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L'intervista a Paolo Borsellino

 

 

 

Fabrizio Calvi intervista Paolo Borsellino

"Sí, Vittorio Mangano l'ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso e precisamente negli anni fra il 1975 e il 1980, e ricordo di aver istruito un procedimento che riguardava delle estorsioní fatte a carico di talune clíniche private palermitane. Vittorio Mangano fu indícato sía da Buscetta che da Contorno come «uomo d'onore» appartenente a Cosa nostra."

Uomo d'onore di che famiglia?

"Uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglía della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò - ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruíto io, e risultava altresí da un procedímento cosiddetto «procedimento Spatola», che Falcone aveva ístruito negli anni ímmediatamente precedenti al maxiprocesso - che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costítuiva un terminale del traffico dí droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane."

E questo Mangano Vittorio faceva traffíco di droga a Milano?

"Il Mangano, di droga... Vittorio Mangano - se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie piú importanti - risulta l'interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come «magliette» o «cavalli»."

Comunque lei, in quanto esperto, può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono, vuol dire droga.

"Sì. Tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga, è una tesi che fu asseverata dalla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tant'è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga."

E Dell'Utri non c'entra in questa storia?

"Dell'Utri non è stato imputato nel maxiprocesso, per quanto io ne ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano."

A Palermo?

"Sì, credo che ci sia un'indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari."

Marcello Dell'Utri, Alberto Dell'Utri?

"Non ne conosco i particolari, potrei consultare avendo preso qualche appunto..."

Cioè si parla di Dell'Utri Marcello e Alberto, di entrambi i fratelli.

"Sì."

Quelli della Publitalia.

"Sì"

Perché c'è, se ricordo bene, nell'inchiesta della San Valentino, un'intercettazione fra lui e Marcello Dell'Utri in cui si parla di «cavalli».

"Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che dovevano essere mandatí in un albergo, quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all'ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l'albergo."

C'è un socio di Marcello Dell'Utri, tale Filippo Rapisarda, che dice che questo Dell'Utri gli è stato presentato da uno della famiglia di Stefano Bontate.

"Eh, Palermo è la città della Sicilia dove le famiglie mafiose erano piú numerose. Si è parlato addirittura in certi periodi almeno di duemila uomini d'onore con famiglie numerosissime: la famiglia di Stefano Bontate sembra che in un certo periodo ne contasse almeno 200. Si trattava comunque di famiglie appartenenti a una unica organizzazíone, cioè Cosa nostra, e quindi i cui membri in gran parte si conoscevano tutti, e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera."

Lei di Rapisarda ne ha sentito parlare?

"So dell'esistenza di Rapisarda, ma non me ne sono mai occupato personalmente."

Perché a quanto pare, Rapisarda, Dell'Utri erano in affari con Ciancimino, tramite un tale Alamia [Francesco Paolo Alamía), ex assessore regionale siciliano ai tempi di Ciancimino, sindaco di Palermo e socio di Filippo Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex amico dei fratelli Dell'Utri.

"Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell'Utri e Rapisarda, non so fornirle particolari indicazioni, trattandosi - ripeto sempre - di indagini di cui non mi sono occupato personalmente. "

Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell'Utri, siano collegati a uomini d'onore tipo Vittorio Mangano?

"All'inizio degli anni '70, Cosa nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa: un'impresa nel senso che, attraverso l'inserimento sempre piú notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacentí, Cosa nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali, una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cercò lo sbocco, perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero, e allora cosí si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali."

Lei mi dice che è normale che Cosa nostra si interessa a Berlusconi?

"E' normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per potere questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro."

Mangano era un pesce pilota?

"Sí, guardi, le posso dire che era uno di quei personaggi che, ecco, erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazíone mafiosa nel Nord Italia."

Si è detto che ha lavorato per Berlusconi.

"Non le saprei dire in proposito, o... anche se le debbo far presente che, come magistrato, ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo, poiché so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali atti sono ormai conosciuti e ostensibilí, e quali debbono rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda che, la ricordi o non la ricordi, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla."

C'è un'inchiesta ancora aperta?

"So che c'è un'inchiesta ancora aperta."

Su Mangano e Berlusconi a Palermo?

"Sí."

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POST SCRIPTUM

Palermo, Arcore, Italia

Due giorni dopo questa intervista di Paolo Borsellino, il 23 maggio 1992, il giudice Giovanni Falcone - distaccato presso il ministero della Giustizia e candidato numero uno per diventare il primo Procuratore nazionale antimafia - salta in aria insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta sull'autostrada Punta Raisi-Palermo in località Capaci. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio, salta in aria (con 5 uomini della scorta) anche Paolo Borsellino, da poche settimane tornato a Palermo (dopo la parentesi di capo della Procura di Marsala): anche lui è candidato alla Procura antimafia, ed è l'ultima «memoria storica» del glorioso pool antimafia di Palermo, nonché l'uomo di punta di quella Procura palermitana che, come ha rivelato lui stesso nell'intervista, sta indagando sui legami fra esponenti mafiosi e il duo Berlusconi-Dell'Utri.

Piú che naturale che i magistrati di Caltanissetta, che da nove anni indagano sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, appena scoperta l'esistenza di quell'ìntervista, l'abbiano subito acquisita agli atti. Ritenendola utilíssima per iniziare la ricerca dei «mandantí a volto coperto» delle stragi. Cosí ha fatto Luca Tescaroli, che indagava (prima della sua partenza poco spontanea da Caltanissetta) sui registi occulti di Capaci. E cosí han fatto Anna Palma e Antonino Di Matteo, che investigavano (prima del loro trasferimento a Palermo) su quelli di via D'Amelio.


   

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