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di Gian Carlo Caselli
La stagione che stiamo vivendo si potrebbe
definire delle grandi illusioni. Non nel senso delle speranze deluse.
Nel senso delle illusioni come trucchi da prestigiatore, come alchimie
per i gonzi. Sempre più spesso, infatti, cose false (o deformate)
vengono contrabbandate come vere (o corrette). E si vorrebbe che
fossero accettate senza fiatare. Chi osa discuterle viene tacciato
di ignoranza o incompetenza.
Oppure lo si accusa di voler demonizzare l'interlocutore,
che da questo atteggiamento politicamente scorretto (non al passo
coi tempi nuovi) trarrebbe inesorabili e corposi vantaggi. Così
si impongono «verità rovesciate». Si fa salire
l'acqua verso l'alto, sconvolgendo le regole della logica.In tema
di legalità e giustizia la principale «verità
rovesciata» colpisce i custodi stessi della legalità,
cioè i magistrati. Se devono occuparsi - ricorrendone i presupposti
di legge - di imputati «eccellenti», se assumono iniziative
o prendono decisioni (ancorché legittime) non gradite, ecco
scatenarsi su di loro una gragnola di insulti e calunnie. La più
frequente è quella di giustizialismo. Qui i giochi di prestigio
cominciano addirittura con il conio delle parole da usare. Perché
giustizialismo è parola che con i problemi della giustizia
non c'entra per nulla. Secondo l'Enciclopedia Europea Garzanti,
giustizialismo è «l'ideologia ispiratrice del movimento
politico formatosi intorno alla persona di J.D. Peron, Presidente
dell'Argentina dal 1946 al 1955 e dal 1973 al 1974; il giustizialismo
unì all'interclassismo e al populismo demagogico di ispirazione
cattolica una carica nazionalistica ed antiparlamentare, esaltando
il ruolo dell'esercito; costituì un importante tentativo
di armonizzare capitale e lavoro; alle forze armate fu affidato
il compito di gestire questa alleanza; molti furono i punti che
il giustizialismo ebbe in comune con le tendenze antidemocratiche
e autoritarie di destra e di centro».
Ecco invece che in Italia la parola giustizialismo viene applicata,
come un coniglio estratto dal cilindro, alla giustizia penale. Una
parolaccia, che nel nostro vocabolario con questa accezione non
esiste neanche, viene ripetuta fino alla noia, finché tutti
(anche chi dovrebbe opporsi ai neologismi sospetti in quanto coniati
da fonti e per scopi interessati) la usano correntemente. Ed il
gioco è fatto. Non si parla più di giustizia, ma di
giustizialismo, appunto: dando per scontato ed incontrovertibile
che vi sia stato o vi sia - sistematicamente - un uso scorretto
della giustizia penale, non rispettoso delle regole. Una specie
di clava per regolare conti. In sostanza, ci si inventa e si impone
una parola che suona di per se stessa fortemente denigratoria: costringendo
gli interlocutori a partire da questa «verità rovesciata»,
ossia da posizioni che in ogni caso distorcono in radice il dibattito.Perché
si è fatto uso di questa tecnica? Dove sta il trucco? Ancora
una volta bisogna ricordare che a partire dal 1992 la magistratura
italiana (sia pure con luci ed ombre, sia pure con alcune insufficienze
ed errori) ha dato concreta dimostrazione - con le inchieste di
"Mani pulite" e sui rapporti fra mafia e politica - di
voler applicare la legge in maniera davvero uguale per tutti, senza
più le «tradizionali» differenze fra poveracci
e potenti. Questo modo di interpretare la propria funzione ha convogliato
sulla magistratura un enorme consenso popolare, ma ha anche scatenato
la reazione dell'Italia dei furbi, degli affaristi e degli impuniti:
di tutti coloro che le regole le sentono come un fastidio o le considerano
un impedimento al loro affermarsi o addirittura le violano sistematicamente
e poi pretendono che nessuno gliene chieda conto. Cominciano allora
le campagne di denigrazione dei magistrati che per dovere professionale
si trovano ad incrociare interessi «forti». Da ambienti
del centrodestra (quasi sempre nel silenzio o nella rassegnata accettazione
del centrosinistra) parte una valanga di insulti e menzogne, con
puntuale organizzazione di modi, tempi e distribuzione dei ruoli.
Senza risparmio di mezzi. Tutti i giorni e tutte le sere. Sui giornali,
per radio e in televisione. Non era facile, però, superare
lo scoglio dell'enorme consenso riscosso dalla magistratura. Di
qui la necessità di inventarsi qualcosa per far ingoiare
all'opinione pubblica la polpetta avvelenata dell'attacco ai magistrati
scomodi, per indorare la pillola impresentabile dell'aggressione
contro onesti servitori dello stato. Detto fatto, ecco un bel po'
di trucchi da illusionista, «bufale» che colpiscono
l'immaginazione e che la nota tecnica del trapanamento ossessivo
dei cervelli finisce per trasformare in «verità rovesciate»:
partito dei giudici, teoremi giudiziari, toghe rosse, politicizzazione,
giacobinismo e via inventando: fino al suggestivo giustizialismo,
un pregiudizio (anche linguistico) usato per falsare il risultato
praticando un gioco intimidatorio e pesante, per mettere l'avversario
in fuori gioco prima ancora che la partita abbia inizio. La manipolazione
che rovescia la verità arriva poi al top quando si invocano
i sondaggi. Sono anni che la magistratura deve subire un vero e
proprio bombardamento (per chi volesse qualche particolare, mi permetto
di rinviare al libro "L'eredità scomoda" che ho
scritto con Antonio Ingroia e Maurizio De Luca per l'editore Feltrinelli:
alle pagine 77-80 e 190-192 si possono trovare, in quantità
industriale, esempi concreti di un'incredibile inciviltà).
Alla fine, gli effetti sull'immagine, sul prestigio e sulla credibilità
della magistratura non possono che essere devastanti. A questo punto,
c'è sempre un sondaggista che bello bello ci informa sull'indice
di gradimento che la magistratura riscuote nel paese. Vuoi vedere
che a forza di bastonate mediatiche l'indice è sceso? Vorrei
un po' vedere che non fosse così! Solo che i risultati dei
sondaggi, invece di prenderli per quel che sono, cioè la
conseguenza ovvia e diretta di ripetute e scientifiche campagne
di delegittimazione, scatenate senza tregua contro i magistrati
in questi anni, vengono assunti come riscontro e conferma della
tesi secondo cui i magistrati sono brutti e cattivi, politicizzati
e giustizialisti. Calunniate, calunniate, qualcosa resterà:
quanto meno nei sondaggi. E siccome i sondaggi oggi sono - per qualcuno
- poco meno di verità rivelate, eccoci di nuovo al rovesciamento
della verità. Se volete, al corto circuito. Che giova soltanto
a chi, alle analisi serie, preferisce il gioco delle tre carte.
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