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articolo tratto da l'Unità
 

Torino, un piccolo incidente. Una lezione da ricordare.

 

 

 

di Furio Colombo

Nei giorni scorsi all’Università di Torino è accaduto un fatto di cui ha parlato su questo giornale il preside della facoltà di Lettere Nicola Tranfaglia.

L’assessore alla Cultura della Regione Piemonte, Giampiero Leo, ha partecipato alla cerimonia destinata a ricordare i quattro professori di quell’Ateneo (Ruffini, Carrara, Venturi, De Sanctis) che hanno perduto la cattedra per avere rifiutato di prestare giuramento al colpo di Stato del fascismo e al re che lo aveva consentito. Su 1250 docenti, solo dodici hanno rifiutato quel giuramento. Studenti e professori si erano riuniti per ricordarli, per ricordare in particolare i quattro di Torino, ciò che hanno perduto, ciò che hanno lasciato a noi, il loro esempio, il loro insegnamento.

L’invito all’assessore alla Cultura della Regione era puramente cerimoniale. Lo sanno tutti che una simile celebrazione non può riguardare la maggioranza e il governo di Berlusconi, nelle cui fila militano coloro che riscrivono la storia ogni giorno e che - tra lo stupore dell’intera Europa - continuano a sostenere che tutto, dalla dittatura alla guerra, alle persecuzioni, alla distruzione e morte di tanti italiani, di tanti giusti, è colpa dei comunisti. E tuttavia per buona educazione un assessore alla Cultura di questa destra viene invitato a partecipare al ricordo dei professori antifascisti e - sempre per buona educazione - a dire due parole.

Conosco l’assessore alla Cultura della Regione Piemonte. È una persona educata e in altri tempi è sempre stato il tipico rappresentante di istituzioni. Non questa volta. Ha le sue buone ragioni. Si rende conto, evidentemente, di essere parte di una organizzazione che ha una strategia urgente e coerente. In questa strategia negare, confondere, riscrivere la storia è importante perché il progetto finale è buttare all’aria la Costituzione antifascista, riscriverla nelle parti essenziali e non c’è tempo da perdere.

Tra le riscritture della storia italiana, la più importante è riuscire a far credere che questa Repubblica non è nata nel 1945 dopo la guerra di Liberazione dal fascismo e dal nazismo. No, la libertà è nata adesso, dalla lotta che Berlusconi ha personalmente condotto e vinto contro il comunismo, dopo cinquant’anni di dominio delle sinistre.

I lettori - come del resto l’opinione pubblica di tutta Europa - si chiederanno di quali cinquant’anni si sta parlando, visto che in Italia, nel dopoguerra, ha sempre governato la Democrazia cristiana, e poi, sia pure brevemente, Silvio Berlusconi. Negare tutto ciò, e affermare che in Italia c’è stata una dittatura della sinistra sembra un modesto scherzo di carnevale.
Ma un giurista competente e difficilmente discutibile come Franco Cordero nota che «i regimi, nel senso meno buono, hanno chiusure autistiche: distinguono efferatamente amico e nemico, rifiutano l’alternanza ravvisandovi una sciagura (...) In questo archetipo collocherei B. (Berlusconi, ndr) (...) i consorti gli girano intorno, yesmen dalla maschera bronzea»
(La Repubblica, 14 marzo).

Ecco spiegato il gesto di una persona altrimenti educata e consapevole delle situazioni sociali a cui partecipa. Può un adulto piemontese di buona cultura e di media sensibilità paragonare le risse studentesche dell’Italia libera degli anni Settanta nell’Università di Torino alla persecuzione sistematica dei docenti antifascisti nel regime fascista guidato dal Mussolini del delitto Matteotti, segnato dalle storie di Gramsci, di Gobetti, dei fratelli Rosselli?
È immaginabile che una persona normale, partecipando alla cerimonia ricordo di quattro uomini coraggiosi e di grande talento che hanno rinunciato a tutto, nella loro vita, pur di non servire il fascismo, possa confondere quell’evento che ha segnato la storia italiana con il disordine studentesco che è avvenuto a Torino come a Berkeley, a Torino come a Parigi, a Torino come alla Columbia University (ma molto meno che alla Kent University, se contiamo i morti)? No, non è possibile.
Quell’assessore stava obbedendo all’ordine di rappresentare sempre e dovunque la commedia del comunismo che ha dominato e straziato la vita italiana fino alla liberazione guidata da Berlusconi.

Altrove avrebbe fatto ridere. Non in Italia, non in questi anni. In quella circostanza ha offeso. Il Rettore gli ha chiesto di tacere. Ma hanno pensato i suoi giornali a gridare allo scandalo. Perché il buon assessore il suo ruolo lo aveva svolto.
Perché il compito era mostrare che il nemico da cui Berlusconi ci ha liberato è il comunismo, che gli eroi sono gli anticomunisti che hanno tenuto duro nei covi rossi delle università italiane. E adesso, se dobbiamo riunirci a celebrare qualcosa, ecco a che cosa dobbiamo inchinarci: a quelli che hanno tenuto testa al comunismo.

Mi dispiace per la persona e per la sua brutta figura. Ho sempre avuto di lui una impressione di decenza e di normalità.
Adesso non ci resta che constatare quanto sia fondata, anche dal punto di vista della cronaca, la descrizione di Franco Cordero sul regime che secondo lui, e secondo noi, si sta insediando. Vi stupisce che in una delle tante interviste rilasciate ai suoi giornali, l’assessore parli di «demonizzazione» e intraveda «terrorismo» tra gli studenti e i docenti che, indignati, gli hanno chiesto di andarsene?

Non stupisce, purtroppo. Perché questo è il piano, dire e ripetere che chi non sta al gioco è un terrorista. È un gioco tetro, che va dalle caserme di Genova alle bombe di Venezia e del Viminale, attribuite uno o due minuti dopo, «alla sinistra» attraverso tutte le televisioni che Berlusconi controlla. Mai nessuno farà sapere che l’insinuazione era falsa. Da quale rete o telegiornale?

Direte che l’evento di Torino è stata una piccola cosa. È vero. Ma rigorosamente in linea con un piano che è bene tenere presente per sapere e per capire.


  articolo tratto da l'Unità del marzo 2002
   

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