La Nascita Di Sleipnir

Ennesima testimonianza di scaltrezza e d'astuzia unite alla congenita ambiguità sessuale di Loki, il racconto della nascita del portentoso destriero ottipede cavalcato da Odino istituisce un ulteriore collegamento simbolico tra il signore degli inganni ed il padre degli dèi. Questa parentela complica la già problematico classificazione di Loki, ribadendo il suo carattere di dispensatore di affanni e di aiuti allo stesso tempo, pronto a «coprire di vergogna gli Asi» oppure a risolvere con il suo ingegno qualche loro intricata situazione. A quei tempi la rocca di Asgardh aveva come unica difesa contro gli attacchi dei giganti la sua posizione geografica: i bastioni naturali, le rocce scoscese ed i dirupi disseminati tutt'intorno rappresentavano una barriera difficilmente superabile. Ma, considerate l'incredibile forza e malvagità dei colossi dello Jútunheim, gli dèi pensavano, ormai da tempo, di fortificare la cittadella divina con delle mura spessissime, indispensabile ostacolo da opporre alla continua minaccia di attacco. Si racconta dunque che, proprio in quei giorni, si presentò all'assemblea divina un mastro muratore il quale, interpretando i desideri degli dèi, affermò di essere in grado di costruire delle mura così robuste che né i giganti né altre oscure forze del male avrebbero mai potuto distruggere. E, quasi a voler magnificare ancor di più la sua abilità, egli disse di poter svolgere il lavoro in «tre mezzi anni». Gli dèi, di fronte a tanta sicurezza, rimasero senza parole: nessuno di loro aveva mai pensato di realizzare la fortificazione in così breve tempo. Ammaliati dalle parole del mastro e sognando una pace duratura salvaguardata da mura inespugnabili, chiesero all'artigiano come volesse essere ricompensato. Grande fu la meraviglia e lo sconforto degli Asi quando seppero che il mastro pretendeva in cambio della sua opera la bellissima Freya, orgoglio di tutta Asgardh, oltre al sole e alla luna. Si tenne una tumultosa assemblea per decidere sul da farsi e, infine, venne pattuito che il muratore avrebbe ricevuto il suo compenso solo se avesse costruito la fortificazione in un solo inverno e senza farsi aiutare da nessuno. Un po' contrariato, il mastro muratore accettò le condizioni divine, ma chiese di poter utilizzare, quale unico aiuto, il suo cavallo, lo stallone Svadhiìfari: dopo una rapida consultazione ed ascoltato il parere di Loki, gli dèi accettarono. Immediatamente il muratore si mise al lavoro. Nelle gelide notti invernali, sfidando la pioggia e la brina, esponendosi a temperature rigidissime, l'artigiano caricava grossi macigni in groppa al suo cavallo che li trasportava sulla rocca di Asgardh. Di giorno, poi, pietra su pietra, il muratore innalzava mura granitiche, maestose ed imponenti come nessuno mai ne aveva viste. Negli Asi, sebbene fossero avvezzi a ben altri portenti, destava immensa meraviglia vedere tutti quei massi, delle vere e proprie montagne ridotte. in frammenti trasportati senza fatica da Svadhilfari: temevano che, con un simile aiuto, il mastro avrebbe potuto facilmente rispettare i termini di consegna. Dei resto, il contratto era stato stipulato davanti a testimoni e sotto i sacri vincoli del giuramento: non si poteva certo non rispettarlo e infangare cosi l'onore divino. I primi segni dell'estate annunciarono l'imminente scadenza dei termini contrattuali e, perfetta in ogni sua parte, la fortificazione era quasi del tutto costruita. Tre giorni prima dell'estate, quando mancava solo la porta all'intera costruzione, gli dèi, preda dello sconforto, si riunirono in assemblea. Scuri in viso, immaginando l'atmosfera tetra nella quale sarebbe piombata Asgardh dopo la partenza di Freya e la sparizione degli astri più leggiadri, riandarono con la memoria ad un anno prima. Allora, seguendo il consiglio di Loki, avevano accettato l'offerta del mastro muratore, avevano sottoscritto il documento che adesso decretava le loro angosce. Senza dubbio il colpevole era ancora lui: l'architetto d'ogni malvagità, l'ispiratore di mille inganni e tranelli, l'essere senza alcuna coscienza e bontà d'animo, Loki il maledetto. E poco mancò che il signore dell'ambiguità perisse sotto la calca divina che, animata da una furiosa rabbia, gli si stringeva intorno insultandolo e promettendogli tremende pene. A stento Loki riuscì a convincere gli dèi che, nonostante tutto, niente era ancora perduto: con la sua arte avrebbe impedito al mastro di completare l'opera. Non vedendo altra soluzione, gli Asi lasciarono libero Loki, minacciandolo di morte se i suoi piani non avessero avuto successo. Quella sera stessa, mentre era intento a trasportare i pesanti massi, Svadhilfari sentì un nitrito che proveniva dal bosco. L'inconfondibile richiamo equino preannunciava l'arrivo di una leggiadra cavalla che, di lì a poco, gli si parò innanzi. Quella giumenta era davvero una visione! La sua criniera ondeggiava dolcemente, seguendo gli agili movimenti diretti da muscoli stupendi, un vero capolavoro che sembrava uscito dalla bottega di uno scultore ispirato dagli dèi. Inoltre le narici dello stallone erano impregnate di quell'odore impalpabile e indeserivibile, condensato delle voglie amorose risvegliate dalla natura nella bella stagione, che il sesso della cavalla spandeva tutt'intorno. Svadhiìfari, a ragione, non poté sopportare a lungo quel tormento: cedendo all'istinto, strappò le redini ed abbandonò il suo posto di lavoro; liberi di inseguire solo i loro desideri, i due animali galopparono felici tutta la notte. Invano il mastro muratore tentò di catturare lo stallone: solo all'alba, sfinito e sognante, pago dell'avventura notturna, Svadhiìfari si ripresentò al suo padrone. Ma quel giorno, ovviamente, il lavoro non procedette come al solito: il desiderio e la passione ottenebravano ancora la mente dello stallone, ricordandogli le sgroppate sotto la luna, le innumeri danze d'amore equino che gli avevano fatto scoprire il mondo del piacere. Ora che il cavallo non poteva più aiutarlo, il mastro muratore capi che non sarebbe mai riuscito a rispettare i patti. Malmenando lo stallone che, sempre più fiaccamente, trascinava il suo carico di pietre, il muratore prese ad inveire contro tutto e tutti. Le sue grida bestiali, terrificante espressione sonora di una rabbia infinita, risuonarono in tutta Asgardh, richiamando l'attenzione degli Asi. Gli dèi riconobbero in quei suoni disumani la furia tipica dei malvagi abitanti dello Jótunheim: era un gigante, dunque. Come ricorda un antico poeta nordico, «si negarono i giuramenti, le parole date e le promesse e tutti i patti»: con i giganti essi non valevano, con loro si rispettava solo la legge del più forte. Come erano soliti fare in quei casi, gli dèi chiamarono Thor, l'eterno nemico dei colossi del gelo, e, senza nemmeno sentire le sue ragioni, il signore del tuono scagliò Mjdlnir contro il gigante muratore. L'arma sacttò fendendo l'aria e colpì inesorabilmente la gigantesca testa: mille schegge volarono tutt'intorno, disseminando sangue e materia grigia. Il corpo del gigante andò a raggiungere altri cadaveri infami nelle profondità di Hel. Tutti gli Asi resero omaggio a Thor che, ancora una volta, aveva salvato l'onore di Freya e impedito la scomparsa degli astri più cari. Forse fu per questo che nessuno notò un certo gonfiore del ventre di Loki, che era stato il vero artefice di quel salvataggio in extremis. Dopo un certo tempo infatti il dio partorì, tra lo stupore generale, un magnifico puledro, un eccezionale esemplare grigio che, cosa davvero strabiliante aveva otto zampe, tutte perfette. Solo allora si comprese a quale sotterfugio fosse ricorso Loki per distogliere lo stallone del gigante dal suo lavoro. E, tra lazzi ed ammiccamenti, risero degli strani appetiti sessuali del dio, del quale era già nota l'effeminatezza: ma questa stia avventura andava ben oltre i confini dell'inimmaginabile. Solo Odino, osservando il destriero figlio di Loki galoppare veloce più del vento, trovò parole d'elogio per Loki. E, ricordando che una volta «avevano mescolato il loro sangue» divenendo fratelli, gli chiese in dono il cavallo. Da allora, in groppa a Sleipnir questo il nome del frutto del ventre di Loki Odino sfrecciò nel cielo, sulla terra e sulle onde dei mari nordici, rinnovando così l'ambigua alleanza con Loki, il «maledetto».

 

 

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