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di
Eugenio Scalfari
Le Camere stanno chiudendo
i battenti, la politica va in vacanza per un mese, ma le notizie
sul Capocomico, per fortuna, non ci mancheranno. Silvio Berlusconi,
tra le tante qualifiche operose che si era attribuito, questa l'aveva
dimenticata non so se per furbizia o per sbadataggine; eppure è
quella che più di tutte le altre gli si addice. Personalmente
l'avevo capito da tempo (scusatemi se rivendico questo piccolo merito,
ma ci tengo); infatti ho sempre pensato e scritto che più
che un imprenditore S.B. è un impresario, tra le due definizioni
esiste una notevole differenza. L'imprenditore combina tra loro
i diversi fattori produttivi e produce beni o servizi; l'impresario
allestisce spettacoli e li dirige. Capocomico, appunto.
Ora, sia pure tardivamente, è stato
lui stesso a colmare la lacuna. Pochi giorni prima di andarsene
in vacanza per il meritato riposo, arringando gli ambasciatori italiani
convenuti da tutto il mondo "ad audiendum verbum", ha
detto che il suo desiderio più vivo sarebbe quello di metter
su una compagnia filodrammatica per realizzare in teatro i "Promessi
sposi" o per farne un film. Questa francamente ci mancava.
Debbo dire che negli ultimi tempi la "vis
comica" di S.B. è andata via via crescendo fino a dilagare
del tutto. I 50 minuti di show dinanzi agli ambasciatori rischiavamo
di perderceli; c'erano, sì, i resoconti dei cronisti che
avevano seguito l'evento, ma leggendoli abbiamo dubitato della loro
veridicità. La passione del mestiere - abbiamo pensato -
deve aver loro preso la mano, non è possibile che un capo
di governo si metta in concorrenza con Alberto Sordi e riesca addirittura
a batterlo sul suo terreno. Ma poi ne abbiamo avuto conferma inoppugnabile:
il Capocomico era infatti così soddisfatto del suo show che
l'ha fatto integralmente trasmettere da Emilio Fede nel tg di Rete
4. Abbiamo chiesto e gentilmente ottenuto la cassetta, l'abbiamo
inserita nel nostro video e ce la siamo bevuta dal primo all'ultimo
minuto. Beh, è fantastica, Benigni che è Benigni non
ha mai attinto vette di così esilarante comicità.
Bisogna arrivare a Chaplin quando, vestito con gli abiti di Hitler,
fa girare su un dito il mappamondo.
In quei 50 minuti ne ha dette di tutti i colori.
Ma il picco è stato quello dei dieci chili. «Negli
ultimi mesi», ha esordito, «sono ingrassato di dieci
chili». Silenzio nell'affollata platea mentre lui fa pausa
e si guarda intorno con un viso che non promette nulla di buono,
per misurare l'effetto di quell'annuncio.
In effetti tra gli uomini della Farnesina si
comincia a diffondere un velo di preoccupazione, gli sguardi si
incrociano, la pausa si prolunga, la suspense aumenta. Ma il Capocomico
vuole di più. E prosegue, con un volto di pietra senza traccia
di sorriso: «Il sarto è bravo e il doppiopetto nasconde,
ma quei chili ci sono come attesta la bilancia». Un'altra
lunga pausa, la suspense in effetti cresce, qualcuno sussurra al
vicino: «Non sarà che prende troppo cortisone?».
Lui fa ancora un giro di sguardo sulla platea
e poi «Suggerisco a tutti gli italiani di ingrassare dieci
chili. Si sta benissimo!», scandisce. E poi una gran risata
liberatoria, accompagnata da un boato di risate e di applausi, tutta
la sala è travolta dall'effetto comico, "grande"
è l'aggettivo più scambiato tra le feluche in poltrona,
e giù battimani sinceri.
Vedendo quella sequenza m'è venuta in
mente una pagina, debbo dire memorabile, di un librino prezioso,
intitolato "Le rose del ventennio" di Giancarlo Fusco,
che Sellerio ha ripubblicato qualche tempo fa. Vale la pena di raccontarlo.
La scena è il primo congresso, a Napoli,
del Partito nazionale fascista. Corre l'anno 1921.
In platea e nelle tribune del teatro due schieramenti
si guardano in cagnesco: gli uomini del manganello, i falchi si
direbbe oggi, raccolti intorno a Farinacci, boss di Cremona; i nazionalisti
monarchici guidati da Dino Grandi e da Federzoni. Mussolini sta
seduto dietro il tavolo della presidenza, sul palcoscenico del teatro
e osserva platea e tribune con i suoi occhioni tumidi alla Bruno
Vespa, ma non è affatto contento di come stanno andando le
cose. Teme soprattutto che Farinacci raduni intorno a sé
tutto lo squadrismo e imponga al congresso la sua linea estremista.
Infatti, quando Farinacci è chiamato
alla tribuna, gli applausi diventano devastanti per le orecchie
del Capo. Il quale capisce che se non provvede subito a riprendere
in mano il congresso tutto può esser perduto. Perciò,
appena il gerarca di Cremona torna al suo posto in platea sommerso
dagli abbracci della claque e dal lancio di fiori delle signore
in tribuna, il Capo si alza. Attende che il silenzio si ristabilisca.
Attende ancora girando e rigirando lo sguardo vellutato del seduttore
e indurendo la mascella del domatore.
Finalmente, guardando in alto verso le tribune
dice : «Ci sono donne qui?». Tutti i congressisti si
guardano intorno, donne ce ne sono e tante, le rose del ventennio
appunto, ma il congresso è spiazzato, colto di sorpresa:
che avrà voluto dire il Capo?
Perché quella domanda così insolita?
Il Capo aspetta. Nell'uso delle pause non l'ha mai battuto nessuno,
neppure Bettino Craxi. Poi, scandendo le sillabe e metallizzando
la voce, dice: «Vi debbo dire, camerati, che Francesco Crispi
aveva due coglioni così» e fa il gesto.
Non fu un applauso ma un'ovazione da stadio,
durò oltre dieci minuti. Nessuno sapeva che cosa avesse voluto
dire, ma tutti erano sedotti. Le signore vuotarono i canestri che
avevano riempito di rose e il Capocomico vinse il congresso.
M'è venuta in mente questa pagina dopo
l'invito di S.B. agli italiani perché vadano in sovrappeso.
«Si sta benissimo». Che avrà voluto dire? Un
invito a lasciarsi andare, a non preoccuparsi della Borsa, a lasciar
perdere la linea, a non imitare la spettrale magrezza di Piero Fassino,
o più semplicemente a prendere lui come modello anche fisico,
mettere su pancetta e permettersi il lusso di una giacca ben fatta
da Caraceni? Vai a sapere. Ma alla fine gli ambasciatori erano contenti
di fare i piazzisti del made in Italy e noi pure: esser guidati
da uno così, all'estero ce lo invidiano tutti, ma a eguagliarlo
non ci riusciranno
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