Thor
Contro Geirrodhr
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Nei suoi avventurosi viaggi nelle terre dei giganti, Thor è spesso accompagnato da Loki, il più astuto e malvagio degli dèi. Anche questa avventura ha un suo antecedente che vede come protagonista il perfido Loki, finito nelle grinfie di un gigante a causa della sua sfrontatezza. Dopo aver a lungo insistito ed adoperando tutto il suo doppio eloquio, Loki era riuscito a realizzare uno dei suoi sogni: aveva convinto la moglie di Odino, Frigg, a prestargli il suo magico manto di penne di falco. Ora, travestito da improbabile rapace, poteva sorvolare senza troppi pericoli le terre dei giganti ed esplorare i loro possedimenti. Così, inseguendo le sue recondite curiosità, il dio pennuto si era da poco librato in volo ed assaporava l'ebbrezza di quella celestiale nuova dimensione, quando scorse il palazzo di Geirrddhr, il potente re dei giganti. Sentendosi sufficientemente protetto dal suo travestimento, Loki si affacciò ad una finestra del palazzo reale e, attratto dallo spettacolo fastoso della corte, penetrò nell'immenso salone. Pensava che, volando in alto, forse non si sarebbero nemmeno accorti di lui. Ma quell'insolito e goffo uccellaccio non poteva certo passare inosservato: fu proprio Geirrddhr a scorgerlo per primo, ordinandone immediatamente la cattura. Allora un servitore, un vero e proprio colosso, iniziò a rincorrere lo strano volatile. Ma Loki, signore assoluto del dispetto, si divertiva a sfuggirgli, volando da un punto all'altro della sconfinata sala, facendo disperare il suo inseguitore. Alla fine però il gigante riuscì a bloccare con una presa micidiale i piedi del dio che, ormai, non sghignazzava più. Immobilizzato e reso del tutto inoffensivo, il misterioso intruso fu condotto al cospetto di Geirrddhr. Il gigantesco sovrano squadrò dall'alto verso il basso l'impacciato volatile e, in un attimo, comprese che si trattava di un sortilegio, un incantesimo che aveva dotato di ali quell'essere venuto da chissà dove. Il re, minaccioso e fiero, iniziò ad interrogare il prigioniero, ma Loki rifiutava di rispondergli e, con somma sfacciataggine, si divertiva a prenderlo in giro. Irritato ed offeso, Geirrddhr lo fece rinchiudere in una cassa: senza un briciolo di commiserazione, lo lasciò inarcire nell'angusta prigione per tre mesi senza alcun cibo. Dopo la spossante prigionia ed il digiuno forzato Loki perse gran parte della sua baldanza, ma non la sua astuzia; rivelò al re la sua vera identità e, tendendogli una trappola a cui aveva pensato a lungo, gli promise di condurre nei suoi territori, pronto ad essere catturato, il principale nemico dei giganti, Thor. Geirrodhr, pensando che gli sarebbe stato facile liquidare Thor se questi avesse messo piede nella sua regione, fece liberare Loki. Intanto il maestoso signore dei tuono, chiamato da Loki, si era già messo in cammino ed aveva varcato da un pezzo le frontiere dello Jótunheim. Stanco del cammino, aveva chiesto ed ottenuto ospitalità da una sua amica, la gigantessa Gridhr, madre di Vidhar, detto il «silenzioso». La gigantessa, che nutriva una profonda simpatia per il dio dalle chiome fulve, mise in guardia il suo ospite e gli svelò i progetti del re. Inoltre, spinta da una naturale antipatia nei confronti dì Geirrbdhr, la padrona di casa gli donò dei portentosi oggetti: una cintura magica capace di raddoppiare la forza muscolare di chi l'indossava; un paio di guanti di ferro, ma morbidi e comodi da calzare; infine un bastone durissimo, il famoso Gridharvoir, il «bastone di Gridhr». L'indomani, forte delle sue nuove armi, Thor si avviò verso la reggia di Geirrddhr. Lungo la via si trovò a dover guadare il fiume Vimur, che segnava il confine con le terre del gigante. Sostenendosi su Oridhavdlr, ben piantato nel letto del fiume, Thor entrò nelle acque gelide, sfidando le insidiose correnti. Ma giunto proprio al centro del fiume, il livello dell'acqua sali paurosamente, minacciando di travolgere il dio. Volgendosi a monte per scoprire la causa del repentino aumento di pressione, Thor scorse Gjalp, una delle figlie del re dei giganti, che sedeva a cavalcioni sul corso d'acqua. Qualcuno, forse esagerando, raccontava che la colossale fanciulla stava orinando e qualcun altro aggiungeva che, colmo delle nefandezze, versava il suo copioso flusso mestruale nelle acque limacciose. In ogni caso, l'ira di Thor non tardò a manifestarsi in tutta la sua potenza: il dio afferrò un enorme macigno dal greto del fiume e urlando irripetibili imprecazioni lo scagliò contro la giovane maleducata. Poi, per salvarsi dalla massa d'acqua che stava per sommergerlo, si aggrappò ai rami di un sorbo che sporgevano dalla riva e guadagnò rapidamente la sponda opposta, mettendosi in salvo. E proprio per questo motivo che il sorbo, provvidenziale salvatore dei dio, era oggetto di particolare venerazione da parte dei devoti di Thor. Ed inoltre, ricordando anch'essi tale episodio, gli antichi poeti nordici chiamavano l'albero il «salvatore di Thor». Superata la prima imboscata tesagli da Geirrddhr, il dio del tuono giunse alla corte del gigante. A quanto sembra, Thor non fu accolto con gli onori dovuti al suo rango: come dimora notturna gli offrirono un misero ovile, dove, sicuramente, lo attendevano altri tranelli. Ma, accettando la tacita sfida, il dio si recò nel poco divino alloggio. Qui, come indegno letto, trovò solo uno scomodo e duro seggio sul quale, ormai sempre più sospettoso, si accasciò esausto. Dopo un po', come per sortilegio, il pesante sedile iniziò ad alzarsi velocemente: sicuramente si trattava di un vile stratagemma per schiacciare contro il soffitto l'ignaro ospite. Thor, però, subito si rese conto della macabra macchinazione e, cingendosi con la portentosa cintura donatagli da Gridhr, puntò il bastone contro le travi del soffitto, riuscendo così a bloccare la micidiale ascensione. Quando ripiombò di colpo con tutto il suo peso sul seggio, Thor udì un tremendo boato e urla agghiaccianti: sotto il sedile si erano nascoste le figlie di Geirródhr, Gjalp e Greip, facendo da gigantesche leve in carne ed ossa a quefl'orrendo meccanismo di morte da loro architettato. Ma il contraccolpo provocato dalla repentina caduta di Thor aveva sfracellato le schiene delle scellerate attentatrici. li giorno dopo, come se nulla fosse accaduto, Thor venne invitato dal re a visitare il suo palazzo. Nell'immensa sala del trono ardevano enormi bracieri su cui erano poste pesanti sbarre di ferro, incandescenti attrezzi destinati ad esibizioni di coraggio e potenza da parte di intrepidi guerrieri. Thor, vedendo quei fuochi, pensò che il gigante aveva abbandonato i vili trabocchetti ed intendeva sfidarlo in qualche gara o invitarlo a battersi con qualcuno dei suoi campioni. Abbandonata per un attimo la sua diffidenza, il «dio rosso» si avvicinò al trono. All'improvviso, dando ancora una volta prova della sua viltà, Geirródhr scagliò con violenza contro il suo ospite una spessa sbarra incandescente, tentando di coglierlo di sorpresa. Ma i riflessi di Thor erano scattanti come saette: le sue mani, avvolte nei guanti di ferro, afferrarono il pesante proiettile, bloccandolo in una presa decisa. Il gigante, ormai preda del panico, sradicò dalle fondamenta del palazzo una colonna di ferro e la lanciò contro il dio: anche questa volta Thor parò il colpo e, ormai stanco e disgustato, afferrò con entrambe le mani la massiccia colonna e la scagliò nell'angolo dove si era nascosto il ì,e. Non si era mai udito, in quelle terre, un boato cosi terrificante: l'immenso palazzo crollò, seppellendo sotto un mare di calcinacci l'imprudente re che aveva osato sfidare il più forte degli Asi.
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