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articolo tratto da l'Unità
 

Beni culturali, i tagli "stonati" del governo

 

 

 

di Nedo Canetti

La mannaia arriva in silenzio. Quasi di soppiatto. In uno dei tanti «atti di governo» che vengono sottoposti all'attenzione del Parlamento. Ce ne sono a decine. Passano, per lo più inosservati. Anche il titolo di quello di cui ci occupiamo in queste note, è abbastanza anonimo. «Schema di riparto delle somme iscritte nello stato di previsione del ministero per i Beni e le attività culturali relative a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi per l'esercizio finanziario 2002».

È passato all'esame della commissione Pubblica istruzione del Senato.
Ma se si supera la naturale ritrosia per il consueto burocratichese di questi atti e si vanno a sfogliare le pagine ed a scorrere gli elenchi delle «somme iscritte», ecco che arrivano le brutte sorprese.

Il governo taglia, taglia di brutto. Già il finanziamento era ritenuto scarso gli anni scorsi e si erano levati mugugni e proteste.
Quest'anno, tanto per confermare l'attenzione dell'esecutivo in generale e del dicastero (il duo Urbani-Sgarbi) dei Beni culturali, in particolare, si decide una potatura secca del 17 per cento. I senatori della Casa della libertà in commissione non battono ciglio e concedono il via libera al provvedimento.

Protesta l'Ulivo, protestano i democratici di sinistra, che votano contro. «La finanziaria della destra - commenta Vittoria Franco, ds - prevedeva già pesanti tagli ai fondi per gli istituti culturali, che fanno il paio con quelli operati sul Fus (il Fondo unico per lo spettacolo ndr)».
«Attraverso ulteriori emendamenti - continua l'esponente della Quercia - di governo e maggioranza, inseriti nel testo alla Camera, i tagli sono addirittura arrivati a questo 17%: si tratta di una misura gravissima, che rischia di mettere in pericolo la sopravvivenza stessa di enti ed associazioni di rilievo nazionale e di importanza storica».

Per valutare la portata negativa della decisione, occorre considerare , oltre al fatto in sé della decurtazione dei fondi, altri due aspetti. Che la decisione arriva a sorpresa, senza che se ne avvertissero i prodromi e, secondo, che interessa i finanziamenti per i prossimi tre anni che gli interessati avevano già ovviamente impegnato. Ora comincerà sicuramente per loro un periodo di gravi difficoltà, con l'assottigliamento dei programmi e delle iniziative. La battaglia condotta dall'opposizione ha, comunque, sortito un risultato, se pur parziale. Il governo si deve essere reso conto dell'eco sfavorevole che il provvedimento avrà sicuramente in tutti i settori interessati. Ha perciò fatto una mezza promessa: rivedere le misure in fase di assestamento del bilancio. Prendiamo nota, a futura memoria. Singolare il parere votato dalla maggioranza. È tutto percorso da una evidente protesta per i tagli, per finire poi con la classica formula «esprime parere favorevole», con però un residuo sussulto di dignità. Si invita, infatti, il governo «a sostenere iniziative legislative che si propongono lo scopo di reintegrare le predette decurtazioni». Anche questo è da rubricare sotto il titolo «prendere nota».

Per capire però fino in fondo quale importanza il gabinetto Berlusconi assegna alla cultura bisogna ricordare che le cifre stornate da questo specifico settore sono servite per concessione di contributi in conto capitale per il settore tessile, dell'abbigliamento e della calzatura, mentre le riduzioni più generiche a tutta la Tabella C del bilancio dello Stato, al quale si fa riferimento in finanziaria, sono servite, nell'ordine, ad interventi nel settore autotrasporti, per un intervento a favore della regione Friuli-Venezia Giulia, per un contributo al Servizio sanitario nazionale applicato sui premi delle assicurazioni per la responsabilità civile.

Ed ora vediamo dove e come sono state affondate le forbici. Intanto, il dato generale. Da 38 milioni e 381 mila euro (oltre 743 miliardi) si scende a poco meno di 32 milioni, con una ghigliottinata di 6 milioni e 300 mila euro (123 miliardi), il 17%, appunto. L'elenco dei «colpiti» è lungo. Le Associazioni Reggio Parma Festival, Fondazione festival pucciniano e Centro europeo tuscolano perdono ciascuna 881 milioni e mezzo su 5 miliardi e 300 milioni di contributo iniziale; la Fondazione Rossini Opera festival di Pesaro, l'Associazione Ferrara musica e la Fondazione Ravenna manifestazione subiscono un taglio di 832 milioni e mezzo su 5 miliardi; 83 milioni in meno all'Associazione Amici del Teatro Petruzzelli. La famosa Fondazione Scuola di musica di Fiesole 166 milioni e mezzo in meno su un miliardo; lo stesso che capita all'Istituto universitario di architettura di Venezia. Brutti colpi anche per gli ambientalisti. Italia nostra perde 70 milioni su 400; il Fondo ambiente italiano 83 milioni su mezzo miliardo.

Non si salvano alcuni prestigiosi Istituti che possiedono archivi privati di notevole interesse storico, come il Gramsci, lo Sturzo, il Basso, che subiscono un salasso di 66 milioni su 365. E ancora. La Fondazione Maria Adriana Polo, per la gestione del proprio museo, avrà 166 milioni e mezzo di meno su un miliardo. C'è, infine, una sforbiciata generalizzata di 9 miliardi e 800 milioni di contributi ordinari su un nutrito numero di istituti culturali. Un'operazione ingiustificata che - come ha sottolineato un altro senatore ds, Giuseppe Mascioni - è stata «operata sulla base di meri criteri ragionieristici, che prescindono da valutazioni di merito».

Il sottosegretario Nicola Bono si è arrampicato sugli specchi, con la solita giustificazione delle esigenze di bilancio.

E l'altro sottosegretario, specifico del settore, Vittorio Sgarbi? Assente.

 

  articolo tratto da l'Unità del 15.03.2002
   

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