2,29, la Francia il 2,18. Per non parlare di Paesi come Svezia e Finlandia, nei quali i valori superano il 3 per cento. Il disastro è ancora più tangibile se si considerano le cifre assolute: nel 1999 l'Italia ha stanziato 11,5 miliardi di euro, contro i 42 della media europea.

In effetti, anche il governo dell'Ulivo non era stato particolarmente prodigo con il settore: «Già nel passaggio dal 1998 al 1999 i fondi per la ricerca erano calati dell'1 per cento», continua Avveduto. Ma l'ultima Finanziaria di Tremonti ha dato il colpo di grazia. «Qualche esempio: nel 2002 l'Istituto nazionale per la Fisica della materia (Infm) ha ricevuto 24,35 milioni di euro. Nel 2003 ne riceverà 21,92. Un taglio pari al 10 per cento circa. Ma la doccia fredda è ancora più evidente se si considerano i buoni propositi del governo Berlusconi contenuti nelle Linee guida per la politica scientifica e tecnologica dell'aprile 2002, nei quali si promettevano all'Infm ben 34,94 milioni di euro», spiega Flaminia Saccà, segretario nazionale dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani.

E ancora: «Nel 2002 i fondi per l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) erano di 287 milioni di euro, nel 2003 saranno 258, meno 10 per cento anche qui. E pensare che le Linee guida ne promettevano 310... Per non parlare dell'Agenzia spaziale italiana (Asi), che vede immutati i finanziamenti (600 milioni di euro nel 2002 e nel 2003) ma che deve fare i conti con il suo programma triennale di sviluppo, nel quale gli accordi internazionali per il cofinanziamento di progetti prevedevano investimenti per 800 milioni di euro, cioè il 25 per cento in più».

Ancora più grave la situazione del Cnr. «Nel 2002 questo ente ha calcolato 550 milioni di euro di spese relative ai costi di gestione (412 milioni) e di infrastrutture (138 milioni di euro). Ebbene, per il 2003 i fondi ammonteranno a 487 milioni di euro», continua Saccà. Di qui l'appello a governo e Parlamento firmato dal presidente Lucio Bianco: se il ministero dell'Università e della Ricerca, che fa capo a Letizia Moratti, dovesse confermare il taglio del 10 per cento del suo contributo per 2003 e 2004, l'ente «non sarebbe in grado di finanziare nemmeno le spese fisse degli istituti di ricerca e quindi sarebbe costretto alla loro chiusura». Intanto, alcuni giovani vincitori di dottorati di ricerca hanno già ricevuto una letterina: spiacenti, per voi non ci sono soldi. Non c'è da lamentarsi se poi si scopre che in Italia ogni anno il numero di dottori di ricerca è meno della metà della media europea (4.500 contro 10 mila), e i ricercatori italiani rappresentano appena il 3,3 per mille della forza lavoro, contro il 5,7 per mille dell'Europa.

Se il panorama della ricerca pubblica è desolante, verrebbe da pensare: andrà certamente meglio nel comparto industriale, viste le predilezioni di questo esecutivo nei confronti del settore privato. Macché. «A differenza di Paesi come Finlandia, Portogallo e Irlanda, in Italia c'è una scarsa propensione delle aziende a finanziare progetti di ricerca», spiega Claudia Donati, responsabile del settore formazione del Censis. Anche in questo caso parlano le cifre: nel 1999 il settore privato ha coperto lo 0,01 per cento del Pil per la spesa in ricerca di base. In Francia è lo 0,06, negli Stati Uniti è lo 0,11. Perché questa débâcle? «L'Italia è un Paese di piccole e medie imprese, non c'è una struttura di ricerca organizzata, e quella poca che c'era è stata smantellata: penso all'industria farmaceutica e a quella chimica, che pure ci ha regalato un Nobel nel 1963 con Giulio Natta», continua Sveva Avveduto.

Ma a sparare a zero sono anche i diretti interessati. Paolo Annunziato, direttore del nucleo Ricerca e innovazione e Net Economy di Confindustria, all'ultimo convegno dell'Associazione dei parchi scientifici e tecnologici ha puntato sul mancato finanziamento del Far (Fondo per la ricerca applicata) gestito dal ministero dell'Università e ricerca, dove sono ferme 1.500 richieste di fondi per oltre 2.500 milioni di euro. Alcuni progetti presentati nel 1999 e nel 2000 erano già stati ritenuti meritevoli di finanziamento. Cosa faranno ora le aziende che li hanno avviati?

Il ministero si difende. Nel 2002 sono stati ammessi al finanziamento 187 progetti di ricerca industriale, per 347 milioni di euro su 480 milioni di costo complessivo. La Finanziaria 2001 ha istituito il Fondo per la ricerca di base (Firb) con 39 milioni di euro per tre anni. Dulcis in fundo, per l'operazione "Rientro dei cervelli" sono stati stanziati 40 miliardi di vecchie lire nel 2001, e altrettanti per il 2002 e 2003, per contratti con studiosi italiani all'estero. «Ma i contratti sono di tre anni», conclude Donati. «E se c'è una cosa che tiene lontani i giovani studiosi dall'Italia è proprio questa: la mancanza di continuità e di strategie nella politica della ricerca».

 

  articolo tratto da L'Espresso del 31 ottobre 2002
   

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