TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

I manoscritti del Mar Morto - 1°parte

Di Michael Hesemann

 

 

La vera storia degli scritti che hanno fatto discutere l'esegesi biblica mondiale

Come solitamente accade in caso di rinvenimento di oggetti rari o preziosi, intorno ai manoscritti del Mar Morto ruotano miti, leggende, ipotesi, teorie di possibili complotti o semplici bugie. Michael Baigent e Richard Leigh, autori del libro “Il mistero del Mar Morto” affermano che il Vaticano avrebbe in passato impedito la diffusione del testo scoperto nelle grotte di Qumran, sulla sponda nord occidentale del Lago Salato, per evitare che trapelassero informazioni circa la vera storia di Gesù e degli Esseni.
Oggi tutti i frammenti di testo, interpretati e classificati, sono stati resi noti in seguito ad un lungo lavoro di ricostruzione e traduzione che è costato agli esperti tempo e fatica. Gli 800 manoscritti di Qumran erano infatti ridotti a 40.000 frammenti di testo, molti dei quali della grandezza di un francobollo. Secondo lo studio della grafia e la datazione al carbonio 14, la maggior parte dei rotoli del Mar Morto risalirebbe al secondo secolo a.C.. Tuttavia, sembrano contenere informazioni che appartengono al mondo paleocristiano e alla vita dello stesso Gesù - Cristo. Nelle grotte di Qumran sono stati inoltre rinvenuti documenti scritti, in lingua greca e resti del Vangelo di S. Marco.
Quali meravigliosi segreti custodiscono quindi i Manoscritti del Mar Morto?

QUANDO FURONO SCOPERTI I ROTOLI ?

Come riferisce la maggior parte degli autori di pubblicazioni riguardanti i manoscritti di Qumran la scoperta dei rotoli risalirebbe alla primavera del 1947. A sostegno di tale affermazione ritengo doveroso riportare alcune citazioni:
“... un giovane beduino (trovò) all’inizio del 1947 i primi rotoli” (Betz/Riesner 1993)
“... furono scoperti da un giovane beduino nel 1947” (Eisenman/Wise 1993)
“... all’inizio della primavera del 1947...” (Baigent/Leigh)
“... scoperti per caso nel 1947...” (Sussman/Peled 1993)
“... scoperti nel deserto di Giuda nel 1946 o nel 1947...” (Wise/Abegg/Cook 1997).
Secondo la leggenda infatti, i rotoli, che oggi sono conservati nel Museo di Israele, denominato “Lo scrigno dei libri”, sarebbero stati ritrovati dopo duemila anni, proprio alla vigilia della fondazione dello stato israeliano. Non è mia intenzione, in questa sede, distruggere il mito di un popolo così profondamente legato alla sua storia e alle sue tradizioni ma, purtroppo, i fatti dimostrano che la realtà è diversa da come, fino ad oggi, si è creduto che fosse.

1937, NON 1947

Nel marzo del 1997, grazie all’intercessione del sig. David Bar - Levav, un antiquario, riuscii a parlare con l’uomo che scoprì l’esistenza dei rotoli : Muhammad ad-Dhib. La versione dei fatti fornitami dall’anziano beduino è nettamente differente da quella ufficialmente riconosciuta e secondo la quale ad - Dhib “era alla ricerca di una capra smarrita tra le rocce di Qumran e, inaspettatamente, si accorse di una fessura nella roccia. Cercò di scrutare all’interno ma non riuscì a scorgervi nulla. Lanciò quindi una pietra nell’oscurità e percepì il rumore di qualcosa che si rompeva. Questo incuriosì l’uomo. Quando riuscì ad entrare nella caverna e trovò una serie di vasi di terracotta Muhammad si impaurì. Uscì dalla caverna e scappò via. Il giorno dopo tornò con un amico...”(Baigent/Leigh). In realtà Muhammad non stava pascolando delle capre, ma delle pecore e non trovò i vasi nel 1947 ma circa dieci anni prima. Anche la moglie di ad - Dhib testimoniò: “Sposai mio marito 42 anni fa (quindi nel 1955). Prima era sposato con la sua prima moglie da tredici o quattordici anni. Quando trovò i rotoli era ancora celibe, perché noi (beduini) mandiamo a pascolare le pecore soltanto i giovani non sposati. Mi disse di averli scoperti cinque anni prima di sposare la prima moglie, quindi sessanta o sessantun anni fa (1936 - 37)”.

L’INTERVISTA : “SPERAVO DI AVER TROVATO UN TESORO”

D - ad-Dhib i rotoli del Mar Morto rappresentano uno dei più discussi e importanti reperti archeologici del nostro secolo. Ha ricevuto la visita di molti scienziati che avevano il desiderio di discutere con Lei della Sua scoperta al fine di carpire ulteriori informazioni ?
R - Si molti, molti.
D - Chi Le è rimasto più impresso ?
R - Un francese, Padre de Vaux. Poi l’inglese Harding ; entrambi mi hanno molto impressionato.
D - Lei ha sentito le varie storie sorte in seguito alla scoperta dei rotoli. Corrispondono a verità o c’è qualcosa di falso ?
R - Beh... questa storia che io correvo dietro ad una capra smarrita... è decisamente un’invenzione.
D - Ma perché Lei ha guardato nelle caverne ? Che cosa accadde veramente ?
R - Ero seduto vicino alle mie pecore, al branco, quello che stavo controllando. C’era anche un giovane con me, Hamed, poi vidi una fessura, gettai all’interno un paio di pietre e improvvisamente sentii il rumore di un vaso che si rompeva. Allora guardai all’interno per vedere di cosa si trattava e trovai i rotoli. Ero semplicemente seduto nei pressi della caverna, pascolavo le pecore ed è successo questo. Non pensai niente. Avevamo molto di meglio da fare che gettare pietre nella fessura di una roccia.
D - Ma Lei sapeva che molte persone hanno guadagnato parecchio dalla vendita di giare antiche ?
R - No, non sapevo niente di antichità.
D - Allora perché è entrato nella grotta ?
R - Perché pensavo che dentro le giare ci fosse dell’oro. Speravo di aver trovato un tesoro...
D - ... rimase quindi colpito dal fatto che all’interno ci fossero dei rotoli. Ma perché prese le giare?
R - Per vedere che cosa avevamo trovato. All’interno della caverna non si vedevano gli scritti, solo le giare. Era buio lì dentro. Prendemmo quindi i vasi. Vicino alla grotta, poi, ne abbiamo aperto uno. Volevamo vedere se c’era dentro qualcosa e abbiamo scoperto che c’erano degli scritti.
D - E perché li avete portati all’accampamento dei beduini ?
R - Perché volevamo sapere che cosa c’era scritto sopra. Non eravamo in grado di leggerli. Ancora oggi non lo so fare.
D - E cosa successe lì ?
R - Nessuno capiva ciò che c’era scritto lì sopra e quindi non ce ne occupammo più fino a che a qualcuno venne in mente di portare le giare da un commerciante. Se trovassi oggi un vaso del genere ne conoscerei il valore... allora non ne avevo idea. Venti o venticinque anni più tardi trovai a Qumran un altro rotolo. Lo vendetti per 5.500 denari giordani.
D - Cosa è successo dopo ?
R - Poi cominciammo a metterci alla ricerca di pezzi d’antiquariato, vasi, rotoli e di tutto ciò che era antico per venderlo ad un buon prezzo... ne trovammo ancora. Eravamo cinque uomini, io ed altri quattro. Ci arrampicammo su una roccia, entrammo all’interno di una grotta e trovammo un’altra giara con un rotolo. Questo accadde a Ngera nei pressi di Murabba at, tra Qumran e Engedi, ma più vicino a Engedi nel deserto a ovest del Mar Morto. Il recipiente era sigillato, i rotoli ancora ben conservati.
D - Avete trovato altri rotoli oltre a questo?
R - Oh si, in tutto circa sette ritrovamenti, quindi ancora cinque dopo questo. A volte si trattava solo di frammenti, pezzi di pelle, pezzi di rotolo. Gli unici interi erano quelli di Murabba at. Più tardi trovammo solo dei pezzi, dei frammenti.
D - In che periodo di tempo accadde questo ?
R - Gli ultimi frammenti li abbiamo trovati circa venti anni fa.
D - Che cosa avete trovato oltre ai rotoli ?
R - Oltre ai rotoli abbiamo trovato monete antiche molto preziose...
D - In che modo la scoperta dei rotoli di Qumran ha cambiato la Sua vita ?
R - La mia vita non è cambiata per niente. Hanno tutti riso di me perché li ho venduti ad un prezzo così basso. Sedici denari non potevano cambiare la mia vita. Se avessi ricevuto più soldi avrei potuto vivere meglio.
D - Lei pensa che vi siano altri rotoli nascosti nelle caverne ?
R - Si, è molto probabile. C’è una caverna, dalla quale abbiamo preso un pezzo di pelle, c’era qualcosa che si muoveva sul pavimento, come se fosse una stiancia. L’abbiamo presa e l’abbiamo venduta. Poi siamo tornati lì per cercare ancora ma i militari del Giordano ci hanno scoperto e hanno aperto il fuoco. Uno di noi è stato ferito gravemente. Non tornammo mai più sul posto ma, di sicuro, lì si trovano altri rotoli.
D - Ci può condurre sul luogo del ritrovamento ?
R - No, no. Non mostrerò quelle caverne a nessuno. Io so dove si trovano. Potrei andarci di notte per come conosco bene la strada, ma rimane un mio segreto.
D - Si trovano dalla parte di Israele o della Giordania ?
R - Oggi sul territorio israeliano. Ma allora (prima del 1967) era ancora Giordania, lo era l’intera fascia di terra che costeggia il Mar Morto. Parlo di più di 30 anni fa. In due, tre giorni si potrebbero svuotare le caverne.
D - E perché non lo ha fatto ?
R - Gli israeliani non mi lasciano. Controllano la zona come segugi.
Quindi ancora altri rotoli aspettano di essere scoperti. La storia di Qumran non è ancora finita. Grazie ad - Dhib.
(L’intervista è stata realizzata nel Marzo del 1997 ed è stata ripresa in video.)

GESU’ E GLI ESSENI :
Cosa ci rivelano i rotoli sull’origine del cristianesimo?

CHI ERANO GLI ESSENI?
Al tempo di Gesù e nell’epoca dei paleocristiani gli ebrei erano divisi in tre differenti gruppi o partiti: i sadducei, i farisei e gli esseni.
Tutti e tre si formarono nei due secoli che precedettero la nascita di Cristo, quando l’ebraismo era costretto a proteggersi dagli influssi ellenistici, sempre più forti. La Giudea era allora una provincia amministrata dai ricchi seleucidi, discendenti della dinastia di Seleuco, uno dei grandi generali di Alessandro Magno. Dopo la morte dell’imperatore la ricchezza del regno fu suddivisa tra i comandanti militari e, mentre a Seleuco fu assegnata la Siria con la capitale Antiochia, a Tolomeo, toccò l’Egitto. La Giudea rimase la terra di confine tra i due regni e appartenne inizialmente all’area di influenza di Tolomeo, prima che nel 198 a.C. non fu conquistata dai seleucidi. Il re dei seleucidi, Antioco IV (175 - 163 a.C.), offrì all’ebreo ellenista Menelao grosse somme di denaro per farsi eleggere gran sacerdote del tempio di Gerusalemme. Il re acconsentì, gli ebrei tradizionalisti si opposero e ciò fu interpretato da Antioco IV come un atto di ribellione. Lasciò così che le sue truppe marciassero contro Gerusalemme, che abbattessero le mura della città, che depredassero il tesoro del tempio. Consacrò poi il tempio a Zeus Olympio, il principale dio dei greci e, in segno di provocazione, offrì al suo Dio un maiale (un animale considerato impuro dagli ebrei). Questa “azione di orribile devastazione”, come la chiamarono gli ebrei, sfociò in una rivolta guidata dall’anziano sacerdote Mattathia, della tribù degli Asmonei e dai suoi figli, tra i quali spiccava la figura di Giuda Maccabeo. I maccabei condussero una vera e propria guerriglia contro Antioco e vinsero i molti eserciti seleucidi determinando il ripristino del culto ebraico.
Nel 164 a.C. il tempio fu consacrato, un avvenimento da allora ricordato nella festa di Hanucca. Ma le lotte continuarono per 22 anni e i successori di Antioco raccolsero così tanti successi che alla fine la Giudea conquistò anche l’autonomia nazionale, nel 142 a.C. L’allora capo degli Asmonei, Simone, non si fece solo eleggere “capo dell’amministrazione civile” ma anche gran sacerdote e designò i suoi discendenti a legittimi successori di questa carica. Ciò rappresentò un grave atto di trasgressione alle leggi della tradizione ebraica, secondo la quale il gran sacerdote doveva essere un discendente di Zadok, il primo ministro del culto religioso nel tempio di re Salomone. Il fatto che il capo politico e religioso dei giudei dovesse appartenere alla dinastia degli Asmonei, creò sempre più sdegno in coloro che avevano ben radicate le tradizioni giudaiche. Ed è proprio sotto il dominio degli Asmonei che si formarono i tre partiti. Dagli “Hassidim”, “i pii”, che ancora lottavano al fianco dei Maccabei intorno al tempio, nacquero, intorno al 145 a.C., i farisei (dall’ebraico peruschim, dall’aramaico perischajja “segregati”) che consideravano gli Asmonei degli opportunisti. Questi, dimostrando fedeltà alla legge mosaica, perseguivano la purezza dello spirito, ritenevano di estrema importanza la cura dell’alimentazione e non mancavano di rispettare il Sabbat. Si tenevano perciò a debita distanza da tutto ciò che ritenevano impuro, al contrario degli ellenisti, che rifiutavano questo stile di vita. I farisei credevano alla resurrezione dei morti, all’esistenza dei demoni e ad un sinergismo tra Dio e l’uomo : entrambi dovevano cooperare come il contadino con la terra in modo che questa “desse frutti”. I sadducei (dal termine ebraico “saddiq”, giusto), invece, facevano riferimento solo alle leggi scritte e non credevano all’immortalità dell’anima.
Il loro centro di potere era il tempio di Gerusalemme, sede del Sinedrio, il “gran consiglio” composto da settanta membri dei quali loro costituivano la maggioranza; lavoravano insieme agli Asmonei. I loro più acerrimi nemici non erano però i farisei ma gli esseni il cui nome derivava dal termine aramaico “chasja” (“santo”) o dall’ebraico “asja” “Salvatore” che comprende entrambi i significati, perché entrambe le parole hanno la stessa radice. Philo di Alexandria tradusse il loro nome come “therapeuthai” che in greco significa “guaritore”. Come rivela il loro nome i “Santi” erano religiosi fondamentalisti e tradizionalisti. Consideravano gli Asmonei degli usurpatori e giudicavano illegittimo il sacrificio nel tempio. Nei loro scritti, che furono scoperti intorno al 1938 presso Qumran, sul Mar Morto, descrivevano i gran sacerdoti asmonei “uomini della menzogna” o “sacerdoti degli empi” e gli opportunisti sadducei “Maestri di seduzione”. Il loro potere su Gerusalemme e sul tempio rappresentava per gli esseni il segno che “il tempo era giunto”, che si trovavano “negli ultimi giorni” nei quali la forza del male poteva esercitare il suo potere prima che si verificasse la battaglia finale contro le forze della luce e prima che il Messia instaurasse il regno di Dio sulla terra. Sarebbero poi regnate, dappertutto, la pace e la felicità. Per prepararsi al Suo arrivo e alla costruzione della Nuova Israele, gli esseni si ritirarono nel deserto, lontano dalle città degli empi per purificarsi con i rituali. Dai loro rifugi nel deserto, dei quali il più conosciuto è il convento di Qumran, sulle rive del Mar Morto, intendevano prepararsi al “giorno del Signore” e alla seconda colonizzazione di un territorio sul quale avrebbero fondato, come già aveva fatto Giosuè dopo l’Esodo, una nuova Israele. Queste informazioni le appresero dallo studio del libro del profeta Daniele nel quale vi è scritto: “Settanta settimane sono fissate, per il tuo popolo e la tua santa città, per mettere fine alla prevaricazione, porre i sigilli al peccato, espiare l’iniquità, instaurare un’eterna giustizia far avverare visione e profezia, ungere il Santo dei Santi.” (Dan. 9, 24) Ognuna di queste “settimane” era composta da sette anni. La profezia si riferiva quindi a 490 anni durante i quali sarebbe stata “ricostruita Gerusalemme” (Dan. 9, 25).
Questo periodo cominciò con un editto del re della Persia, Ciro, risalente al 538 a.C. e l’inizio della ricostruzione risale al 520 a.C. L’arrivo del Messia, invece, era atteso tra il 48 e il 30 a.C.
Il libro di Daniele, risalente al 164 a.C. circa, diede origine ad un genere letterario apocalittico che caratterizzò la letteratura sacra, soprattutto quella degli Esseni, nei secoli successivi. Ne subirono l’influenza anche i Farisei.
Infatti, se il vangelo di Marco riferisce del membro della minoranza farisea del Sinedrio,Giuseppe d’Arimatea, che “aspettava egli pure il regno di Dio” (Marco 15, 43) allora viene logico pensare che questi credeva alle profezie escatologiche e identificava in Gesù il Messia.
Inoltre, nell’osservanza dei comandamenti di Mosè, gli esseni erano molto più fiscali rispetto agli altri ebrei. Come racconta lo storico ebreo Flavio Giuseppe non avevano una propria città ma “i loro vivevano in ogni (città)”, specialmente in quei quartieri nei quali potevano mantenere uno stile di vita lontano da quello degli “empi”. Un simile “ghetto degli esseni” esisteva anche a Gerusalemme. Anche i rotoli di Qumran riportano le descrizioni dei “comuni di Gerusalemme” che loro definivano anche “città del santuario”: gli esseni rifiutavano le impurità dei templi dei sadducei e, comunque, il tempio come istituzione in sé. All’interno dei ghetti non si potevano assolutamente commettere atti non ritenuti puri dagli esseni. Si usava fare il bagno di purificazione e secondo quanto apprendiamo dagli scritti di Damasco: “Nessun uomo doveva dormire accanto ad una donna nella città del tempio per non macchiarla di impurità”.
Nel 37 a.C., con la guerra di Erode contro re Antigonos, terminò il dominio degli Asmonei ed è probabile che gli esseni avessero identificato questa guerra, che accadde proprio nel periodo profetizzato, con l’attesa battaglia finale ed Erode con un messaggero del Messia. Per loro era quindi giunto il tempo di iniziare “la seconda colonizzazione”, era giunto il tempo di fondare “la Nuova Gerusalemme”.
Durante la guerra Qumran fu distrutta e ricostruita tre decenni più tardi. E’ probabile infatti che Erode, per ringraziare gli esseni del loro appoggio nel corso dei combattimenti, avesse regalato alla setta ebrea la zona sud-orientale della città. Secondo quanto riportato da Giuseppe, durante la sua gioventù, Erode fu visitato da un esseno chiamato Manaem, che gli profetizzò la futura ascesa al trono. Ora, dopo la vittoria contro gli odiati Asmonei la setta sognava la rinascita di “un’età dell’oro”, attendeva l’arrivo di un re-messia proveniente dalla stirpe di David e di un sacerdote-messia dalla casa di Aaron. In questo periodo era previsto anche il ritorno del profeta Elia che, in passato, era salito al cielo in “un carro di fuoco” promettendo di ritornare sulla terra “alla fine dei tempi”, per annunciare il Messia. Gli esseni erano quindi i custodi di questa cultura e il loro attaccamento alla tradizione davidica si mostra anche nell’insediamento della setta sulla collina
nord-orientale di Gerusalemme. Si pensava, e si pensa tuttoggi, che tale collina corrispondesse alla “montagna di Sion” sulla quale si trova la “tomba di David”. Tale collina rappresentò, in seguito, anche “la chiesa degli apostoli”, la comunità della Cristianità primitiva.

GESU’ ERA UN ESSENO?


L’insediamento dei primi cristiani negli antichi quartieri esseni lascia presupporre un collegamento tra i due gruppi. Pare infatti che in una sala situata nel quartiere esseno si sia svolta l’Ultima Cena e che la famosa collina, della quale in precedenza si è trattato, sia la stessa sulla quale Gesù pronunciò il “Discorso della montagna” (vedi Marco 5). Ma Gesù non era un esseno. Il suo rapporto estremamente disinvolto con i riti di purificazione, la sua posizione liberale nei confronti dei “peccatori” e del Sabbat (“Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, Marco 2, 27) non andavano d’accordo con il rigido quadro fondamentalista degli esseni e che è chiaramente illustrato negli scritti di Qumran e dagli scrittori ebrei Josephus e Philo. E’ comunque probabile che il rapporto con la setta degli esseni non lo avesse direttamente Gesù ma la sua famiglia. Questo risulta facilmente comprensibile se si accetta che l’origine di Gesù “dalla casa di David”, come è scritto nei vangeli, non è una fantasia teologica ma una realtà storica.

DALLA CASA DI DAVID

Una serie di indizi sembra volerci dimostrare che Gesù non apparteneva ad una semplice famiglia di artigiani della Galilea, ma alla stirpe di David, i discendenti impoveriti del grande re dei giudei. Questi vivevano a stretto contatto con gli esseni che attendevano l’arrivo del grande re - Messia proprio da questa tribù.
Gesù possedeva una profonda istruzione, cosa che presso gli ebrei rivestiva grande importanza. Tutte le sinagoghe erano dotate, infatti, di una scuola che oltre alle basi della dottrina della fede insegnava a leggere, a scrivere e a studiare a memoria. Si ritiene di credere che Gesù avesse frequentato una scuola di questo tipo. In ogni modo lui sapeva leggere e scrivere (Giov. 8, 6-8) e non solo l’aramaico ma anche l’ebraico delle Sacre Scritture (Luca 4,16) e probabilmente anche il greco, la lingua del mondo dell’est. Non veniva infatti soltanto chiamato “Rabbi”, Maestro, dai suoi discepoli (Giov. 1, 38) ma discusse anche con i teologi del tempio, per esempio con Nicodemo, un fariseo stimato e membro del Gran Consiglio (Giov. 3, 1ff) e quindi “Maestro in Israele” (Giov. 3, 10). Il fatto che anche i suoi fratelli (secondo la tradizione ortodossa i figli che ebbe dalla prima moglie, secondo il vangelo di Giovanni i figli del fratello di Giuseppe Kleopas, quindi i cugini) avessero nomi ebrei (cioè Giacomo, Joses, Giuda e Simone o Simeone, vedi Matteo 13, 55 e Marco 6, 3) testimonia ulteriormente il profondo senso tradizionalista della famiglia di Gesù. Suo padre affidatario, poi, non era un comune carpentiere come tradusse falsamente Lutero ma, come dicono i vangeli greci, un “Tekton”, un costruttore edile. Aveva quindi un lavoro degno di stima, l’istruzione ed era un membro della “casa di Davide” (Luca 1, 27). Anche Maria, la madre di Gesù, proveniva da una famiglia rispettata. Una Sua “parente” (Luca 1, 36), Elisabetta, era sposata con un sacerdote del tempio “dell’ordine Abija, chiamato Zaccaria” e lei stessa “apparteneva alla tribù di Aaron”.
Detto questo potremmo concludere affermando che la figura di Gesù incarnava perfettamente il tanto atteso re - Messia mentre Giovanni Battista, il figlio di Zaccaria ed Elisabetta, aveva i presupposti per rivestire il ruolo di sacerdote - Messia.

NON VOLEVA PORTARE SPERANZA SOLO AGLI ESSENI MA A TUTTA ISRAELE

Il Battesimo di Gesù rappresentò un altro elemento fondamentale nell’adempimento delle profezie. Tale rito corrispondeva, infatti, a quello dell’unzione dei re nell’Antico Testamento. Con questo divenne il re - Messia, il “figlio di Davide”. Gesù però, come già in precedenza accennato, si ribellò al fondamentalismo religioso degli esseni e ciò è dimostrato, soprattutto, nell’episodio riportato nel Vangelo di Giovanni in riferimento alla Festa dei Tabernacoli. I fratelli lo invitarono, infatti, a festeggiare tale ricorrenza ma Egli rifiutò : “ ‘Salite voi a questa festa; io non ci vengo, perché il mio tempo non é ancora venuto’. Ciò detto si trattenne in Galilea. Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, anch’egli vi andò, non pubblicamente ma quasi di nascosto...’ “ (Giov. 7, 8 - 10). Perché Gesù non si recò alla festa con i suoi parenti? Il suo comportamento risulta essere alquanto strano infatti, se proseguiamo nella lettura : “A metà della festa Gesù salì” al tempio e insegnava” (Giov. 7, 14). Non era quindi sua intenzione nascondersi agli occhi di nessuno.
Per lungo tempo gli esegeti discussero su questa contraddizione ma, dallo studio dei papiri di Qumran sappiamo che lo stesso giorno in cui ebbe luogo la Festa dei Tabernacoli, al tempio si festeggiava il Pesach. L’intenzione di Gesù era quindi quella di prendere parte alla festa “ufficiale” nel Tempio e ciò significa che la sua missione non era quella di portare un messaggio di speranza ai membri della setta degli esseni ma a tutti gli abitanti di Israele.

L’ULTIMA CENA

L’ultima cena Gesù la consumò nel quartiere degli esseni che più tardi divenne il centro dei gruppi cristiani. “Allora inviò due dei suoi discepoli e disse loro: ‘Andate fino in città, là incontrerete un uomo che porta una brocca d’acqua, seguitelo e dove entra dite al padrone della casa: ‘Il Maestro chiede: Dov’è la sala in cui possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?’ “ (vedi Marco). Il particolare della brocca è piuttosto curioso visto che, presso quei popoli, era usanza che tali recipienti li portassero le donne.
A questo punto sorge un’altra evidente contraddizione. Secondo Marco, il primo giorno degli Azzimi gli Apostoli domandarono a Gesù del pasto di Pasqua ma, stando ai dati storici in nostro possesso, il tradizionale pasto di Pasqua fu consumato quando il corpo di Cristo già giaceva nel sepolcro.
Il suo processo era stato sbrigato in gran fretta perché si voleva che la Sua esecuzione fosse compiuta prima dell’inizio della Pasqua.
Quel giorno “condussero, allora, Gesù dalla casa di Caifa al pretorio. Era di mattino presto ed essi non entrarono nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua” (Giov. 18, 28). Gesù, poi, morì sulla croce alla nona ora, nel momento in cui al tempio venivano sacrificati gli agnelli. Come si spiega questa contraddizione? Come è possibile che Gesù avesse organizzato l’Ultima Cena il “primo giorno” delle feste di Pasqua se alla vigilia delle feste di Pasqua fu giustiziato?
C’è solo una spiegazione a questa contraddizione ed è da ricercare nei diversi calendari. Il “primo giorno degli Azzimi” si riferisce al calendario della Pasqua esseno: era un mercoledì. Alla fine di questo giorno gli apostoli domandarono della Pasqua che il giorno dopo, quindi un giovedì, si sarebbe dovuta festeggiare. L’unico posto quindi in cui Gesù avrebbe potuto trascorrere tale festa già il giovedì era il quartiere esseno. Questo spiegherebbe perché si riunì solo con i dodici apostoli, senza nessuna delle donne. Secondo la regola degli esseni, infatti, le donne non potevano partecipare ad un pasto di comunione. Questa regola spiega anche il litigio degli apostoli: “Nacque poi fra di loro una discussione: chi di essi fosse da stimare il più grande.” (Luca 22, 24).Questo perché il posto che occupavano a tavola aveva un significato ben preciso: “I sacerdoti si sedevano per primi, i più anziani per secondi e gli altri a seconda del loro grado, come recitano i manoscritti di Qumran. “E quando tutto è pronto per mangiare... il sacerdote allunga le mani, per dare la benedizione al pane e al vino.” Secondo quanto è scritto nei manoscritti di Qumran Gesù festeggiò allo stesso modo.

LA CHIESA DEGLI APOSTOLI

Ci sono una serie di concordanze tra l’organizzazione delle comunità di Gerusalemme e quelle degli esseni come è definito nella “regola dei comuni”, uno dei rotoli di Qumran. La comunità degli esseni, era guidata da un “Consiglio Centrale”, composto da “dodici laici e tre sacerdoti” e nelle lettere di Paolo agli Efesini riscopriamo lo stesso stile con il quale furono scritte le regole della comunità di Qumran : “Voi siete, infatti, costruiti sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, avendo per pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione si lega e s’innalza armoniosa per formare un tempio santo nel Signore; in lui anche voi siete edificati mediante lo Spirito Santo, per essere l’abitazione di Dio.” (Efesini 2, 20-22). I primi Cristiani, poi, erano definiti “I Santi”, la stessa espressione con la quale, in passato, venivano indicati gli esseni. Anche negli Atti degli Apostoli scorgiamo le similitudini tra le prime comunità cristiane e quelle essene: “Non vi era alcuno bisognoso fra di loro, perché quanti possedevano terreni o case li vendevano, e preso il prezzo delle cose vendute, lo mettevano a disposizione degli Apostoli, che lo distribuivano a ciascuno secondo il bisogno”. (Atti 4, 34 - 35)
Secondo la tradizione la “Chiesa degli Apostoli”, una sinagoga, si trovava al centro del quartiere esseno e sembra che nella stessa stanza nella quale fu consumata l’Ultima Cena, Pietro pronunciò le seguenti parole: “E la parola di Dio si diffondeva, il numero dei discepoli andava sempre più aumentando in Gerusalemme, e una gran folla di sacerdoti ubbidiva alla fede”. Allora la comunità contava tremila membri, un numero piuttosto basso se pensiamo che Gerusalemme ospitava 120.000 abitanti. Molti esegeti sono dell’opinione che i sacerdoti nominati negli Atti fossero esseni, dal momento che i sacerdoti del tempio furono i maggiori responsabili della morte di Gesù e, in seguito, della persecuzione ai cristiani. I primi cristiani furono quindi gli esseni?

MARCO A QUMRAN?

Il papirologo Carsten-Peter Thiede raggiunse l’opinione pubblica nel 1996 con il Bestseller “I Papiri di Gesù” nei quali affermò che a Qumran furono scoperti frammenti del Vangelo di Marco. Thiede fu affiancato nel suo lavoro dal papirologo spagnolo, editore della raccolta Palau-Ribes, Jose O’Callaghan che, per primo, identificò il frammento con un pezzo del libro di Marco (Marco 6, 52 - 53). Questo, contrariamente alla maggior parte degli altri scritti, non era in ebraico o in aramaico ma in greco. Una delle giare frantumate rinvenuta nelle immediate vicinanze del frammento, e che inizialmente serviva alla conservazione dei rotoli, arrecava la dicitura ebraica “rwm”, “Roma”. Si trattava del luogo di provenienza del papiro? Secondo la tradizione cristiana il Vangelo di Marco era stato scritto proprio in questa città. Dallo stile di scrittura sembra che il Vangelo risalga al 50 d.C. circa. Tale data è sicuramente vera dal momento che i rotoli furono nascosti nelle grotte situate sopra il “convento esseno” di Qumran nel ‘66, quando scoppiò la guerra ebrea.
A questo punto sorge spontanea una domanda: il Vangelo di Marco era così famoso da essere conosciuto anche dagli esseni o i primi cristiani nascosero i loro scritti nelle caverne situate sopra il Mar Morto?

L'opinione dello storico di Flavio Ciucani

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