Celebrato e rimodellato
dall'estro compositivo wagneriano, il racconto della consumazione finale
del cosmo e della successiva palingenesi è da considerarsi la
sintesi organica ed articolata di una miriade di motivi sparsi nei contesti
più distanti. Le accurate analisi svolte da eminenti studiosi
su singoli temi hanno evidenziato, infatti, i sorprendenti paralleli
con analoghe tradizioni (concezioni mandeo-manichee, celtiche, cristiane,
etc.). Del resto, dimostrando una vitalità eccezionale, tracce
di tali tematiche sono tuttora presenti nel patrimonio folklorico nord-europeo:
si pensi, ad esempio, alle unghie dei morti da tagliare ed ai cerimoniali
connessi.
Non senza esitazioni, gli antichi nordici narravano delle profezie di
una volva, una veggente che, ispirata da un'entità suprema, aveva
annunziato la fine dei tempi e narrato i tragici avvenimenti che avrebbero
sconvolto il cosmo intero, accomunando dèi e uomini nel medesimo
de- stino. Innanzitutto, ella disse, un tremendo stravolgimento climatico
avrebbe sconvolto i ritmi naturali dell'alternarsi delle stagioni: ci
sarebbe stato un lungo inverno, chiamato Fimbulvetr, «grande inverno»,
che sarebbe durato tre anni di seguito, senza alcuna mitigazione. Piogge
torrenziali, venti taglienti, grandinate eccezionali, avrebbero tormentato
il globo terrestre, ricoprendolo di una densa ed impenetrabile coltre
di gelo. Ma, prima ancora, il mondo sarebbe stato dilaniato da innumeri
guerre, formentate da spiriti bellicosi venuti non si sa da dove. E
l'immane spargimento di sangue non avrebbe risparmiato i fratelli che,
caduti i sacri vincoli familiari, si sarebbero affrontati in scontri
cruenti, spinti dalle invidie e dall'avidità. Sarebbero state
violate anche tutte le regole della convivenza sociale e turpi misfatti
sarebbero stati compiuti in quel clima d'anarchia morale: i padri avrebbero
sedotto le figlie; la prostituzione sarebbe fiorita e dilagata; l'adulterio
non avrebbe conosciuto limiti. L'abiezione e la depravazione, insomma,
sarebbero stati gli unici ideali del genere umano. I segni dell'imminente
crollo si sarebbero moltiplicati, arrecando avventure immani. Così
il lupo Skoll, che dall'inizio dei tempi insegue l'astro solare' avrebbe
inghiottito il carro del sole e, subito dopo, la terra sarebbe stata
avvolta nelle tenebre. Nello stesso istante Hati, il lupo impegnato
nella rincorsa della luna, avrebbe fatto sparire tra le sue possenti
fauci l'astro notturno. Contemporaneamente tutte le stelle sarebbero
cadute daI firmamento, spogliandolo dei punti di riferimento necessari
per indicare la rotta ai naviganti costretti così a vagare nell'immensità
degli oceani, prigionieri dell'oscurità. La völva continuava:
la terra sarebbe stata scossa da terribili terremoti, si sarebbero aperte
delle voragini spaventose, che avrebbero inghiottito foreste millenarie
e montagne intere. Allora tutte le catene si sarebbero spezzate: il
lupo Fenrir sarebbe stato libero di vagare per il mondo, seminando morte
e distruzione. Anche il «serpe del mondo», confinato nelle
profondità oceaniche, sarebbe riemerso dal suo esilio e, dimenandosi
furiosamente, avrebbe provocato tremendi meremoti, inondando valli intere,
sommergendo città e affogando migliaia di uomini inermi. Tutte
le navi avrebbero rotto gli ormeggi: Naglfar, il vascello costruito
con le unghie dei morti, avrebbe lasciato il suo porto infernale per
trasportare le forze dei male. Il gigante Hrymr, signore dei malefici
colossi del gelo, avrebbe retto il timone mentre Fenrir avanzava con
le fauci spalancate: la mandibola superiore toccava il cielo, quella
inferiore pog- giava sulla terra; dalle nari e dagli occhi lanciava
vere e proprie montagne di fuoco. Il serpe del mondo avrebbe strisciato
al fianco di Fenrir, soffiando incessantemente il suo veleno tutt'intorno,
tanto che una nebulosa avrebbe avvolto la terra intera. I mostruosi
figli di Loki sarebbero stati affiancati dai sinistri abitanti di Muspellheim,
guidati da Sutr, il «nero», che brandiva una spada sfolgorante,
incurante delle lingue di fuoco che lambivano la sua cavalcatura. Le
schiere malvage sarebbero passate su Bifrdst, il ponte che conduceva
alla cittadella divina, ma la «tremula via» sarebbe crollata
sotto il loro infamante peso. Allora, preparandosi allo scontro finale,
i signori del terrore avrebbero raggiunto la piana di Vigridhr: qui
avrebbero trovato, loro alleati naturali, Loki, sfuggito alla sua prigionia,
e tutti gli adulteri, gli assassini, gli spergiuri, insomma, tutta la
feccia dell'umanità esiliata negli oscuri recessi di Hel. Senza
sosta, dando fondo alle sue energie, Heimdallr, il custode di Bifróst,
avrebbe soffiato nel suo corno, chiamando a raccolta gli dèi.
E ben conoscendo le profezie della veggente, Odino avrebbe cavalcato
fino alla Fonte di Mimir, dove avrebbe interrogato, ricoprendola di
erbe magiche e pronunciando le rune delle vita, la testa del dio della
memoria, per chiedergli consiglio. Odino avrebbe chiamato a raccolta
i suoi campioni, i fedeli einheriar, gli indomiti guerrieri della Vaìhalla
e, insieme a tutti gli Asi, sarebbero avanzati verso il campo di battaglia.
Descrivendo la scena con lucidità estrema, la volva scendeva
nei minimi particolari, dicendo che Odino, in groppa al suo destriero
ottipede e con l'elmo d'oro massiccio e Gungnir nella mano, sarebbe
stato davanti a tutti, guidandoli fieramente. Ed in brevissimo tempo
le due armate sarebbero state una di fronte all'altra, pronte ad affrontarsi
in quell'ultima sfida. Odino, scegliendosi un nemico degno del suo rango,
avrebbe puntato diritto contro il famelico Fenrir, per nulla intimorito
delle zanne che la bestia gli mostrava minacciosa. Ma il mostro, tra
il frastuono delle armi, avrebbe avuto la meglio sul padre degli dèi
e, con una mossa fulminea, lo avrebbe imprigionato tra le sue fauci,
facendolo scomparire nel suo ventre immondo. Di lì a poco, però,
sarebbe accorso Vidharr, uno dei figli di Odino che coraggiosamente
avrebbe affrontato la belva e, ficcandole un piede nelle mascelle, sarebbe
riuscito a stritolarle. Vidharr, in quell'occa- sione, avrebbe calzato
una scarpa fabbricata con i ritagli di cuoio che gli uomini, nel corso
dei millenni, avevano tagliato dalle loro calzature in prossimità
dell'alluce e del tacco e poi gettato via. Perciò chi voleva
aiutare gli Asi nello scontro finale doveva, dicevano i nordici, tagliare
un po' di cuoio dalle proprie scarpe e gettarlo via, consacrandolo con
formule misteriore al figlio di Odino. Intanto la vólva continuava
il suo racconto: Thor, facendosi strada con i colpi micidiali del suo
martello, avrebbe affrontato il suo nemico di sempre, l'odiatissimo
rettile che cingeva tra le sue spire il globo terrestre. Il rosso signore
dei tuono sarebbe riuscito a scagliargli contro Mjdlnir, fra- cassandogli
la testa. Ma, investito dalle esalazioni malefiche del serpe, Thor,
dopo aver fatto solo nove passi, sarebbe stramazzato al suolo, privo
di vita. Stessa sorte sarebbe toccata a Tyr, impegnatosi in un'impari
lotta contro l'orrendo mastino posto a guardia di Hel. Il cane infernale,
il famigerato Garmr, avrebbe divorato il dio monco che però,
seppure al limite delle sue forze, sarebbe riuscito a colpirlo a morte.
Freyr invece non avrebbe potuto difendersi contro Sutr, il principe
del male: ai tempi del suo innamoramento per Gerdhr, infatti, il dio
aveva regalato la sua spada, arma dotata di stupefacenti poteri, al
suo severo ed amico Skirnir. E disarmato non poteva certo opporsi alle
fiamme che il «nero» gli avrebbe lanciato contro. Ormai
padrone del campo, Sutr avrebbe appiccato il fuoco alla terra e a tutto
l'universo: tutto il creato sarebbe bruciato, divenendo un'enorme sfera
incandescente. La vecchia veggente vide nelle sue visioni di morte anche
un barlume di speranza: disse infatti che la vita non avrebbe avuto
fine. Dal mare sarebbe emersa una nuova terra, una sconfinata distesa
verde, tutta rico penta di vegetazione rigogliosa: non ci sarebbe stato
bisogno dei semi, tutto sarebbe germogliato spontaneamente ed i frutti
sarebbero stati di proporzioni eccezionali. Per quanto riguarda gli
dèi, dall'eccidio sarebbero scampati i figli di Odino, Vali e
Vidharr; anche Magni e Modhi, figli di Thor, sarebbero riusciti a salvarsi,
recuperando il martello paterno; Balder sarebbe ritornato da Hel, accompagnato
dall'innocente Hddhr. E tutti insieme avrebbero costruito le loro dimore
proprio al centro di Asgardh, a ldhavdllr. Qui, ritrovata la pace, avrebbero
conversato tra loro, ricordando le vicende dei padri ed impegnandosi
in giochi di intelligenza. I morti caduti per il bene dell'umanità
sarebbero andati a vivere a Gimlé, nuova dimora celeste, dove
avrebbero potuto bere dell'ottimo idromele nella sala chiamata Brimir,
nei territori di Okoìnir, laddove non «fa mai freddo»
(dall'antico significato della parola). Ed inoltre avrebbero avuto a
disposizione anche un'altra dimora, tutta d'oro massiccio, chiamata
Sindri. Invece, a Nástrond, la «riva dei inorti»,
i rnalvagi avrebbero soggiornato in un'immensa costruzione, priva di
qualsiasi bellezza, il cui tetto sarebbe stato coperto da una moltitudine
di serpenti che, intrecciandosi tra loro in un groviglio inestricabile,
l'avrebbero avvolta nelle loro spire, iniettando fiumi di veleno al
suo interno. La casa, simile ad una di quelle fabbriche dove si lavorava
il vimine, sarebbe stato il luogo di supplizio destinato agli spergiuri,
agli adulteri e agli assassini, costretti per raggiungerla a guadare
a nuoto un fiume di liquami urticanti. La veggente concluse la sua visione
parlando della foresta di Hoddmimir. Qui sarebbero sopravvissuti alle
distruzioni e agli sconvolgimento cosmici, una coppia di uomini, Lif,
«vita», e Leifthrasir, «vita piena di desiderio».
I due si sarebbero cibati solo delle gocce di rugiada mattutina e, eseguendo
i disegni di un'insondabile volontà divina, avrebbero messo al
mondo, al «nuovo mondo», una numerosa progenie, gli antenati
di una nuova stirpe umana. E, come ultimo segno della totale palingenesi,
il sole, astro femminile, avrebbe partorito una fanciulla più
bril- lante e risplendente di lei che avrebbe illuminato i nuovi giorni,
infondendo calore e benessere ad un'umanità felice.