TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Danger! Transgenic

Di Luca Manes (GREENPEACE)

 

 

Abbiamo riportato in queste pagine le immagini delle campagne di tutti i gruppi ambientalisti d'Italia a testimonianza del grande impegno contro il pericolo transgenico.

Il WTO è per la sinistra ciò che l’ONU è per la destra: un vero incubo. Questo in maniera molto sintetica il pensiero di molti commentatori internazionali prima dell’inizio della settimana di lavori del WTO a Seattle negli Stati Uniti. Il WTO, ovvero la World Trade Organization, Organizzazione Mondiale del Commercio, ha sostituito il GATT, General Agreement on Tariffs and Trade, nel 1995. Il WTO è in pratica una istituzionalizzazione dello stesso GATT, che ha operato dal 1986 al 1994 con lo scopo di regolamentare tariffe e dazi. Il processo di globalizzazione, accelerato dalla fine della Guerra Fredda e dal diffondersi delle high tecnologies, ha facilitato un aumento dei poteri dell’istituzione internazionale del commercio. Questa organizzazione internazionale, che ha sede a Ginevra, è composta dai Ministri del Commercio di 135 paesi, Cina e Russia escluse, ha come compito di sorvegliare che gli accordi commerciali internazionali vengano rispettati ed ha un vero e proprio tribunale, l’organo di Regolamento, che si pronuncia sui ricorsi, facendo uso dello strumento sanzionatorio, elemento caratterizzante e usato in modo fin troppo incisivo. Biennalmente vi è un Meeting Generale. Lo scopo della riunione di Seattle era definire tempi e modalità di un ciclo di incontri per scrivere regole che “riordinassero” il commercio internazionale, sotto la spinta degli interessi delle multinazionali, fortemente supportate dagli Stati Uniti.
Il WTO si è però concluso con un sostanziale nulla di fatto, rivelandosi un incubo per gli stessi organizzatori. Le varie delegazioni non sono riuscite a trovare degli accordi sui punti caldi oggetto del meeting, soprattutto grazie alla forte pressione della società civile, molto lontana dalle posizioni delle multinazionali e dei politici. E’ stata proprio questa partecipazione popolare a dare un senso di speranza dopo questo fatidico Millennium Round. Tanti giovani, ma anche lavoratori attempati, esponenti di sindacati, associazioni pacifiste e ambientaliste, tra cui Greenpeace, sindacati, organizzazioni non governative, hanno voluto dimostrare il più delle volte in modo pacifico, originale ed incisivo, il loro dissenso nei confronti delle politiche commerciali ed economiche del WTO. Grande risalto hanno avuto sui giornali gli incidenti causati da una minoranza di manifestanti, gli arresti e l’atteggiamento molto ostile delle forze dell’ordine, il coprifuoco imposto dal sindaco di Seattle. Tutto ciò è però servito a far parlare di tematiche delicatissime, legate alla globalizzazione, panacea dei mali del nostro mondo per gli esponenti delle multinazionali e per i politici, grosso rischio per molti. Sul tavolo delle trattative si parlava di lavoro, ambiente, biotecnologie, politiche agricole.
L’esigenza di affermare i diritti fondamentali dei lavoratori, rafforzando la collaborazione tra il WTO l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (OIL), dando a quest’ultima status di osservatore presso il WTO, non ha trovato d’accordo USA e UE e Paesi in Via di Sviluppo. Questi ultimi non vogliono ingerenze nei loro mercati del lavoro, mantenendo così una manodopera a basso costo e con pochissimi diritti. Nettamente contrari a questa posizione USA e UE, che temono per una penalizzazione dei propri lavoratori. Si è affrontato, senza risolverlo, il problema delle pratiche anti-dumping, cioè il ricorso a barriere commerciali per difendersi dalle importazioni a prezzi inferiori al costo di produzione. E’ già importante che non si sia impedita l’esistenza di un giudizio internazionale su queste pratiche, ipotesi caldeggiata dal Giappone. Forti contrasti si sono poi avuti sul tema dei sussidi agli agricoltori, con Europa favorevole ad una politica assistenzialista e USA e paesi del terzo mondo nettamente contrari.
Ma l’argomento principe di tutto il meeting è stato l’ambiente. Questione più spinosa quella delle biotecnologie, basti pensare che negli USA, nazione ospitante il vertice, gli alimenti geneticamente modificati sono diffusissimi. Circa il 50% della soia e del mais prodotti negli Stati Uniti sono geneticamente manipolati e durante la settimana del Millennium Round c’è stata una vera controffensiva della lobby delle multinazionali biotech per confutare gli studi, sempre più numerosi, che vedrebbero i cibi Frankestein pericolosi per la salute dell’uomo e per l’ambiente. Uno dei “cavalli di battaglia” della lobby degli OGM (organismi geneticamente modificati) è che il transgenico sanerà la piaga della fame nel mondo, aumentando la produzione di cibo. Dovremo perciò ringraziare il filantropismo delle multinazionali, che a fronte di investimenti di miliardi (di dollari) si trovano però milioni di consumatori, soprattutto quelli europei, sempre più scettici e la Deutsche Bank, non certo una ONG, che proprio per questa ragione prevede un futuro nero per il mercato degli OGM.
Il fronte USA-Canada, a cui si sono aggiunti una dozzina di altri stati, ha provato a far nascere un gruppo di lavoro del WTO sulle Biotecnologie, dando un probabile via libera alla produzione e al commercio globale dei cibi geneticamente modificati. Progetto colpevolmente avallato dal Commissario Europeo per l’Agricoltura, l’austriaco Fischler, in contraddizione con quanto dichiarato poco tempo fa dall’Unione Europea, ovvero che le istituzioni comunitarie avrebbero impedito ogni ingerenza del WTO sugli OGM. Tutta questa manovra avrebbe minato gli oltre 10 anni di trattative che hanno portato alla Convenzione per la Biosicurezza, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, con la consequenziale firma del protocollo sulla Biosicurezza entro il gennaio del 2000. Fortunatamente alcune nazioni, Italia, Inghilterra, Belgio, Francia e Danimarca, hanno presentato un documento, proposto da Greenpeace, che da anni porta avanti una campagna internazionale contro gli OGM, con cui si è voluto riconfermare il valore e la centralità della Convenzione sulla Biosicurezza. Il gruppo di lavoro sulle biotecnologie non è dunque stato costituito, ma se ne tornerà a parlare nel prossimo Meeting del WTO, che si terrà a Ginevra in data da destinarsi.
Ma altre ancora sono state le tematiche ambientali su cui si è discusso: l’applicazione ed il rispetto degli accordi internazionali, incentrati sulla salvaguardia della biodiversità e la protezione dell’atmosfera, il tentativo di preservare le grandi foreste, vero polmone verde del pianeta, il salvataggio delle tartarughe marine.
Dopo aver esaminato tutte queste tematiche proviamo a fare un’ipotesi (piuttosto reale, a dir la verità): un paese prende un provvedimento per concedere una corsia preferenziale alle merci che rispettano le regole sulla protezione della biodiversità e dell’atmosfera, immediatamente il WTO punisce lo stesso paese per violazione della libertà di commercio. Ci si deve meravigliare se la società civile, viste queste eventualità, è scesa in piazza ed ha protestato senza soluzione di continuità per una settimana?
Greenpeace ha, come detto, partecipato alla protesta ma ha anche avuto un ruolo propositivo nell’ambito della settimana del meeting. L’associazione ha infatti presentato al pubblico il suo nuovo rapporto dal titolo “Safe Trade in the 21st Century”, un approccio alternativo al commercio internazionale, nel pieno rispetto della natura e dei diritti dei lavoratori. Il documento contiene una serie di raccomandazioni chiave, veri e propri parametri che tutti i governi mondiali e il WTO dovrebbero tenere in considerazione per agire concretamente in favore della salvaguardia dell’ambiente. Prima di tutto il WTO deve riconoscere e rispettare senza nessun tipo di interferenze l’Accordo Multilaterale Ambientale (MEA), le regole del commercio devono seguire il famoso principio di sviluppo sostenibile, secondo cui i costi ambientali e sociali devono essere internizzati, ovvero considerati come parte delle spese di produzione delle merci. Poi si chiede che il WTO tenga conto di un altro principio, quello di precauzionalità, come base fondante di ogni decisione. Così si eviterebbero ipotesi come quella considerata prima sulle sanzioni ad un paese che prediliga un commercio rispettoso dell’ambiente in contrasto con le regole della globalizzazione. Si devono anzi integrare le normative nazionali non sufficientemente rispettose dell’ambiente. Il WTO deve riconoscere le distinzioni tra prodotto in base ai metodi di produzione (etichettatura ecologica, etichettatura di prodotti socialmente compatibili, ecc.), deve adottare maggior trasparenza, apertura nelle consultazioni, accesso della società civile alle informazioni e alle trattative. E’ necessario un rapporto organico di collaborazione tra Nazioni Unite e Organizzazione Mondiale del Commercio, la quale dovrà concedere crediti in rapporto a criteri di compatibilità ambientale e sociale.
Fino a quando tutto questo non avverrà, il WTO continuerà ad essere osteggiato da tanti, e tra questi sicuramente Greenpeace.

DANGER! TRANSGENIC
(di SILVIA CORDELLA)

“Noi non siamo nati soltanto dalla nostra madre, anche la Terra è nostra madre che penetra in noi giorno dopo giorno con ogni boccone che mangiamo” (Paracelso).
L’importante significato di questa frase lo si è perso nel corso degli anni e oggi, con l’avvento del capitalismo, non ve ne resta neanche una sola traccia. Lo sviluppo dell’era industriale infatti, oltre ad agevolare ed arricchire il nostro stile di vita attuale, ha via via cancellato l’importanza della natura che collega gli uomini alla forza onnicreante. Le ultime ricerche scientifiche nel campo dell’ingegneria genetica possono essere determinanti per il futuro delle prossime generazioni. La novità, che tra l’altro ha suscitato non poche perplessità, riguarda una scoperta che, secondo le case produttrici, risolverebbe la fame nel mondo.
Una notizia di tale importanza, non può certo essere presa sotto gamba, se questo fosse vero si potrebbe finalmente dire di aver risolto un problema che da secoli affligge l’umanità ma, purtroppo, la realtà è un’altra.
Come sicuramente tutti avrete sentito dalla voce dei TG nazionali, si è recentemente tenuto a Seattle, nello stato di Washington, un vertice del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, per discutere la scottante questione dell’agricoltura di tutto il mondo e la biotecnologia.
Questi Signori, con i brevetti già in tasca, avevano deciso di cambiare completamente le nostre abitudini alimentari e le differenti tradizioni culturali di diversi Paesi del mondo acquisite in secoli e secoli di storia, sostituendole a piantagioni geneticamente modificate.
Il problema emerso a Seattle, grazie ai manifestanti e alle organizzazioni non governative giunti da tutto il pianeta, non riguarda solo la conservazione delle tradizioni, ma assai più pesantemente i problemi degli effetti dati dagli OGM sull’ambiente, sulla salute umana e sulle gravi situazioni dei Paesi in via di sviluppo.
Per saperne di più, oltre alle notizie riportate dai giornali, ci siamo interessati personalmente al problema presenziando l’8 dicembre all’Alpheus di Roma a una riunione sulla manipolazione genetica, organizzata da diverse associazioni ambientaliste italiane: Greenpeace, Crocevia, WWF, A.I.A.B., C.S.A., Legambiente, L.A.V., S.U.M., Verdi, e Verde Ambiente e Società.
Gli importanti dati emersi da questo incontro e le testimonianze dirette costituiscono elementi fondamentali per la messa a fuoco del problema.
Come dicevamo prima, le questioni basilari sono diverse: in primo luogo non sarebbe affatto vero che gli organismi geneticamente modificati risolverebbero la fame nei Paesi del Terzo Mondo. Le multinazionali americane, principalmente la Monsanto e la Novartis, possiedono, da qualche tempo, i brevetti per commercializzare i loro prodotti e hanno già comprato moltissime ditte sementiere. Gli agricoltori dei paesi poveri, nei quali non esiste concorrenza, ma solo la presenza di queste corporation, sono costretti a comprare ogni anno le nuove sementi con i rispettivi erbicidi e il rinnovo dei loro brevetti. Lo stesso discorso vale anche per i prezzi delle medicine che vengono pagate da questa gente il doppio, il quadruplo di quanto le paghiamo noi, sempre a causa del monopolio dei grandi colossi internazionali. Per assicurarsi un ricavato costante, la Monsanto ha astutamente ideato la tecnica “terminator”, che obbliga gli agricoltori a comprare anche più volte l’anno le nuove semenze, in quanto queste diventano sterili dopo il primo raccolto. “Allora cosa sta succedendo?” si domanda Fabrizia Pratesi, del comitato scientifico antivivisezionista, “Esistono praticamente tre fazioni, da un lato ci sono quei Paesi che hanno nelle mani queste nuove tecnologie, le cui industrie multinazionali sono quelle che spingono verso la loro diffusione attraverso le leggi del mercato. Sull’altro fronte ci sono i Paesi poveri, i Paesi del sud del mondo che vedono nella diffusione degli OGM il sicuro collasso delle loro economie, perché a causa delle loro condizioni di povertà, verrebbero sicuramente soggiogati dalle multinazionali. Proprio questi paesi, i quali avevano saputo conservare la biodiversità del pianeta, sono quelli a cui questa diversità viene rapinata e che adesso subisce l’imposizione di un’agricoltura biotecnologica, ovvero un’agricoltura brevettata dalle corporation americane...”. “C’é da dire che i brevetti sulla materia vivente coprono tutta la discendenza, di conseguenza queste ditte riscuotono i brevetti anno dopo anno. Fino a poco tempo fa, imponevano al compratore di semenze di firmare un contratto per il quale si impegnava a far sottoporre il suo campo a dei controlli annuali per verificare che il contadino non avesse riseminato i semi del suo raccolto senza aver pagato nuovamente il brevetto. Hanno voluto raggirare questo ostacolo inventando la tecnologia terminator che praticamente sterilizza le sementi dopo il primo utilizzo. Così facendo hanno evitato anche i costi legali a cui erano andati incontro precedentemente. Ci sono stati dei casi nei quali alcuni contadini sono stati denunciati per aver venduto prodotti geneticamente modificati, quando mai li avevano acquistati. In effetti quei prodotti non erano neanche mai stati seminati, semplicemente l’inquinamento, attraverso i pollini, aveva contaminato i loro raccolti.
Nel frattempo prende piede una nuova tecnologia più raffinata rispetto alla “Terminator”; si chiama “traitor” e consente al seme venduto di avere una fertilità riattivabile purché venga usato un prodotto chimico proveniente dalla stessa industria e in ogni caso soggetto al continuo pagamento del brevetto”. Tale situazione, a dir poco insostenibile, ha dato vita alla protesta.
La pesante ritorsione contro le aziende leader del settore, nasce proprio dentro i confini europei, i quali non accettando di buon grado l’intrusione incontrollata degli alimenti transgenici, bloccano l’importazione e chiedono la loro etichettatura. Soja e mais geneticamente modificati erano infatti già presenti sul mercato senza nessun controllo e senza nessuna identificazione sulle confezioni.
Sorge, per questi colossi americani, la necessità di un accordo con i vari governi mondiali, da cui ha inizio il grande braccio di ferro al vertice del WTO.
“Questi Signori” racconta una giornalista, collaboratrice di “Liberazione”, presente a Seattle “si dovevano riunire in questa cosa fantomatica, definita Organizzazione Mondiale del Commercio per decidere delle regole che avrebbero di fatto invalidato le legislazioni nazionali. Per fare un esempio, se un governo avesse deciso di non importare più una sostanza considerata tossica, il WTO l’avrebbe dichiarata concorrenza sleale, mettendo in atto una ritorsione economica per quei Paesi. Ad esempio, quando la Comunità Europea ha posto dei limiti all’ingresso del cibo transgenico, il WTO ha deciso delle pesanti ritorsioni doganali sui nostri alimenti, quali parmigiano e formaggi francesi rivenduti a un prezzo due volte superiore a quello normale, creando danni economici enormi ai coltivatori europei.”
E mentre si cercava di trovare un accordo, i coltivatori statunitensi, che fino all’anno scorso erano impegnati ad osteggiare fortemente la chiusura della importazione europea degli OGM, si trovavano ora in piazza a manifestare al fianco degli stessi europei per la messa al bando della biotecnologia agricola.
La Monsanto infatti, aveva promesso loro un incredibile incremento dei raccolti e la vendita sicura dei prodotti in confezioni prive di etichetta sul mercato europeo; inoltre, questi agricoltori, iniziano ora a subire gli effetti delle loro piantagioni biotecnologiche.
I coltivatori americani si ribellano all’inganno delle multinazionali e chiedono una sospensione di ogni rilascio in ambiente a proposito dell’ingegneria genetica, chiedono una immediata valutazione dell’impatto ambientale, sanitario, sociale ed economico degli OGM, chiedono una moratoria su ogni tipo di brevetto che includa semi, piante, animali e geni, domandano inoltre che le multinazionali dell’agro-businnes siano direttamente chiamate in causa al pagamento dei danni sulla salute e sull’ambiente. Chiedono ancora l’etichettatura dei cibi, perché i consumatori di tutto il mondo siano a conoscenza di cosa mangiano.
In riferimento a ciò, non si può dire con certezza che gli OGM non siano già nelle nostre tavole, in quanto la maggior parte del cibo transgenico è stato utilizzato come mangime negli allevamenti di carne animale.
La biotecnologia alimentare sembra ormai un pretesto evidente delle corporation americane per incrementare i loro profitti.
Riportiamo uno slogan che la Monsanto ha promosso nei Paesi del Terzo Mondo: “Nelle vaste aziende agrarie d’Europa e degli Stati Uniti le coltivazioni crescono rigogliose e producono la sovrabbondanza di cibo, ma in aree del mondo la popolazione si confronta con la fame ogni giorno, viviamo tutti sullo stesso pianeta e abbiamo tutti le stesse necessità, in agricoltura le nostre necessità possono essere risolte dalla biotecnologia e dalla promessa che essa offre per il nostro futuro, accettare questa scienza può colmare l’impari differenza per milioni di esseri umani, i semi del nostro futuro sono messi in terra, lasciateli crescere, lasciate che il raccolto abbia inizio, poter contare su un cibo sicuro, per il nostro futuro significa contare su una vita migliore.”
La dimostrazione di quanto questa dichiarazione sia falsa risiede nella semplice costatazione che il pianeta possiede risorse sufficienti per tutti i popoli.
“Secondo un rapporto della FAO”, infatti, prosegue Anna Maria Properzi collaboratrice di Crocevia, “fatta eccezione per alcune zone estremamente limitate, la produzione mondiale agricola proiettata secondo la produzione attuale, è sufficiente a fronteggiare sia la crescita della popolazione che quella della domanda degli alimenti”.
Oltre a questo compaiono i primi allarmi sui seri danni ambientali, si notano i primi fenomeni di resistenza, ossia, piante che avendo un determinato gene per resistere a un pesticida passano la resistenza ai parassiti che diventano sempre più forti.
Il risultato di un cambiamento genetico tra organismi viventi non può essere previsto in quanto si interrompe la trasmissione genetica originale. Per legge di compensazione, la natura in questo caso tenderebbe a ricercare un proprio equilibrio, così facendo, gli organismi (dai microorganismi all’uomo), cambierebbero negli anni il loro patrimonio genetico, subendo una sicura e inesorabile mutazione delle specie e apportando un grave scompenso al nostro ecosistema.
Il fattore di rischio primario è quello di una eliminazione sicura per qualsiasi agricoltura diversa da quella biotecnologica. La contaminazione attraverso i pollini e la trasmissione tossica dei terreni, sono un passaggio obbligatorio per tutte le culture, comprese quelle biologiche e biodinamiche costrette inevitabilmente a scomparire.
Le ONG africane, accreditate e non, ai lavori ufficiali del WTO, avrebbero presentato la “Africa United”, una mozione unitaria dei Paesi francofoni e di lingua inglese, la quale sarebbe riuscita a unificare questi governi e a rifiutare i brevetti delle coltivazioni agricole. Ha inoltre dato la forza ai delegati africani all’interno del WTO di abbandonare l’assemblea.
Attraverso la manipolazione genetica questi gruppi industriali, infatti, pretendono di acquistare il controllo della produzione alimentare di tutto il mondo, attuando una metodologia di monopolio nei confronti delle imprese più piccole e abbattendo la concorrenza di mercato. Si combatte così, a nostra insaputa, una vergognosa guerra sulla gestione delle risorse naturali, che paradossalmente dovrebbero essere un bene comune per la sopravvivenza delle specie. Assistere alla sconfitta della libertà di espressione di ogni singolo uomo e alla repressione dei Paesi poveri, non merita nessuna giustificazione da parte di coloro che ne rimangono completamente indifferenti.
Oltre a penalizzare economicamente più di qualsiasi altro i contadini dei Paesi del Terzo Mondo, la biotecnologia non dà risposte certe neanche riguardo agli effetti sull’ambiente. Studi scientifici hanno dimostrato che il 60% delle allergie alla soja sono prodotte dalla soja modificata. Il rischio è che trasportando il gene da una specie vivente all’altra, alterando quindi l’equilibrio metabolico delle molecole, si producano sostanze tossiche sconosciute. Non è possibile con i mezzi della scienza attuale, prevedere gli effetti di un organismo alterato, una volta innescato il processo di riproduzione, non lo si potrà più fermare.
E’ ciò che probabilmente è successo negli Stati Uniti con il triptofano, un aminoacido il quale dopo un’alterazione genetica ha procurato delle gravi intossicazioni, causato 37 morti e danneggiato decine di migliaia di persone.
Il 70% degli OGM in agricoltura sono stati modificati per resistere agli erbicidi. Secondo le statistiche, l’uso di queste sostanze, in particolar modo del glifosato, estremamente cancerogeno, è salito da due a cinque volte. Un’altra causa di rischio, come abbiamo già detto, è il mangime dato agli animali, di cui abbiamo già visto gli effetti sulla mucca pazza o sui polli alla diossina. A questo si aggiunge il problema dei virus vettori, che vengono utilizzati per inserire il gene da un organismo all’altro. E’ stato accertato in laboratorio che il gene comunemente usato per il trasferimento delle caratteristiche da un organismo all’altro è quello resistente all’antibiotico e sempre in laboratorio si è appurato che può essere trasmesso ai batteri dell’intestino umano.
Il 29% degli OGM in agricoltura è servito per introdurre la resistenza alla tossina Bt, che rende la pianta tossica per gli insetti predatori, ma dopo alcune analisi si nota una maggiore resistenza anche da parte loro. Dopo la contestazione europea, gli Stati Uniti hanno finalmente deciso di analizzare e sperimentare in laboratorio i processi di alterazione degli OGM. I risultati emersi sono deludenti: la biotecnologia agraria non aumenterebbe la produzione del raccolto ma la diminuirebbe del 10%.
Ancora una volta ci rendiamo conto di come l’ economia prenda il primo posto di fronte a qualsiasi questione sociale.
Nel 1995 le organizzazioni non governative di tutta Europa si sono alleate, grazie ai Verdi, per contrastare le direttive europee che proponevano le stesse leggi già in vigore in America e in Giappone e che prevedono la possibilità di brevettare piante e animali. Tali leggi passarono poi nel ‘98. Oggi però l’Italia cambia la sua posizione, da “favorevole” a “di astensione”, ed è ora in atto, presso la corte di giustizia europea, un ricorso contro i brevetti sulla vita firmato da Italia, Olanda e Norvegia.
Abbiamo ampiamente sviscerato il problema di un’agricoltura rivolta verso i profitti di una commercializzazione incontrollata piuttosto che sulle reali possibilità risolutive dei vari problemi sociali. Parliamo ora delle soluzioni possibili rispetto alla questione degli “OGM”.
Cristina Grandi, collaboratrice dell’AIAB, (Associazione Italiana Agricoltori Biologici), ci aiuta a capire l’importanza delle coltivazioni biologiche.
“Con l’evento dell’industria chimica e la sua corsa verso il denaro, i terreni e le colture si sono indebolite enormemente, c’è stato un grosso calo delle piccole fattorie e un aumento delle grandi imprese specializzate in settori diversi. Si è rivolto lo sguardo alla vendita massiva dei prodotti agricoli, ma si è tralasciata la cosa più importante, la salute dei nostri cibi.”
L’eccessivo sfruttamento dei terreni, l’ingresso degli erbicidi e dei pesticidi hanno impoverito, infatti, molti dei nostri campi e avvelenato molti dei nostri alimenti. Le coltivazioni biologiche e biodinamiche vengono lavorate con il rispetto delle leggi ambientali. Per esempio, per evitare le invasioni dei parassiti, è fondamentale far ruotare diverse colture nel corso di un solo anno, in modo che questi non abbiano il tempo di riprodursi. Nelle colture convenzionali, chimiche, il processo è opposto: vengono fatte anno dopo anno le stesse coltivazioni, che facilitano la crescita dei parassiti. Per aggirare l’ostacolo si usano normalmente i pesticidi, che oltre a sterminare i parassiti indeboliscono il terreno.
Ricordiamoci che da un terreno sano cresce una pianta sana, e siamo sempre noi a trarne beneficio.
Perché i prodotti biologici hanno un costo maggiore rispetto a quelli tradizionali?
“L’alto costo è dovuto al fatto che non tutti i terreni sono idonei alle coltivazioni, e spesso siamo carenti di mezzi di trasporto delle produzioni, per questo a volte si rischia di trovare una carota o un cetriolo non del tutto freschi. Ma se il prodotto del supermercato è meno costoso, è vero che in quel prodotto non vi è incluso il costo dell’inquinamento della Terra e dei fiumi, le erosioni dei terreni, le frane e gli svuotamenti.” “ In molti Paesi europei, gli alimenti biologici sono già presenti nei grandi magazzini ad un prezzo abbastanza compatibile. Il nostro programma è quello di ridurre i prezzi del biologico, ma non abbiamo nessun contributo da parte delle regioni. Questo rende tutto più difficile”, “Inoltre bisogna dire che gli istituti di ricerca sono per lo più al servizio delle grandi compagnie in grado di sostenere costose sperimentazioni. Lo sviluppo agricolo biologico è anche per questo penalizzato e nessuna di queste società ha mai apportato un contributo positivo...”.
Come abbiamo visto, coloro che dovrebbero salvaguardare il nostro mondo, le nostre famiglie, le nostre vite, si dimostrano deboli, corrotti e distratti ... quale fiducia meritano i nostri governi? La società attuale deve fare i conti con se stessa, ma siamo sempre noi, cittadini di questo bellissimo pianeta, figli di questa grande e unica madre Terra, a dover lottare per difendere la sua e la nostra salute. Non aspettiamo che qualcuno lo faccia al posto nostro!

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IL MAIS BT SI DIFENDE DA SOLO

La notizia, che arriva dalla CNN, mette in allarme gli ambientalisti: “Le radici del mais geneticamente modificato per autoproteggersi dalla piralide cedono inaspettatamente nel terreno la tossina insetticida che le rende resistenti alla piralide”. La scoperta è stata fatta dal dottor Guenther Trotzky e dalla sua équipe di ricercatori dell’Università di New York e pubblicata sulla rivista scientifica “Nature”. Nel mais prodotto dalla multinazionale Monsanto è stato introdotto un gene appartenente ad un batterio che vive nel terreno, il Bacillus thuringiensis, il quale attribuisce alla pianta stessa la capacità di produrre una proteina letale per la piralide. Il cosiddetto mais Bt ha decisamente aumentato le sue rese per ettaro ma i non previsti effetti collaterali appena citati meriterebbero uno studio più approfondito. La tossina prodotta dal mais transgenico per difendersi dalla piralide non viene facilmente eliminata e rimane nel suolo. “Potenzialmente - sostiene Stotzky - esiste anche il rischio che la tossina si rafforzi e che passi la propria resistenza anche ad altri organismi”. La notizia è agghiacciante, soprattutto se si pensa che negli Stati Uniti i terreni coltivati con mais Bt sono circa il 20% del totale.

 

 

 

 

 

 

 

LA MONSANTO IN TRIBUNALE

“Dopo le proteste di piazza gli ecologisti passano alle aule di tribunale e insieme a sei aziende agroalimentari hanno denunciato il colosso biochimico Monsanto, l’azienda leader nel mondo della produzione di sementi modificate geneticamente. L’accusa è quella di aver omesso i controlli sulla innoquità della soia e del granoturco prodotti con le tecniche dell’ingegneria genetica”.
Da “Liberazione” 16.12.1999

 

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