Scritti su R. Corso :Onore al merito (Raffaele Lombardi Satriani)// R.C. e la "Scienza dei popoli"  (RenzoCarmignani) //  R.C. (Nania) // R.C.(Lucrezi)  // R.C. antropologo(Gallo) // R.C. e Gramsci (Mileto)  //

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1.                                             

Prof. Raffaele Corso 

ONORE  AL MERITO 

 

 

 di Raffaele Lombardi Satriani

 

 

     Lodare l'uomo preclaro dimostra il pregio e la stima che si ha del suo sapere. 

                                      

    Con questo doppio sentimento, io plaudo entusiasticamente alle onoranze che si tributano al nostro grande folklorista Raffaele Corso, che tale stimava fin da giovinetto il Pitrè, quand’Egli si recò a Palermo, per preparare nella biblioteca del sommo maestro, la tesi di laurea sui Proverbi giuridici italiani.

    L’amore per il nuovo ramo di studi, in cui il Pitrè aveva impreso l’indelebile orma, crebbe talmente nell’animo del giovane, studioso, sotto il paterno quotidiano influsso pitreiano, che animò il suo forte ingegno a prendere in esame ardui e complessi problemi della scienza, nella quale ora è degnamente considerato astro luminoso.

    Molte sono le sue pubblicazioni, che toccano i principali rami del folklore, dalle tradizioni orali a quelle oggettive, dai proverbi ai canti, dai mito ai riti, dalle arti popolari alle pratiche giuridiche e medicinali, dagli usi del matrimonio a quelli della nascita e della morte, e via dicendo.

    Secondo il Corso lo studio del folklore è indissolubile da quello dell’etnografia, perché le tradizioni popolari prendono origine dall’umano sentire ed affondano le loro radici nel terreno primitivo. Lo dimostrano i caratteristici raffronti che illuminano le oscure questioni genetiche e storiche. E’ questa la base del sistema da Lui svolto e discusso in contrasto con tanti autorevoli studiosi, in vari congressi internazionali, fino a raggiungere la sua affermazione nel mondo ed a creare una scuola, che è giustamente riconosciuta come l’autorevole scuola italiana, non offuscata dai pigmei, che qua e là, tentano di contrastare il primato di cui gode.

Sono memorabili le relazioni del Corso svolte nel Congresso delle Scienza Antropologiche ed Etnografiche in Lontra, sulla diffusione geografica di una costumanza nuziale in Africa, e sul coordinamento delle diverse teorie del folklore, a Parigi nella terza sessione plenaria della Commissione Internazionale delle arti Popolari.     Unificare la concezione degli studi; dare a questi un sistema ed un ordine per le ricerche e l’analisi; contribuire a rafforzare il metodo, conducendo le tradizioni nel campo etnografico, intensificandone i vari rami, significa portare la guidane disciplina del dominio della curiosità in quello scientifico, e rinnovarla a farla rinascere.

    È questa la grande opera di Raffaele Corso, e per essa è ora onorato da tutti gli studiosi, come un’alta ed autentica espressione della scuola italiana, che con Lui risplende nel mondo. Bene ha detto il Morote Best, Professore di Folklore nell’Università Peruviana nel Cuzco, che il volume giubilare, che raccoglie scritti di autorevoli studiosi del mondo, in omaggio allo scienziato italiano, rappresenta la più bella corona sulla fronte del lottatore: E Raffaele Corso ha molto lottato per imporre la sua scienza, e soprattutto ha molto sofferto !

                                                                              Raffaele Lombardi Satriani

 

*dalla rivista "Gli scrittori calabresi" - Numero unico "Omaggio a Raffaele Corso", 1953

 

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 2.           Raffaele Corso e la «Scienza dei Popoli»

 

                                                                                                    di Renzo Carmignani

 

    La vastità della produzione scientifica del prof. Raffaele Corso non è stata sempre sufficientemente valutata.      Le opere fondamentali sul Folklore e sulla Etnografia hanno richiamato u di sé tale attenzione da distrarre dall’apprezzamento dei saggi del Corso, che sono numerosi e non meno importanti delle due opere-guida.

    Il valore scientifico di questi saggi è quanto mai rilevante, per il contributo veramente notevole per il progresso della scienza etnografica in generale e per la dimostrazione del metodo in ispecie.

    E’ importante fissare ben chiaramente un momento del pensiero scientifico del nostro Maestro.

    L’indagine etnografica e folklorica, Egli afferma, non costituiscono due aspetti a sé stanti, indipendenti, dello studio della «Scienza dei popoli», bensì rappresentano due tappe dell’analisi scientifica, indispensabili per un risultato soddisfacente e completo nella ricerca causale e nella spiegazione delle reviviscenze.

    Questo pensiero profondo ed analitico informa tutta l’attività scientifica del Corso, che, per la natura stessa del principio postulato, non poteva essere espletata che con saggi, preziosissimi e mirabili.

    La visione unitaria della scienza etnografica, avente come ultimo capitolo (non per importanza, bene inteso !), il folklore, lo studio, cioè del popolo incolto, ed il metodo comparativo, costantemente consigliato e vittoriosamente applicato, hanno permesso al corso di chiarire molte questioni etnografiche e folkloriche in sospeso; di riportare all’attenzione degli specialisti studi ritenuti definitivamente compiuti e di concluderne in numero considerevole.

    Merito del Corso è, dunque, non solo quello di avere, per primo, pensato e realizzato l’insuperata guida scientifica del folklorista, che ha dato allo studioso la possibilità di elevarsi dalla mera, anche se importante, attività di collettore, e raggiungere la condizione di analizzatore scientifico, i prolegomeni per lo studio dell’Etnografia; ma altresì di avere dimostrato, a più riprese, con una più che trentennale attività, la bontà del Suo metodo, al quale gli studiosi di problemi etnografici debbono la dignità ed il decoro della Scienza etnografica in Italia e degli studi italiani nel mondo.

    Il numero veramente cospicuo degli articoli sulle principali riviste scientifiche italiane ed estere; gli Atti dei Congressi nazionali ed internazionali ai quali il Corso ha partecipato (spesso rappresentando l’Italia) e dei quali è rilevabile il frutto del pensiero e della ricerca del Corso negli studi dell’etnografia generale, dell’etnografia giuridica e della Nipiologia; le numerose voci nella Enciclopedia Italiana; il contributo alla realizzazione dell’opera «Razze e Popoli della Terra» del Biasutti; le opere «Africa italiana: genti e costumi», del 1940; «Aspetti di Vita Africana» del 1941; gli undici mirabili saggi contenuti nella recente pubblicazione «Studi Africani» (1950), la direzione della più qualificata rivista scientifica italiana, «Folklore», che porta, notevolissima, l’impronta del maestro, rendono il Corso il capo della scuola italiana e la sua opera una guida luminosa per l’avvenire degli studi etnografici.

    Il «grande folklorista» e il «grande etnografo», come spesso il Corso è stato definito, si identificano, dunque, nell’armonia dello studio generale della «Scienza dei Popoli».

 

*dalla rivista "Gli scrittori calabresi" - Numero unico "Omaggio a Raffaele Corso", 1953

 

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3.                                                                                    Raffaele Corso

                                                                    di Salvatore Nania

    Tra le molte dediche di libri offerti in omaggio d’ogni arte del mondo a Raffaele Corso, una del Perù, dettata dal prof. Efraim Morote Best, titolale della cattedra del folklore nell’Università di Cuzto, così saluta il nostro studioso: "A Raffaele Corso, illustre amico e maestro, che da Napoli illumina il mondo".

    Il Morote Best, più vicino di franti altri studiosi, al nostro Raffaaele Corso, per le ricerche, per il metodo, per la concezione della nuova scienza, ha voluto esprimere con quelle parole il sentimento di venerazione di stima e di ossequio per il grande maestro, che si è autorevolmente affermato con i suoi studi generali e particolari e con quelli comparativi in specie, creando una scuola che onora l’Italia. Chi consideri l’attività di Raffaele Corso, negli ultimi trenta e più anni che seguirono alla morte di Giuseppe Pitrè, rimarrà vivamente compiaciuto e meravigliato.

    E’ a tutti noto che la scomparsa del grande palermitano segnò un momento di stasi nel dominio degli studi delle tradizioni popolari. L’Archivio da lui fondato nel 1882 e diretto per molti anni, interruppe le sue pubblicazioni nel 1907, per il fallimento dell’editore, in Torino; mentre gli studiosi, collettori quasi tutti, non proseguirono o non diedero alla luce le raccolte già preparate in varie provincie e regioni. Gli studi delle tradizioni popolari languivano, e ad addormentarli sopraggiunge la prima guerra mondiale, distogliendo vecchi e giovani dell’amore di una scienza che meritava di essere fecondata ed illuminata. Nel languore generale Raffaele Corso non lasciò spegnere la fiaccola, che aveva ricevuto dal maestro in Palermo, dove si era recati prima, per la tesi di laurea, e, dopo, per la preparazione alla libera docenza in Etnografia, che conseguì per titoli, nell’Università di Roma, nell’autunno del 1914. La mantenne accesa, associandosi in Roma un gruppo di giovani, col proposito di fondare nell’aspro periodo della guerra, una rivista dal titolo «La Tradizione Popolare»; ed in Calabria, il barone Raffaele Lombardi Satriani, inducendolo a pubblicare il periodico «Folklore Calabrese».

    Da quel momento incomincia la rinascita degli studi delle tradizioni popolari in Italia, la quale, giustamente, riconosce in Raffaele Corso il restauratore di un retaggio scientifico, che risale ai grandi maestri come Giuseppe Pitrè, Alessandro D’Ancona Arturo Graffi, Ermolano Risieri, Costantino Nigra, per non risalire al Tommaseo e ad altri benemeriti.

    Ma non è solo la rinascita degli studi folkloristici, che distingue il nostro Raffaele Corso. Egli ha un titolo più grande, quello di ricostruttore e sistematore delle ricerche. Col Pitrè, col De Gubernatis, col D’Ancona e con altri studiosi l’Italia non era riuscita a dare carattere scientifico alle ricerche delle tradizioni popolari, che allora erano considerate come «curiosità storiche e tradizionali», perché non vivificate da un metodo adeguato alle esigenze dei tempi. Fuori d’Italia il Tylor, il Frazer, il Lang, il Mannhardt, il Krauss, il Kohler, il Liebrecht, davano origine, coi loro studi, a nuove tendenze, e sistemi e metodi traevano considerazioni notevoli e avviavano agli studi su nuove vie; mentre tra noi continuava il vieto critico «delle varianti e dei raffronti, limitato per giunta, alle tradizioni popolari di qualche provincia o di un gruppo di provincie o di regioni».

Raffaele Corso non si accontenta di ammannire riscontri e raffronti, varianti e paralleli, e superando il lavoro dei ricercatori che lo avevano preceduto, inizia nuovo sistema di indagini e di investigazioni, che lo porta all’affermazione del metodo comparativo in Italia. «E’ con Raffaele Corso – scrisse il Cocchiera nel "Convivium" del 1933 - che l’Italia conquista in Europa il suo nobile posto nello studio comparato delle tradizioni popolari. Né il Corso si è contentato di ricostruire la genealogia delle tradizioni popolari italiane, perché egli ha affrontato problemi di carattere generale: la vita sessuale, le cerimonie nuziali, gli usi giuridici».

    Né basta. A Raffaele Corso oltre il metodo che esce dal suo lavoro vivificato, dobbiamo la rinnovata concezione della scienza; concezione che si diffonde, a poco a poco, col favore degli studiosi in tutti i paesi, fino ad essere accettata e preferita alle altre, che qua e là, sorgono o erano sorte già prima.

    Secondo il nostro studioso, la scienza delle tradizioni popolari rientra nel dominio di una scienza più ampia e generale, l’etnografia; anzi, si può dire costituisca l’etnografia minore, del popolo o del popolino delle nazioni civili, rispetto all’etnografia maggiore, che attende alla conoscenza di tutte le genti, con particolare riguardo di quelle primitive. Non si possono comprendere nelle loro origini, le tradizioni popolari, senza i lumi dell’etnografia, che offre gli elementi per scoprire il fondo primordiale di tante costumanze, le quali formano il retaggio pagano o prepagano del popolo.

    Sono queste le basi del sistema scientifico del nostro insigne studioso, che dopo aspri contrasti e discussioni in libri articoli, relazioni di congressi internazionali, è riuscito a diffondere la sua concezione e la sua teoria ed a fondare una scuola, che ha seguaci in tutto il mondo, al di quà e al di là dell’Atlantico.

Il lucido compendio di tale sistema, che diciamo etnografico per il principio, ritualista per io criterio, e comparativo per il metodo, si trova nel volume «Folklore» (storia, obbiettivo, metodo), di cui è in corso la 4 edizione, notevolmente ampliata ed aggiornata.

    Non vi è paese che non conosca l’aureo libro, che ha aperto orizzonti nuovi agli studiosi e che è il primo del genere, che si sia pubblicato in Europa, né Giuseppe Pitrè, né Giacomo Giorgio Frazer, né Andrea Lang avevano pensato a preparare una simile opera, la quale dopo aver definito il folklore, ne delineasse le tendenze, i metodi, le scuole; ne indicasse i musei principali e la fondamentale bibliografia, tracciando la storia degli studi nelle diverse nazioni, specialmente dell’Europa. Il libro fece fortuna, e poco dopo fu imitato e seguito. Negli anni successivi comparvero in Francia con lo stesso titolo, il manuale del Van Gennep, e quello del Saintyves; In Italia quello del Cocchiara e l’altro del Toschi, con mutato titolo, per non citarne altri.

    Raffaele Corso, il discepolo prediletto del grande Pitrè, che lo propose a suo successore nella cattedra di demopsicologia della Università di Palermo, che lo amò come figliuolo spirituale, predicendone i successi gloriosi («Il suo avvenire sarà luminoso come il suo ingegno», diceva in una lettera del 1906), è giustamente ritenuto, nel mondo, per i suoi studi, uno dei grandi e benemeriti sistematori, ricostruttori e rinnovatori. Lo dice la manifestazione a lui dedicata dal Club Internazionale ed alla Associazione Tucumana di Folklore, col tributargli solenni onoranze, con l’offerta di un volume di scritti di oltre 60 fra i più autorevoli etnografi e folkloristi dell’Europa e dell’America e di una medaglia d’oro col motto: «Omaggio Universale al Maestro Raffaele Corso». E lo dice, anche, la cerimonia che si sta per compiere in Roma, presso la Società geografica Italiana, nella Villa Celimontana, per la consegna di una pergamena al grande scienziato italiano, che per primo ottenne la cattedra stabile universitaria in Italia, di una materia nella quale è universalmente stimato, come rappresentante e come maestro.

 

*dalla rivista "Gli scrittori calabresi" - Numero unico "Omaggio a Raffaele Corso", 1953

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4.                                            RAFFAELE CORSO

                                                                                            di Bruno Lucrezi  

    In un mondo immutabilmente travagliato dagli egoismi e dalle incomprensioni, illuso dietro le chimere d’una pace tanto perseguita dalle parole quanto minacciata e offesa dai fatti, Raffaele Corso se n’è andato in silenzio, dalla sua casa di viale Michelangelo in Napoli, scorso 28 luglio, con quella discrezione ch’era Sua. Né diremmo che, all’infuori del mondo e della cultura accademica, la scomparsa di Lui sia stata particolarmente notata e sentita. Eppure noi non esitiamo ad affermare che il mon do non avrà pace sino a quando non saranno proprio gli uomini della sua qualità e della sua statura ad essere conosciuti e ascoltati. Uno sguardo appena alla vita e all’opera dello Uomo basterebbe anche ai più sprovveduti per rilevarne la grandezza e intuirne il magistero.

    R. Corso, che nacque a Nicotera nel 1883, fu uno di quei calabresi d’animo alto e di fervidissimo ingegno, che tante volte nei secoli, tante volte nei secoli, naturalmente confluendo a Napoli e quivi operando, diedero lustro nell’ambito della cultura nazionale, al Mezzogiorno d’Italia. Aperto alla scienza come all’arte, alla poesia come alla storia, e alla letteratura e al diritto, di mostrò fanciullo appena, e poi giovinetto, con la precocità del genio, quella che sarebbe stata la vocazione fondamentale del suo spirito: conoscere l’uomo e la civiltà sua, la sua storia, attraverso la vita dei popoli e del popolo, le manifestazioni sue originarie e spontanee: usi e costumi, riti e favole, miti, proverbi, canti. Già a dieci anni aveva preparato una raccolta di indovinelli popolari; e pubblicò a 17 un articolo sui canti popolari calabresi. Presentato da Francesco Torraca, allora alla Università di Napoli, a Benedetto Croce, e dal Croce a Giuseppe Pitrè, preparò con la guida di quest’ultimo, che ne intuì subito le eccezionali capacità, la tesi di laurea in giurisprudenza sui ((Proverbi giuridici italiani». Specializzatosi a Roma in Paletnologia e Antropologia con Pigorini e Sergi, fu poi a Firenze con Lamberto Loria e collaborò con lui nella formazione del Museo di Etnografia Italiana. Tornato a Palermo, lavorò col Pitrè che lo designò poi suo successore nella cattedra di Demopsicologia in quella Università. Conseguita nel 1914 la libera docenza in Etnografia, fu chiamato nel 1922, «primo con preferenza », dopo avere insegnato a Roma nella Facoltà di Scienze, ad insegnare Etnografia nell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. E Napoli fu per il resto della sua vita il centro di una attività molteplice e inesauribile, che si esplicò in tutti i rami della scienza etnografica, dal linguistico al sociale, dal giuridico al religioso, dallo storico al mitico, e impose il nome di lui alla cultura italiana prima, europea e mondiale poi, per la profondità delle sue intuizioni, rigore del metodo, la perspicuità dei risultati. Affermatosi come capo della Scuola Italiana di Etnografia, esplorò tutti i continenti, studiandone e interpretandone usi e costumi, ma fu particolarmente e più volte in Africa, Vice Presidente della Sezione di Etnografia Africana e poi Presidente della Società Africana d’Italia, alla guida di spedizioni scientifiche; partecipò a innumerevoli Congressi internazionali di scienze antropologiche ed etnografiche e ne compilò, nel 1933, gli Statuti.

    Le sue pubblicazioni, tradotte in molte lingue, furono oltre centotrenta e affrontarono, si può dire, tutti i principali problemi di fondo della vita dei popoli, frutto di un geniale metodo comparativo, che conduceva la ricerca dei fatti e ne impostava l’interpretazione partendo dalla loro distribuzione geografica. Opere come «Folklore», «Reviviscenze», «Etnografia», «Studi Africani». «Aspetti di vita africana», «Studi di tradizioni popolari» costituiscono nel loro genere, ormai, dei classici; e rimarranno. Come rimarranno, nella storia dell’Etnografia moderna, le due grandi riviste «Il Folklore Italiano» e «Folklore», che Egli fondò e diresse dal 1925 al 1942 e dal 1946 in poi.

Per l’opera di Corso lo studio delle tradizioni popolari, che pur avendo avuto nel passato specialisti insigni come Tommaseo e Graf, Nigra e V. Imbriani, Pitrè e Loria, D’Ancona e Novati, era considerato complementare e sussidiario di altre scienze, come il Diritto o la Sociologia, costituisce oggi una scienza autonoma, che si avvale a sua volta dell’apporto d’altre numerosissime discipline. Corso ha chiarito a tutti il concetto di Etnografia come descrizione dei diversi modi di vivere dei popoli della terra; quello di Etnologia come anastorica dei fenomeni etnografici; l’altro di Folklore come ramo dell’Etnografia che «rileva gli elementi etnici, che persistono nella tradizione del popolo e del popolino delle tradizioni Civili)). Egli ha integrato il concetto di «Sopravvivenza», del Tylor e del Gomme con quello geniale di «reviviscenza», distinguendo nella vita dei popoli ciò che del passato sopravanza come relitto informe e ciò che continua e perciò stesso inesauribilmente rivive come anima profonda.

    Raffaele Corso meritò per questo il titolo di « Principe dei folkloristi italiani » (F. De Castro Pires De Lima), e fu dichiarato massimo assertore del metodo comparativo e «insuperabile guida » da Giuseppe Cocchiara. Le maggiori Accademie culturali e scientifiche del mondo lo accolsero e lo onorarono grandemente, avendolo sempre organizzatore in- faticabile, guida illuminata e Maestro di umanità.

    Ora se n’è andato. In silenzio. E pur essendo noi ben consapevoli e certi della validità dell’opera sua, che ne perpetuerà il nome, non riusciamo a nascondere oggi una certa tristezza, che è in fondo angoscia sottile, quando ripensiamo al senso generale di quell’opera: un senso che non ci pare, francamente, che gli uomini, fuori dallo stretto ambito della scienza, abbiano poi inteso o siano per intendere; sia gli uomini che sono alla base della società, sia quelli che ne sono al vertice.

    Perchè Corso perseguì tutta la vita e proclamò in tutti i suoi studi la «scienza dell’uomo»; e l’etnografia praticò e indicò «come quella scienza che studia l’uomo sociale, come vive e pensa nelle lotte quotidiane, e con gli elementi e con i suoi simili, per svelare quali siano i remoti germogli dei nostri costumi, delle nostre consuetudini, della vita consociata». Predicò cioè la conoscenza dell’uomo nel suo ambiente naturale e sociale: dell’uomo vero, autentico, non di quello che purtroppo continuiamo a vedere attraverso le barriere della nostra ignoranza che così facilmente si converte in odio.

    Siamo tristi quando ricordiamo il suo grido: « La scienza non ha barriere, nè mira a costituirne». Siamo tristi, quando pensiamo al suo invito costante alla «comprensione, che è figlia della conoscenza quando pensiamo al suo invito alla comprensione, che è figlia della conoscenza». E quando ricordiamo il suo invito accorato ai « civili popoli europei che andassero incontro ai popoli colonizzati con animo veramente civile, per elevarli, non per avvilirli e sfruttarli; e sfatassero in Africa «la vecchia leggenda, secondo cui le madri e le nutrici negre per impaurire i bambini, fanno loro credere che sta per venire il bianco ».

    Noti il nostro lettore che questa frase di Corso è del 1940. Noti la data; e mediti poi su tutto ciò che seguì quell’anno; di guerra di distruzione e di morte, figlie dell’incomprensione e dell’odio. Consideri poi ancora come oggi, il mondo sia più che mai travagliato dai rancori razziali e dai nuovi egoismi nazionali negatori della universalità e della dignità dell’uomo.

    Perciò siamo tristi. Ed per questo che dicevamo all’inizio che l’umanità non avrà pace fino a quando non saranno gli uomini della qualità e della statura di Raffaele Corso ad essere conosciuti e ascoltati.

Ma forse il mondo non ama veramente la pace.

                                    

* da Il Mattino, a. LXXIV- n. 245, 1965

#Scritti_su_R._Corso

 

 

5.                                                    RAFFAELE CORSO ANTROPOLOGO

 

Il 1983 è trascorso senza che in Calabria sia stato celebrato il centenario della nascita dell'antropologo e studioso di folklore di fama internazionale originario di Nicotera.

 

                                                                                                                                  di Aldo Gallo

    La cultura calabrese ufficiale - quella per intendersi delle Università e Accademie varie -  ha perso l'occasione per celebrare nel 1983 il centenario della nascita di uno dei suoi figli migliori e più illustri, Raffaele Corso, appunto,  che fu  scienziato di fama mondiale e risuscitatore degli studi sulla scienza folklorica.

   Egli nacque a Nicotera (CZ) il 1883 e morì a Napoli nel 1965.

   Dal padre Diego, geniale storico e demopsicologo, trasse la passione per quegli studi sulle tradizioni degli «umili» che lo porteranno ad esserne il rappresentante italiano più illustre del suo tempo.

   Il primo lavoro che richiamò su di lui l'attenzione degli addetti ai lavori, fu la pubblicazione della tesi di laurea «Proverbi giuridici italiani» che meritò l'onore di una traduzione in spagnolo (1909) e un'altra in tedesco (1910); studio geniale che già dimostra l'acutezza della mente e la cultura superiore del giovane scrittore di Nicotera.

   Recatosi a Palermo, dove lo aveva chiamato il Pitrè, «prepara le basi di un'opera che dovrà segnare, nella scienza delle tradizioni e dei costumi, un nuovo orientamento di  di metodo e di idee,  molte teorie ed ipotesi abbattendo», ed infatti «Gli sponsali popolari» e «I doni nuziali» rappresentano il miglior lavoro che si abbia nella pur vasta letteratura dei riti e delle nozze. Le vecchie credenze  del matrimonio per ratto e per compra della sposa vengono «analizzate,  scomposte nei loro elementi, distrutte, per far luogo ad una nuova costruzione più logica e plausibile, perchè fondata sulla varietà dei documenti etnografici, e per la quale il matrimonio nei suoi primordi, non è un ratto o un contratto, ma un rito: «et hoc magnum sacramentum» disse S. Paolo».

   Nel 1913 appare nella collezione  «Anthrophjeia» di Lipsia il volume «La vita sessuale nella tradizione del popolo italiano». Per la prima volta è affrontato da un italiano un argomento di tale genere, così tabù per la società del tempo; ed il lavoro che secondo il Krauss metteva in rivolgimento le nostre conoscenze, approfondendo le nostre vedute sulla vita sessuale, ancora non è mai stato pubblicato in Italia.

   La prima guerra mondiale lo trova professore all'Università di Roma.

   Ma nella sua frenetica attività di ricercatore, andava constatando che non vi era in Italia un libro che potesse essere da guida alla ormai numerosa schiera di seguaci  appassionati della scienza folklorica in modo tale da avere un punto ben preciso di riferimento.

   Cos pubblica nel 1923 il volume «Folklore- storia, obietto, metodo bibliografico», che è un trattato in cui egli espone i principi generali e fondamentali delle sue tesi sulla nuova scienza  folkloristica. Nel 1925 fonda e dirige la rivista «Il Folklore italiano», che raccoglie intorno alla sua testata i migliori esponenti italiani degli studi folklorici, e che rappresenta un punto di riferimento anche per quegli scienziati stranieri che vedono in Raffaele Corso il più grande etnografo Europeo. Intanto le sue partecipazioni e  interventi ai vari congressi mondiali non si contano più; ma egli da Napoli, dove insegna all'Orientale, rimane, nonostante i riconoscimenti che le Accademie mondiali più importanti gli tributano, un uomo modesto che ama ritornare ogni estate nella sua Nicotera, rimanendo legato ai suoi amici e discepoli della prima ora, intrattenendo con essi una corrispondenza ed un colloquio affettuoso e proficuo. Il carteggio con uno dei suoi discepoli prediletti,  Gaetano gallo fu Carlo,  inizia nel 1922 e termina pochi mesi prima della sua scomparsa nel 1965.

   Gabriele D'Annunzio sulla prima pagina di un esemplare de «L'Italia degli Italiani» così gli dedicava: «A Raffele Corso questo libro ascetico perchè egli possa discendere come nelle profondità dell'anima popolare per segni espressi».

   L'aver ricordato Raffaele Corso, seppur a brevi tratti, oltre al dovuto omaggio al calabrese illustre che ha onorato nel mondo la terra natale,  vuole essere anche un segnale affinchè uomini che hanno tenuto in alto il nome della Calabria nei campi più disparati non siano mantenuti nell'obblìo ma vengano «riscoperti» e additati ad esempio e con orgoglio alle nuove generazioni.

 

da Calabria a. XV - NS.n. 26 - giugno 1987

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6                                                                            Raffaele Corso e Gramsci

 

(Estratto da: Ricciotti MILETO - ETNOGRAFIA E FOLKLORE, nelle opere di Raffaele Corso, Rubbettino,1985, pag. 52)

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  Confortati dalle onorate parole di Raffaele Lombardi Satriani, potremo ora sviluppare tali illuminanti concetti ed accennare all'opera non  comune compiuta da Raffaele Corso, per elevare il folklore a dilettantismo a scienza, oppure, come diceva Gramsci, a «cosa seria».

   Gramsci fu in Italia uno dei pochi a interessarsi di folklore, e ne scrisse nei suoi «Quaderni del carcere». Diceva che «il folklore non dev'esere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco,  ma una cosa che è molto seria e da prendere sul serio».

   In quei tempi, soltanto il Corso si era dedicato "seriamente al folklore, e fu con lui che Gramsci ebbe qualche spunto polemico.

   L'impostazione che Corso aveva dato al folklore era naturalmente improntata al Pitrè, considerato il padre della demologia italiana. Entrambi si richiamavano ai grandi cultori delle tradizioni popolari, dal Tommaseo all'Imbriani, al Carducci, al Cantù, al Croce, richiamandosi altresì alle impostazioni e indirizzi del mondo latino e anglosassone. tali indirizzi il Corso aveva sintetizzato nel frontespizio della rivista «Il Folkoore Italiano».

   Per il Corso, il «folklore non poteva essere soltanto quale l'aveva considerato il Gramsci cioè «il riflesso delle condizioni di vita di classi subalterne», su cui avevano influito le «classi dotte», ma nel folklore  si rispecchia anche, per tutti i veri cultori di tradizioni popolari, pur nella vita sofferta dai ceti indotti,  una propria «cultura» ed espressione di vita, che, da generazione a generazione, si era radicata profondamente nell'anima in un arcano di magiche credenze, in modo da renderla immune da influenze eteronome.

    I ceti rurali, anche quando si trovavano sottoposti a classi dominanti, non erano da considerarsi del tutto «emarginati», ed erano anzi detentori di una loro autentica vita spirituale, autonoma, e di un loro mondo (che il Pitrè diceva fatto di «realtà e immaginazione»), di un patrimonio meraviglioso, on cui si era svolta la trama genuina della tessitura sociale.

    Così veniva considerato il folklore, nei suoi aspetti scientifici, nè il Corso, da scienziato, poteva farne oggetto  di rivendicazione sociale o ridurla a sola «contestazione». Facendo così si toglieva al folklore tutta la sua bellezza morale, la sua grandiosità, e quegli "aspetti nobilitanti" che il Corso vi scorgeva, sì da rivendicarne sempre la «nobiltà d'origine». Era una «nobiltà» ch'egli riteneva dovuta alla genialità d'arte, alla sapienza atavica, alla legge morale, a tutte quelle massime e principi che il croce  chiamò: «monumenti» .

    Ben diverse erano le vedute di Gramsci, che definiva i ceti rurali quali «classi subalterne», sottoposte nella loro cultura tradizionale alle interferenze delle classi dotte. Contestava a Corso la definizione di "preistoria contemporanea" attribuita al folklore, affermando che si tratta di un riflesso delle condizioni di vita di tali classi subalterne, da considerare solo in «contrapposizione alle classi egemoniche. Pur riconoscendo che il metodo comparativo dei raffronti, adottato dal Corso, è il solo metodo razionale appropriato, il Gramsci dice ch'è difficile trarre delle conclusioni tassative.

    Il divario tra Gramsci e Corso era plausibile, perchè il primo vedeva l'aspetto sociale della questione e quindi la possibilità di farne una rivendicazione sociale, mentre compito preminente dello scienziato era di trar fuori il folklore dal dilettantismo, per fare così, come voleva Gramsci,  una «cosa seria», ma per farne soprattutto una scienza, da portare alle soglie universitarie, come in tante altre nazioni. In quanto al metodo comparativo, usato da Corso (ritenuto da Gramsci comne unico metodo razizonale) è accaduto più volte che riti e costumi, antichi da tanti secoli, risultavano identici nel loro rituale presso comunità molto lontane l'una dall'altra,  con diversa evoluzione storica, e questo poteva dimostrare che ben poche erano state le influenze esterne, sì che la filosofia della vita (più delle condizioni di vita) rimane integra, malgrado l'influenza dotta.  Rimane integra soprattutto negli atteggiamenti mentali animistici, magico-mitici.

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