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articolo tratto dal numero de "L'Espresso" del 7.8.2002
 
Inimitabile capocomico
lo show di S.B. davanti ai nostri ambasciatori

 

 

 

di Eugenio Scalfari

Le Camere stanno chiudendo i battenti, la politica va in vacanza per un mese, ma le notizie sul Capocomico, per fortuna, non ci mancheranno. Silvio Berlusconi, tra le tante qualifiche operose che si era attribuito, questa l'aveva dimenticata non so se per furbizia o per sbadataggine; eppure è quella che più di tutte le altre gli si addice. Personalmente l'avevo capito da tempo (scusatemi se rivendico questo piccolo merito, ma ci tengo); infatti ho sempre pensato e scritto che più che un imprenditore S.B. è un impresario, tra le due definizioni esiste una notevole differenza. L'imprenditore combina tra loro i diversi fattori produttivi e produce beni o servizi; l'impresario allestisce spettacoli e li dirige. Capocomico, appunto.

Ora, sia pure tardivamente, è stato lui stesso a colmare la lacuna. Pochi giorni prima di andarsene in vacanza per il meritato riposo, arringando gli ambasciatori italiani convenuti da tutto il mondo "ad audiendum verbum", ha detto che il suo desiderio più vivo sarebbe quello di metter su una compagnia filodrammatica per realizzare in teatro i "Promessi sposi" o per farne un film. Questa francamente ci mancava.

Debbo dire che negli ultimi tempi la "vis comica" di S.B. è andata via via crescendo fino a dilagare del tutto. I 50 minuti di show dinanzi agli ambasciatori rischiavamo di perderceli; c'erano, sì, i resoconti dei cronisti che avevano seguito l'evento, ma leggendoli abbiamo dubitato della loro veridicità. La passione del mestiere - abbiamo pensato - deve aver loro preso la mano, non è possibile che un capo di governo si metta in concorrenza con Alberto Sordi e riesca addirittura a batterlo sul suo terreno. Ma poi ne abbiamo avuto conferma inoppugnabile: il Capocomico era infatti così soddisfatto del suo show che l'ha fatto integralmente trasmettere da Emilio Fede nel tg di Rete 4. Abbiamo chiesto e gentilmente ottenuto la cassetta, l'abbiamo inserita nel nostro video e ce la siamo bevuta dal primo all'ultimo minuto. Beh, è fantastica, Benigni che è Benigni non ha mai attinto vette di così esilarante comicità. Bisogna arrivare a Chaplin quando, vestito con gli abiti di Hitler, fa girare su un dito il mappamondo.

In quei 50 minuti ne ha dette di tutti i colori. Ma il picco è stato quello dei dieci chili. «Negli ultimi mesi», ha esordito, «sono ingrassato di dieci chili». Silenzio nell'affollata platea mentre lui fa pausa e si guarda intorno con un viso che non promette nulla di buono, per misurare l'effetto di quell'annuncio.

In effetti tra gli uomini della Farnesina si comincia a diffondere un velo di preoccupazione, gli sguardi si incrociano, la pausa si prolunga, la suspense aumenta. Ma il Capocomico vuole di più. E prosegue, con un volto di pietra senza traccia di sorriso: «Il sarto è bravo e il doppiopetto nasconde, ma quei chili ci sono come attesta la bilancia». Un'altra lunga pausa, la suspense in effetti cresce, qualcuno sussurra al vicino: «Non sarà che prende troppo cortisone?».

Lui fa ancora un giro di sguardo sulla platea e poi «Suggerisco a tutti gli italiani di ingrassare dieci chili. Si sta benissimo!», scandisce. E poi una gran risata liberatoria, accompagnata da un boato di risate e di applausi, tutta la sala è travolta dall'effetto comico, "grande" è l'aggettivo più scambiato tra le feluche in poltrona, e giù battimani sinceri.

Vedendo quella sequenza m'è venuta in mente una pagina, debbo dire memorabile, di un librino prezioso, intitolato "Le rose del ventennio" di Giancarlo Fusco, che Sellerio ha ripubblicato qualche tempo fa. Vale la pena di raccontarlo.

La scena è il primo congresso, a Napoli, del Partito nazionale fascista. Corre l'anno 1921.

In platea e nelle tribune del teatro due schieramenti si guardano in cagnesco: gli uomini del manganello, i falchi si direbbe oggi, raccolti intorno a Farinacci, boss di Cremona; i nazionalisti monarchici guidati da Dino Grandi e da Federzoni. Mussolini sta seduto dietro il tavolo della presidenza, sul palcoscenico del teatro e osserva platea e tribune con i suoi occhioni tumidi alla Bruno Vespa, ma non è affatto contento di come stanno andando le cose. Teme soprattutto che Farinacci raduni intorno a sé tutto lo squadrismo e imponga al congresso la sua linea estremista.

Infatti, quando Farinacci è chiamato alla tribuna, gli applausi diventano devastanti per le orecchie del Capo. Il quale capisce che se non provvede subito a riprendere in mano il congresso tutto può esser perduto. Perciò, appena il gerarca di Cremona torna al suo posto in platea sommerso dagli abbracci della claque e dal lancio di fiori delle signore in tribuna, il Capo si alza. Attende che il silenzio si ristabilisca. Attende ancora girando e rigirando lo sguardo vellutato del seduttore e indurendo la mascella del domatore.

Finalmente, guardando in alto verso le tribune dice : «Ci sono donne qui?». Tutti i congressisti si guardano intorno, donne ce ne sono e tante, le rose del ventennio appunto, ma il congresso è spiazzato, colto di sorpresa: che avrà voluto dire il Capo?

Perché quella domanda così insolita? Il Capo aspetta. Nell'uso delle pause non l'ha mai battuto nessuno, neppure Bettino Craxi. Poi, scandendo le sillabe e metallizzando la voce, dice: «Vi debbo dire, camerati, che Francesco Crispi aveva due coglioni così» e fa il gesto.

Non fu un applauso ma un'ovazione da stadio, durò oltre dieci minuti. Nessuno sapeva che cosa avesse voluto dire, ma tutti erano sedotti. Le signore vuotarono i canestri che avevano riempito di rose e il Capocomico vinse il congresso.

M'è venuta in mente questa pagina dopo l'invito di S.B. agli italiani perché vadano in sovrappeso. «Si sta benissimo». Che avrà voluto dire? Un invito a lasciarsi andare, a non preoccuparsi della Borsa, a lasciar perdere la linea, a non imitare la spettrale magrezza di Piero Fassino, o più semplicemente a prendere lui come modello anche fisico, mettere su pancetta e permettersi il lusso di una giacca ben fatta da Caraceni? Vai a sapere. Ma alla fine gli ambasciatori erano contenti di fare i piazzisti del made in Italy e noi pure: esser guidati da uno così, all'estero ce lo invidiano tutti, ma a eguagliarlo non ci riusciranno

 

   
   

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