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resoconto stenografico della Camera dei Deputati


 

 

 








 
il paradiso dei Lunardi

 

 

 

di Antonio Padellaro

Come se niente fosse, Silvio Berlusconi procede nella realizzazione dell’Italia che ha in mente, paese felice dove, ecco l’ultima nuova, ci sarà un codice di procedura penale studiato per assolvere sempre e comunque Cesare Previti, e per sbattere in galera, anche 18 anni, il giudice accusato di «ingiusta condanna». Come se niente fosse, mentre la gente sta con la testa a Betlemme e a Ramallah, interrogandosi sulle conseguenze di una guerra senza apparente via d’uscita, il governo, di soppiatto, equipara il falso in bilancio a un’infrazione stradale e riduce l’etica dell’impresa a una pezza da piedi. Lui, l’illegalità riciclata e legalizzata, a colpi di maggioranza, la chiama riforme, e il Berlusconi riformatore riscuote ormai vasto spazio nella titolazione dei principali quotidiani. Così come il Berlusconi grande mediatore internazionale, che discute con Putin sui destini del pianeta, entrambi in nero Armani, come gli eroi del telefilm Miami Vice.
Eppure, l’incalzante, progressiva modifica dell’assetto sociale, delle leggi e della struttura dello Stato, a cominciare dalla controriforma della sanità pubblica, la deregulation Sirchia che trasforma in moneta sonante (per le cliniche private) il diritto alla salute, insomma questo triste ritorno a un’Italia antica, ingiusta, egoista non sembra suscitare particolari emozioni nelle sentinelle dell’opinione pubblica. Degli atti del governo, della loro conformità al dettato costituzionale, del loro impatto sulla vita delle persone, è raro che vi sia traccia in ciò che scrivono e dichiarano. Editoriali e interviste dominati, invece, dalla morbosa ossessione-repulsione per la parola regime. A confutare l’esistenza, oggi, in Italia di una qualsiasi forma di autoritarismo, essi dedicano le loro migliori energie. Sempre pronti a scagliarsi contro il popolo dei girotondi e su quella che chiamano, con malcelato disprezzo, la feticizzazione dell’articolo 18. Sempre pronti a inveire contro l’estremismo parolaio di «certa sinistra», e a insolentire gli intellettuali che osano dissentire. Sempre pronti a spaccare in quattro il capello, quando si tratta di accertare il grado di liberalismo esistente nell’opposizione.
Ma sui limiti posti alle rogatorie internazionali, silenzio. Sul rientro dei capitali sporchi, silenzio. Sulla depenalizzazione del falso in bilancio, silenzio. Sulla legge Frattini che lascia inalterato il conflitto d’interessi, a parte i coraggiosi interventi di Giovanni Sartori, silenzio di tomba.

Il tacere è anche una tecnica collaudata del potere. Non rispondere, non replicare, lasciare cadere nel vuoto tutte le accuse, anche le più infamanti. Prendiamo il caso dei ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi. Non temano le vestali del liberalismo. Non perdano le staffe. Qui non si tratta di regime, nè di fascismo ma di un caso di ordinario malcostume. Il personaggio fece parlare di sè al momento della nomina governativa, a causa della Rok-soil, società di progettazione da lui posseduta e che fece giustamente temere possibili intrecci tra gli interessi del neoministro e quelli dello Stato. Poi Lunardi annunciò di aver trasferito le sue quote a moglie e figli, non mutando di un centimetro la natura del problema. Ma oggi il punto è un altro: la gestione regale del ministero da parte di colui che nel salotto di Vespa Berlusconi nominò sovrintendente supremo alle grandi opere.

Nelle ultime settimane l’«Unità» si è occupata spesso del caso in questione, con articoli di Enrico Fierro e Sandra Amurri. Ecco qualche spunto. Rimozione del presidente e dei vecchi consiglieri Anas, per installare al vertice un uomo di fiducia del ministro. Costo dell’operazione: 5 miliardi e 850 milioni. Sempre all’Anas: un funzionario, interdetto dai pubblici uffici a seguito di condanna, viene nominato direttore centrale dei lavori e componente della commissione di vigilanza sulle opere in via di attuazione. Nomina a direttore generale del ministero di un altro funzionario che quando era direttore delle autostrade, e Lunardi non era ministro, approvava i progetti che gli venivano presentati da suo figlio, dipendente della Rok-soil. Spese faraoniche per munire i nuovi consiglieri Anas di tutti i comfort: dall’arredamento personalizzato al telefono satellitare. Il ministero, le Ferrovie, l’Alitalia, l’Anas che si contendono, chissà come mai, gli uomini della Rok-soil.

A coronamento di questo fattivo scambio di esperienze e di poltrone, ecco la legge Lunardi. Già approvata dalla Camera, annulla la legge Merloni nata dopo Tangentopoli. Cancella ogni idea di programmazione di risorse e investimenti. Toglie alle amministrazioni pubbliche qualsiasi possibilità di progettare. Favorisce al massimo le società concessionarie. Elimina le gare d’appalto, non solo per le grandi opere. Costringe, di fatto, alla convivenza con la mafia attraverso il subappalto e l’eliminazione dei certificati di garanzia. Qualcuno l’ha definita una legge personale. Intanto le opere definite strategiche da Berlusconi nel salotto di Vespa da 20 sono diventate 250.

Credete che Lunardi abbia mai replicato a queste osservazioni? Credete che le vestali del liberalismo abbiano avuto qualcosa da obiettare a quest’uso assai poco liberale di una funzione di governo?

   

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