Dèi minori

Talvolta semplici nomen, presenze divine scarsamente documentate, inserite in contesti mitico-rituali di cui ci sono ignote le caratteristiche, gli dèi cosiddetti «minori» emergono numerosi nel pantheon nordico. Oggetto di copiosi studi, frutto delle dotte speculazioni di archeologi, storici delle religioni e specialisti delle culture nordiche, essi hanno conservato, a tutt'oggi, il mistero che li circondava nei miti in cui appaiono.

Figure evanescenti che popolavano i racconti tradizionali, l'impalcatura orale della religione dei nordici, gli «dèi senza storie», le divinità delle quali si mormoravano solo il nome e qualche attributo, avevano certamente una loro precisa funzione nell'architettura polivalente di Asgardh. Di alcuni di loro, a dire il vero, si conosceva il motivo della scarsa popolarità, dell'oscuro silenzio in cui erano immersi. Come esempio tipico di tale congiura del silenzio, gli antichi nordici citavano Hödhr, il figlio cieco di Odino, inconsapevole fratricida, assassino del luminoso Balder. Infatti erano stati gli dèi stessi a decretare che non si parlasse di lui, tanto grave era stata la sua colpa; e naturalmente gli uomini devoti si astenevano anche dal nominarlo. Ben più arcani misteri si celavano però negli attributi di divinità come Hoenir, ad esempio. 1 Fuggevole comparsa nel racconto della creazione dei primi esseri umani, allora compagno o fratello di Odino, egli infuse l'anima in tronchi d'albero, trasformandoli in creature viventi. Eppure, oltre a questa sua impresa primordiale, non si conoscono altre sue avventure: solo degli strani nomi che, basandosi su una tradizione millenaria, ma ormai svanita nel nulla, gli venivano attribuiti. Così i poeti lo chiamarono Langifort, «gambalunga» o, davvero incomprensibilmente, Aurukonnungr, «re del fango»: per molto tempo le menti migliori tentarono affannosamente di indicare un possibile significato, ma i disegni divini rimasero impenetrabili. Altrettanto enigmatici sono i contorni di una figura come Lodhurr, anch'egii protagonista del mito della nascita dei primi uomini. Tutti conoscevano il ruolo svolto da Lodhurr in quell'occasione: aveva fornito il calore, il benefico tepore che sostenta il corpo umano, ai freddi tronchi trovati sulla spiaggia. E proprio ricordando questo episodio si riteneva che fosse il patrono del fuoco nella sua dimensione benefica e non distruttrice: forse la radice di tale accostamento risiedeva nel suo nome (secondo un probabile accostamento con lodern, «ardere»). Di altri dèi si conoscevano maggiori particolari, tuttavia essi sfuggivano ad ogni precisa catalogazione, quasi a voler lasciare un'ampia zona d'ombra tra sé e gli uomini. Ad esempio, tutti conoscevano le qualità di Bragi, il dio dalla barba fluente, abile conversatone ed allietatore con i suoi racconti delle serate divine. Quasi a voler usurpare il «dono di Odino», era spesso invocato dai poeti che vedevano in lui il loro patrono. Non per niente i cantori di storie meravigliose, piene di fantastici avvenimenti svoltisi nella notte dei tempi, erano chiamati «uomini di Bragi». Anche la sposa del «dio barbuto», altro appellativo di Bragi, era ben conosciuta: si trattava della solerte custode dei pomi dell'eterna giovinezza, l'ingenua vittima dell'astuzia di Loki, la bella ldhunn. Ma, nella pur movimentata vita che si conduceva ad Asgardh, Bragi non visse avventure in prima persona, ma restò a far da comparsa in tante storie di altre divinità. Invocato nei duelli, valentissirno arciere e sciatore, figliastro di Thor e figlio di Sif, anche Ullr apparteneva alla schiera degli dèi «famosi ma sconosciuti». Essi sono i signori indiscussi delle loro arti, divinità notissime per i loro patronati, protagonisti di storie delle quali si sono perse le trame. Il destino di Ullr è simile a quello di Forseti, figlio di Balder e di Nanna. Da tutti conosciuto per la sua abilità nel risolvere le controversie, egli era perciò chiamato il «pacificatore». Viveva in una ricca dimora con colonne d'oro fulgido e tetto d'argento lucente, ma, come sembrano provare queste scarne informazioni, non visse l'epica ridondante e fantastica degli abitanti di Asgardh: quasi che la morte prematura dei padre lo avesse esiliato in un'aurea prigione, lontano dagli accadimenti divini. Non mancano, in tale elenco degli oblii, delle presenze macabre: dèi che, malgrado il loro eroico comportamento, non riuscirono ad avere un posto di primo piano nel pantheon nordico. Mimir, dio di quella particolare forma di saggezza imparentata con la memoria, è un tipico esponente di questa classe di dèi sacrificatisi invano. All'epoca della contesa con i Vani, egli fu consegnato insieme a Hoenir ai nemici degli Asi i quali, per stizza e stanchi di dipendere dalle sue sentenze, gli mozzarono il capo. Ed anche se Odino, con erbe e canti magici, riuscì a tenere in vita la testa di Mimir, egli non riuscì mai a farsi una «fama», miti e riti, degna della sua immolazione: rimase una figura di secondo piano. Nonostante che fossero figli di Odino e che, nello scontro decisivo contro i maligni abitanti di Muspellheim, ricoprissero un ruolo di primaria importanza, Vidharr e Ali o Vali (addirittura non si conosce il suo nome preciso!) rimasero prigionieri dell'alone di mistero che li circondava. Vidharr apparirà, quasi come un inviato di una potenza superiore agli dèi stessi, nell'estrema battaglia contro le forze del male ed abbatterà con una sua portentosa scarpa dalle dimensioni gigantesche il lupo Fenrir, la bestia che assassinò il padre. L'altro misterioso figlio di Odino ucciderà, nella stessa occasione, il cieco Hödhr, macchiandosi cosi di fratricidio. Ma oltre a queste imprese, di diverso valore e significato, i due fratelli non compaiono in nessun altro racconto e cosi ripiombano, insieme agli altri «dèi senza storie», nelle nebbie delle supposizioni dei commentatori.

 

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