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di
Massimo Giannini, La Repubblica
La mossa di Fassino su Prodi e il monito di Ciampi
sulla legittimità dei partiti spiazzano Berlusconi
RIENTRATO dalla Turchia, dove ha scommesso sulla follia visionaria
di Erasmo da Rotterdam, Berlusconi sbarca a Venezia e si riscopre
presidente-operaio. Con una cazzuola in mano posa la prima pietra
del Mose, e gioca la carta delle grandi opere per rilanciare l'immagine
logora e sbiadita del governo. Ma nello stesso giorno, si vede scoperti
due bluff, che ha platealmente azzardato al tavolo della politica:
le elezioni anticipate e la minaccia del comunismo. Il primo glielo
ha smascherato Fassino, calando l'asso di Romano Prodi, prossimo
candidato premier del centrosinistra. Il secondo glielo ha smontato
Ciampi, ricordando la piena legittimazione di tutti i partiti a
governare il Paese.
Il voto anticipato è
un'arma che il Cavaliere ha ricominciato a brandire dopo l'accelerazione
del processo Sme, nel quale è imputato per corruzione insieme
a Previti. Il premier ha bisogno di allungare i tempi fino al 7
gennaio del 2004, quando Guido Brambilla, una delle toghe del collegio
giudicante, decadrà dal suo incarico. A quel punto si dovrebbe
costituire un nuovo collegio, il processo ripartirebbe da zero e
nel frattempo, grazie alla prescrizione, tutti gli imputati sarebbero
prosciolti. L'operazione può passare per via giudiziale,
attraverso la tattica dilatoria dei "legittimi impedimenti".
E anche per via legislativa,
attraverso la reintroduzione dell'immunità parlamentare e
il varo del lodo Maccanico. Ma entrambi i percorsi sono accidentati.
Proprio ieri il vicepremier Fini ha scalfito il fronte della fermezza,
dando via libera alla clausola di salvaguardia processuale per il
premier, ma non anche per gli altri coimputati. Per questo a Berlusconi
conviene tenere in ebollizione la pentola del ricorso anticipato
alle urne: se le "toghe rosse" vogliono decapitare un'altra
volta i vertici dello Stato (come già fecero nel '94) toccherà
agli italiani impedire con il voto popolare il nuovo "golpe
giudiziario".
Ci sono due ostacoli, in
questa corsa contro il tempo e contro le regole. Il turno di presidenza
italiana della Ue (è impossibile una crisi di governo durante
il semestre) e il ruolo del Quirinale (è impensabile che
il presidente della Repubblica sciolga le Camere "a comando").
Ma in questa fase, per il Cavaliere questi sembrano dettagli. Quello
che conta è che le elezioni anticipate galleggino nell'aria
come una forma di intimidazione. Per i suoi nemici (la magistratura
e l'opposizione), e per i suoi alleati (costretti all'obbedienza
sulla giustizia e obbligati alla fedeltà alla vigilia delle
amministrative).
Da ieri, il segretario dei Ds è andato a vedere questo bluff
del Cavaliere. Il senso dell'intervista di Fassino a Repubblica
è essenzialmente questo, come lui stesso ha spiegato ad Arturo
Parisi: "Non siamo certo noi a volere le elezioni anticipate.
Le usa Berlusconi, come strumento di pressione. Ma se ci pensa davvero,
allora sappia che dovrà vedersela con Prodi, perché
se le condizioni in Europa lo consentiranno sarà lui il nostro
candidato. Non solo nel 2006, alla scadenza naturale della legislatura,
ma anche nella primavera del 2004, se si anticipassero le elezioni
politiche accorpandole alle europee". In questa chiave va letta
anche la replica del Professore, che per il momento fa sapere di
essere totalmente "impegnato in Europa".
Questa reazione nasconde
due verità. Prima verità: Prodi non sta trattando
il suo rientro anticipato. Nella fase attuale le vicende politiche
italiane non lo inducono ad abbandonare i suoi incarichi europei.
Ma di qui a un anno la fase è destinata a cambiare: gli assetti
istituzionali europei potrebbero indurlo a raccogliere la sfida
della politica italiana. Nel quadro delle grandi riforme dell'Unione,
e del riequilibrio dell'Europa intergovernativa rispetto a quella
federale, la Commissione potrebbe mutare ruolo.
A quel punto, e solo a quel
punto, Prodi potrebbe considerare chiuso un ciclo a Bruxelles. E
potrebbe riaprirne un altro a Roma. La svolta di ieri dimostra che
questo scenario è tutt'altro che irrealistico. E la violenta
campagna di denigrazione lanciata contro il Professore nel processo
Sme e in Commissione Mitrokhin conferma che questo scenario, per
il Polo, è anche molto temibile.
Seconda verità: Prodi
è il vero e unico candidato che tutto il centrosinistra riconosce
e considera in grado di battere Berlusconi. Il ritorno del Professore
può dispiacere a Rutelli, chiudendogli ogni varco alla ricandidatura.
Può non entusiasmare Veltroni, sbarrando la strada a una
sua premiership dell'ultimora. Ma non può subire veti, né
può incontrare alternative. A modo suo, se n'è convinto
persino Massimo D'Alema che ripete da tempo: "Non ci sono dubbi,
il nostro candidato naturale è Prodi: tanto dovrà
passare sempre qui, su questo tavolo...".
L'inventore dell'Ulivo ha
già sconfitto il Cavaliere nel '96, e può riuscirci
anche nel 2004 o nel 2006. Lo sa anche Berlusconi. E lo testimonia
il fatto che il Cavaliere, ormai da settimane, non sforna più
sondaggi a uso e consumo del suo elettorato. Da tre giorni è
scattata la moratoria per le amministrative, ma le ultime rilevazioni
dei principali istituti specializzati segnalano un tendenziale sorpasso
del centrosinistra sul centrodestra, e una caduta verticale della
fiducia degli italiani nei confronti del governo.
Il pericolo dei "comunisti"
è il secondo bluff, che grazie a Ciampi scivola dalle mani
del presidente del Consiglio. "Tutti i partiti sono legittimati
a governare, e nessun partito è contrario ai principi della
Costituzione", ha detto il Capo dello Stato, confermandosi
una volta di più "il presidente di tutti" e il
custode dei valori repubblicani. Poche parole, pacate ma ferme.
Dedicate al premier, che l'altro ieri ad Ankara ha emesso il suo
anatema politico-musicale contro "Bandiera rossa", e che
domenica scorsa a Udine aveva detto "noi difendiamo la libertà,
e difendere la libertà vuol dire impedire a chi è
stato comunista di andare al governo".
Poche parole, chiare ma inequivocabili,
per segnalare al Cavaliere un principio elementare: se hanno ormai
piena legittimazione politica gli ex-fascisti (che lui stesso ha
frettolosamente sdoganato e portato al governo del Paese), la stessa
piena legittimazione politica spetta agli ex-comunisti (che hanno
già democraticamente governato il Paese tra il '96 e il 2001,
senza portare cosacchi a Piazza San Pietro).
Semmai, a voler essere minimamente
rispettosi verso la storia, si dovrebbe ricordare che il comunismo
fu una tragica ubriacatura ideologica importata in Italia dall'Unione
Sovietica, mentre il fascismo fu un cancro totalitario cresciuto
nella carne viva del nostro Paese. Ma questa, per l'Erasmo di Arcore
stretto tra urgenze elettorali e emergenze processuali, è
una distinzione fin troppo sottile.
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