scrivici
mailing list
guestbook
links
aiutaci
info
ringraziamenti
 
torna indietro
 
articolo tratto da la repubblica del 15 maggio 2003
 

"Comunisti" e elezioni anticipate
cadono i due bluff del Cavaliere

 

 

 

di Massimo Giannini, La Repubblica

La mossa di Fassino su Prodi e il monito di Ciampi
sulla legittimità dei partiti spiazzano Berlusconi


RIENTRATO dalla Turchia, dove ha scommesso sulla follia visionaria di Erasmo da Rotterdam, Berlusconi sbarca a Venezia e si riscopre presidente-operaio. Con una cazzuola in mano posa la prima pietra del Mose, e gioca la carta delle grandi opere per rilanciare l'immagine logora e sbiadita del governo. Ma nello stesso giorno, si vede scoperti due bluff, che ha platealmente azzardato al tavolo della politica: le elezioni anticipate e la minaccia del comunismo. Il primo glielo ha smascherato Fassino, calando l'asso di Romano Prodi, prossimo candidato premier del centrosinistra. Il secondo glielo ha smontato Ciampi, ricordando la piena legittimazione di tutti i partiti a governare il Paese.

Il voto anticipato è un'arma che il Cavaliere ha ricominciato a brandire dopo l'accelerazione del processo Sme, nel quale è imputato per corruzione insieme a Previti. Il premier ha bisogno di allungare i tempi fino al 7 gennaio del 2004, quando Guido Brambilla, una delle toghe del collegio giudicante, decadrà dal suo incarico. A quel punto si dovrebbe costituire un nuovo collegio, il processo ripartirebbe da zero e nel frattempo, grazie alla prescrizione, tutti gli imputati sarebbero prosciolti. L'operazione può passare per via giudiziale, attraverso la tattica dilatoria dei "legittimi impedimenti".

E anche per via legislativa, attraverso la reintroduzione dell'immunità parlamentare e il varo del lodo Maccanico. Ma entrambi i percorsi sono accidentati. Proprio ieri il vicepremier Fini ha scalfito il fronte della fermezza, dando via libera alla clausola di salvaguardia processuale per il premier, ma non anche per gli altri coimputati. Per questo a Berlusconi conviene tenere in ebollizione la pentola del ricorso anticipato alle urne: se le "toghe rosse" vogliono decapitare un'altra volta i vertici dello Stato (come già fecero nel '94) toccherà agli italiani impedire con il voto popolare il nuovo "golpe giudiziario".

Ci sono due ostacoli, in questa corsa contro il tempo e contro le regole. Il turno di presidenza italiana della Ue (è impossibile una crisi di governo durante il semestre) e il ruolo del Quirinale (è impensabile che il presidente della Repubblica sciolga le Camere "a comando"). Ma in questa fase, per il Cavaliere questi sembrano dettagli. Quello che conta è che le elezioni anticipate galleggino nell'aria come una forma di intimidazione. Per i suoi nemici (la magistratura e l'opposizione), e per i suoi alleati (costretti all'obbedienza sulla giustizia e obbligati alla fedeltà alla vigilia delle amministrative).

Da ieri, il segretario dei Ds è andato a vedere questo bluff del Cavaliere. Il senso dell'intervista di Fassino a Repubblica è essenzialmente questo, come lui stesso ha spiegato ad Arturo Parisi: "Non siamo certo noi a volere le elezioni anticipate. Le usa Berlusconi, come strumento di pressione. Ma se ci pensa davvero, allora sappia che dovrà vedersela con Prodi, perché se le condizioni in Europa lo consentiranno sarà lui il nostro candidato. Non solo nel 2006, alla scadenza naturale della legislatura, ma anche nella primavera del 2004, se si anticipassero le elezioni politiche accorpandole alle europee". In questa chiave va letta anche la replica del Professore, che per il momento fa sapere di essere totalmente "impegnato in Europa".

Questa reazione nasconde due verità. Prima verità: Prodi non sta trattando il suo rientro anticipato. Nella fase attuale le vicende politiche italiane non lo inducono ad abbandonare i suoi incarichi europei. Ma di qui a un anno la fase è destinata a cambiare: gli assetti istituzionali europei potrebbero indurlo a raccogliere la sfida della politica italiana. Nel quadro delle grandi riforme dell'Unione, e del riequilibrio dell'Europa intergovernativa rispetto a quella federale, la Commissione potrebbe mutare ruolo.

A quel punto, e solo a quel punto, Prodi potrebbe considerare chiuso un ciclo a Bruxelles. E potrebbe riaprirne un altro a Roma. La svolta di ieri dimostra che questo scenario è tutt'altro che irrealistico. E la violenta campagna di denigrazione lanciata contro il Professore nel processo Sme e in Commissione Mitrokhin conferma che questo scenario, per il Polo, è anche molto temibile.

Seconda verità: Prodi è il vero e unico candidato che tutto il centrosinistra riconosce e considera in grado di battere Berlusconi. Il ritorno del Professore può dispiacere a Rutelli, chiudendogli ogni varco alla ricandidatura. Può non entusiasmare Veltroni, sbarrando la strada a una sua premiership dell'ultimora. Ma non può subire veti, né può incontrare alternative. A modo suo, se n'è convinto persino Massimo D'Alema che ripete da tempo: "Non ci sono dubbi, il nostro candidato naturale è Prodi: tanto dovrà passare sempre qui, su questo tavolo...".

L'inventore dell'Ulivo ha già sconfitto il Cavaliere nel '96, e può riuscirci anche nel 2004 o nel 2006. Lo sa anche Berlusconi. E lo testimonia il fatto che il Cavaliere, ormai da settimane, non sforna più sondaggi a uso e consumo del suo elettorato. Da tre giorni è scattata la moratoria per le amministrative, ma le ultime rilevazioni dei principali istituti specializzati segnalano un tendenziale sorpasso del centrosinistra sul centrodestra, e una caduta verticale della fiducia degli italiani nei confronti del governo.

Il pericolo dei "comunisti" è il secondo bluff, che grazie a Ciampi scivola dalle mani del presidente del Consiglio. "Tutti i partiti sono legittimati a governare, e nessun partito è contrario ai principi della Costituzione", ha detto il Capo dello Stato, confermandosi una volta di più "il presidente di tutti" e il custode dei valori repubblicani. Poche parole, pacate ma ferme. Dedicate al premier, che l'altro ieri ad Ankara ha emesso il suo anatema politico-musicale contro "Bandiera rossa", e che domenica scorsa a Udine aveva detto "noi difendiamo la libertà, e difendere la libertà vuol dire impedire a chi è stato comunista di andare al governo".

Poche parole, chiare ma inequivocabili, per segnalare al Cavaliere un principio elementare: se hanno ormai piena legittimazione politica gli ex-fascisti (che lui stesso ha frettolosamente sdoganato e portato al governo del Paese), la stessa piena legittimazione politica spetta agli ex-comunisti (che hanno già democraticamente governato il Paese tra il '96 e il 2001, senza portare cosacchi a Piazza San Pietro).

Semmai, a voler essere minimamente rispettosi verso la storia, si dovrebbe ricordare che il comunismo fu una tragica ubriacatura ideologica importata in Italia dall'Unione Sovietica, mentre il fascismo fu un cancro totalitario cresciuto nella carne viva del nostro Paese. Ma questa, per l'Erasmo di Arcore stretto tra urgenze elettorali e emergenze processuali, è una distinzione fin troppo sottile.

 

 

 

  articolo tratto da la Repubblica del 15 maggio 2003
   

motore di ricerca italianoscrivi al webmaster

 

 

 

informazioni scrivici! torna all'home page home