TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

L'intervista

Di Lorenzo Baldo

 

 


D. Perché Moretti ha scelto via Gradoli?
R.
Bisognerebbe chiederlo a lui anche perché quella scelta è stata assurda e contraria ad ogni regola di sicurezza che gli stessi brigatisti dovevano osservare.

D.Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a scrivere “Il covo di Stato?”
R.
Diversi motivi, ma due in particolare: 1) ho voluto concentrare l’attenzione su uno degli aspetti principali del caso Moro, le vicende del covo di via Gradoli, da cui emerge che i nostri servizi segreti hanno controllato i brigatisti, ma li hanno lasciati agire indisturbati fino al 18 aprile 1978, quando hanno fatto scoprire il covo in concomitanza con il comunicato falso del lago della Duchessa. 2) Dato che alcune notizie pubblicate nel mio libro “Convergenze parallele” erano state contestate in particolare da Francesco Cossiga che aveva presentato una interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno, ho voluto rendere noto che lo stesso Capo della Polizia, dott. Masone, ha ammesso la veridicità di quanto avevo scritto nel precedente libro “Convergenze parallele” a proposito dei legami con fiduciari del Servizio segreto civile di società immobiliari proprietarie di appartamenti in via Gradoli 96 (nello stesso palazzo dove vi era il covo delle Br), e a proposito del fatto che Vincenzo Parisi, già direttore del Sisde e capo della polizia, era proprietario di diversi appartamenti in via Gradoli.

D.Se può dare la sua opinione sull’ipotesi del Presidente della Commissione stragi, secondo il quale dietro Morucci e la Faranda c’era un contatto con il KGB per liberare Moro, mentre Moretti aveva dietro i servizi segreti italiani, israeliani, americani per uccidere Moro.
R.
E’ un’ ipotesi verosimile, ma è tutta da verificare. Al momento non ho elementi né per confermarla, né per smentirla.

D. Siamo all’epilogo del caso Moro?
R.
No. Come dimostra “Il covo di Stato” restano buchi neri da spiegare , lati oscuri da chiarire.

D. Chi lo impedisce?
R.
I responsabili politici di tanti errori e omissioni commessi durante i 55 giorni del sequestro di Moro.

Ill.mo Signore
Sen. Sergio Flamigni

Caro Senatore,

mi spiace di non poter intervenire alla presentazione del Suo nuovo libro dedicato alla vicenda Moro, a causa di un precedente impegno che mi porta fuori città.
Desidero ugualmente farLe giungere i miei ringraziamenti per il contributo da Lei dato anche in questa occasione alla ricerca di una verità piena sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro; una verità basata su fatti e circostanze e non su speculazioni o su astratte geometrie. Mi pare che, da questo punto di vista, il Suo nuovo libro sia da salutare come un fatto senz’altro positivo, per almeno tre ragioni.
La prima ragione è che esso cerca di dipanare uno dei più aggrovigliati nodi di tutta la vicenda, quello che riguarda il caso di via Gradoli. Su di esso, a tutt’oggi, non si è giunti a un punto fermo, ma d’altra parte non si può negare che si siano fatti passi significativi in questa direzione.
La seconda ragione è che, in un momento in cui la opinione pubblica è giustamente impegnata a fare finalmente luce sul ruolo avuto in Italia da servizi segreti stranieri durante la guerra fredda, il libro ricorda a tutti noi che il ruolo svolto da quelli italiani è tutt’altro che chiaro.
L’ultima ragione è che, con riferimento ad alcuni episodi di importanza cruciale della vicenda Moro, il libro documenta oltre ogni ragionevole dubbio comportamenti di forze dell’ordine, apparati dello Stato e magistratura di cui il minimo che si possa dire è che non siano stati volti a venire a capo della verità.
Come è naturale che sia, circostanze, connessioni e conclusioni contenute nel Suo libro sono passibili di ulteriori verifiche e discussioni. Poiché proprio queste sono mancate in passato, il mio augurio è che questa volta invece ciò avvenga.

Con molti cordiali saluti.

Giovanni Moro

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