Episodio che rimanda,
nelle sue sequenze, ad un mondo simbolico oscuro, il racconto dell'innamoramento
di Freyr ha suscitato il vivo interesse degli studiosi delle istituzioni
indoeuropee. Tra i numerosi motivi presenti nel mito è possibile
infatti rintracciare alcune delle strutture fondamentali di un'istituzione,
il matrimonio, su cui l'intera società nordica fa perno, e che
informa, con i suoi codici, complicati nessi sociali.
Un giorno, trasgredendo le sacre regole della gerarchia divìna,
Freyr si assise sul trono di Odino e, da quello scanno fatato, poté
contemplare ciò che accadeva nei nove mondi. Splendide visioni
attirarono la curiosità del dio, immerso nel caleidoscopico turbinio
di migliaia di scene diverse provenienti da terre lontane. Ma gli occhi
divini furono ammaliati da uno spettacolo di una bellezza incredibile:
a settentrione, nei territori innevati abitati dai giganti, scorse una
fanciulla che si recava in un podere. Attirato dalla purezza dei lineamenti
della gigantessa, Freyr seguì con crescente interesse i passi
della donna, spiandone i delicati movimenti. E quando ella pose la candida
mano sulla maniglia d'una porta, si diffuse tutt'intorno una luce soave,
bianchissima, che travalicò i confini dello Jotunheim, infondendo
una solare chiarezza nei mari e nei cieli di tutto l'universo. Ma, subito
dopo, la fanciulla sparì dietro l'uscio e quell'incanto celestiale,
quell'atmosfera di sogno creata dalla sola sua presenza, si dissolse
nel nulla, lasciando Freyr nella disperazione. li signore dell'abbondanza,
l'amante sospirato da tanti cuori femminili, fu rapito da quelle immagini
di splendore ed in breve tempo divenne preda della più esaltante
e dolorosa passione amorosa. Forse fu quella la punizione per il suo
peccato di presunzione. Freyr, infatti, ritornato nei suoi possedimenti,
fu preso dallo sconforto che colpisce gli innamorati in pena. Egli custodiva
gelosamente il suo amore e non aveva voglia di bere, di mangiare, di
dormire e di parlare: i suoi gesti mimavano l'apatica indifferenza dei
cadaveri. Pallido e srnunto, il dio sedeva in un angolo, corrucciato
e triste, rimanendo immobile per ore, con lo sguardo perennemente
rivolto a nord, contemplando figure a lui solo visibili. Njdrdhr, vedendo
il figlio deperire giorno per giorno, chiamò Skirnir, l'amico
e servitore fedele di Freyr, pregandolo di parlare con il giovane e
di scoprire l'origine dei suoi tormenti interiori. Freyr, rivedendo
il compagno di tante avventure, si senti risollevato e con voce tremula
gli raccontò del suo amore: gli parlò della fanciulla
come della donna che aveva sempre inseguito nei suoi sogni, senza però
riuscire a raggiungerla nella vita. Ora, proseguì, il sole poteva
sorgere per altri mille giorni: per lui sarebbe stata sempre notte fonda
se non avesse potuto abbracciare la leggiadra gigantessa. Skirnir, da
amico sincero, rincuorò Freyr e lo spinse a raccontargli i particolari
della scena a cui aveva assistito. Apprese così che si trattava
della figlia del gigante Gymir, quella Gerdh la cui bellezza era già
stata magnificata da molti. Con l'animo sollevato dalla confessione,
Freyr chiese al suo amico di recarsi nello Jotunheim, nei territori
di Gymir, per chiedere la mano della ragazza, offrendole in cambio qualsiasi
cosa desiderasse. Ma il fedele Skirnir, immaginando le insidie celate
in una simile missione, chiese al dio di poter avere un cavallo all'altezza
della situazione, capace di saltare intrepido le fiamme, sprezzante
d'ogni pericolo. Inoltre pretese la spada di Freyr, arma invincibile
che, in virtù delle magiche rune incise sul suo acciaio lucente,
poteva affrontare da sola la.furia di decine di giganti. Intravvedendo,
finalmente, uno spiraglio di speranza nella tetraggine che lo avvolgeva
ormai da giorni, Freyr acconsenti volentieri alle richieste dell'amico
e lo pregò di affrettarsi a compiere la sua missione. Alcuni
narravano che, non appena saputo dei desideri di Freyr, Gerdh accettò
la lusìnghiera proposta di matrimonio senza alcuna esitazione.
Ma gli antichi nordici raccontavano un'altra versione: ci vollero tutta
l'astuzia ed il valore di Skirnir per superare gli ostacoli posti sulla
strada del matrimonio del suo signore con la gigantessa. Per giorni
e notti intere cavalcò il fedele servitore, attraversando terre
sconosciute, prima di giungere esausto nei possedimenti di Gymir. La
dimora del gigante era sorvegliata da cani feroci, bestie enormi che
digrignavano le fauci mostrando minacciosamente le zanne ad ogni intruso.
Tuttavia Skirnir, facendo uso del suo magico armamentario, riuscì
ad aggirare i mostruosi animali. Gerdh, attirata dall'abbaiare dei cani,
comparve sulla porta ed invitò lo sconosciuto a bere una coppa
di idromele. Sorpresa dal coraggio del cavaliere venuto da chissà
dove, Gerdh gli chiese se, per caso, non era un dio, uno degli Asi o
dei Vani, oppure se era un Elfo chiaro. Il messaggero divino le svelò
subito le ragioni del suo viaggio e, seguendo tradizioni ataviche, le
offrì undici pomi d'oro, prezioso pegno d'amore per riscattare
la sua libertà. Ma la fanciulla rifiutò sdegnata l'aureo
dono, respingendo la proposta di matrimonio: mai e poi mai, disse, si
sarebbe unita ad uno degli Asi, rinnegando così le sue origini.
Abile cerimoniere, Skirnir rinnovò l'offerta, aggiungendo, quale
ulteriore inestimabile dono, Draupnir, il magico anello di Odino. Ma,
ancora più sprezzante, Gerdh rigettò l'offerta: aveva
abbastanza oro nei suoi forzieri e poteva ornarsi di gioielli di incomparabile
valore e bellezza, degni di una regina dei giganti. Abbandonando la
via della gentilezza, una via lastricata di preziosi doni, Skirnìr
mostrò, allora, la lama affilata della sua spada e, con tono
minaccioso, fece capire a Gerdh che l'onta dei suo rifiuto poteva essere
lavata solo con il suo sangue. Per nulla intimorita, Gerdh magnificò
le doti di guerriero invincibile per le quali suo padre era famoso in
tutto lo Jotunheim: Gymir non si sarebbe certo tirato indietro ed avrebbe
affrontato chiunque avesse tentato di torcerle anche un solo capello.
Tenacemente fedele alla sua missione, Skirnir decise di ricorrere alla
rnagia delle rune, l'arma più potente, l'unica in grado di piegare
qualsiasi spirito ribelle. Mostrandole un ramo umido, minacciò
di votarla magicamente alla sventura, se non avesse cambiato opinione,
e iniziò a prospettarle le pene che avrebbe patito: sarebbe stata
esiliata negli oscuri territori di Hel, da dove sarebbe uscita trasfigurata
con le orrende sembianze di un mostro. Chiunque allora si sarebbe voltato
verso di lei che, senza poter opporre alcuna resistenza, avrebbe soddisfatto
le immonde voglie di tutti i giganti. Il tormento e l'angoscia, insieme
all'ansia ed alla frenesia, sarebbero stati gli unici sentimenti che
avrebbe provato quando, piangendo fiumi di calde lacrime, avrebbe maledetto
la sua sfrontatezza. Ed infine, invece del bellissimo Freyr, avrebbe
sposato un gigante con tre teste che le avrebbe offerto, al posto dei
sacro idromele divino, del puzzolente piscio di capra servito in luride
coppe. Pronunziato questo programma di allucinanti patimenti, Skirnir
afferrò il ramo e, sotto lo sguardo attonito della fanciulla,
vi incise le tre rune che simbolizzavano la lascivia, la follia amorosa
e la frenesia, consegnando all'insondabile mistero dell'alfabeto odinico
il destino di Gerdh. Ben conoscendo la potenza di quel sortilegio e
le sue nefaste conseguenze, la gigantessa pronunciò la formula
di rito, quel «salute a te» che annunziava nell'antica cultura
nordica l'assenso alle nozze, pregando il niessaggero di Freyr di cancellare
le rune e di annullare il malefizio. Prima di ripartire, Skirnir chiese
alla donna di fissare la data delle nozze. Gerdh gli parlò di
una radura in mezzo al boschetto chiamato Barri: lì, tra nove
giorni, avrebbe concesso il suo amore al figlio di Njórdhr. Montato
in groppa al suo cavallo, ormai se lo era meritato, il giovane galoppò
veloce verso Asgardh, felice d'aver dissolto le pene d'amore del suo
signore ed amico. Naturalmente Freyr lo attendeva sulla soglia della
sua dimora e, senza attendere che scendesse da cavallo, gli chiese notizie.
Conosciuta la data ed il luogo del sospirato convegno amoroso, donò
la sua spada al fido Skirnir. Ma poco dopo si udì il canto angosciato
di Freyr che esprimeva la sua impazienza: come avrebbe potuto attendere
nove notti ancora? Come poteva sopravvivere al desiderio struggente?
Ben presto, la foga giovanile lasciò il posto alla ragione e,
trascorso il tempo stabilito, Frey coronò il suo sogno d'amore
ed assaporò le delizie femminili di Gerdh.