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di Pietro Cheli
Indro Montanelli per anni lo considerò
un vero amico. Poi ci fu il divorzio con conseguenze ancora drammatiche
Direttore che cosa succede? "Non
riesco a capire perché se la sia presa tanto per una semplice
dichiarazione di voto che era implicito in quello che vado scrivendo
da tempo". Indro Montanelli non si capacita di essere al centro
da qualche settimana di un'aggressiva campagna da parte di Berlusconi
& Partners per aver detto che voterà Ulivo. "Non
mi sento ferito da tante volgarità. Ma amareggiato, quello
sì. Francamente non mi aspettavo che Mario Cervi sfoderasse
il brando per difendermi, ma perlomeno che tacesse e invece in un
giornale che portava sino a pochi giorni fa la sua firma come direttore
debbo leggere cose che non stanno né in cielo né in
terra come il fatto che studiavo la Voce già prima di uscire
dal Giornale. C'è anche chi tra i suoi non lo serve: sul
Foglio di oggi (martedì 27, ndr) c'è un editoriale
anonimo che spiega come questa aggressione sia sbagliata".
Una storia che inizia in realtà
sette anni fa quando il decano della stampa italiana lasciò
il quotidiano da lui fondato nel 1974 perché "Berlusconi
mi fece una guerra sorda e sordida, facendo capire ai giornalisti
che se me fossi andato avrebbe dato i mezzi per potenziare il giornale.
Anzi, lo disse proprio in un'assembea". Una rottura dopo un
sodalizio durato anni tra il direttore e il padrone del Giornale.
"Lo conobbi nel 1977. Mi era capitato di visitare da turista
Milano 2 e mi era piaciuta, poi capitò che a inizio giugno
venissi ferito e allora venne in clinica, si mise accanto al mio
letto e non lo mollò più. Era commosso, o almeno lo
sembrava. Chiese anche cosa poteva fare per il Giornale, gli dissi:
"Compra qualche azione". Avevamo qualche difficoltà;
poca pubblicità e pochi soldi. Lui comprò, con poche
palanche a dire il vero. Poi, dieci anni dopo, comprò tutto
e glielo vendemmo con gioia perché si era comportato benissimo:
quando veniva al Giornale si fermava all' amministrazione".
Nel frattempo però era venuta fuori la P2 di cui Berlusconi
aveva la tessera. "Una bufala, non Berlusconi, la P2. Non infierii
mai su chi aveva quella tessera".
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