leggi e sentenze
25 ottobre 2004

Come molti sapranno al Senato il 17 ottobre è stata votata la fiducia sull'articolo 1 del maxi-emendamento con cui il Governo ha ripresentato il testo del progetto di legge "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione". Certo che non è un gran biglietto da visita quello di una norma che nelle premesse si ispira ai principi più elevati in materia di tutela dell'ambiente, mentre qualche articolo più in là introduce paradossalmente quanto di più dannoso e pregiudizievole ci possa essere per l'ambiente stesso: un condono edilizio nelle zone sottoposte a vincoli paesaggistici. Verrebbe da pensare ad una seria patologia schizzoide del legislatore.

Sperando che nel passaggio dal Senato alla Camera la coscienza civile del nostro Paese possa far rinsavire un numero sufficiente di parlamentari perché l'articolo del condono sia al più presto ritirato, occorre farsi una ragione sul fatto che il progetto di legge delega troverà prossima pubblicazione in G.U. e quindi attuazione nel nostro ordinamento. Ma non è con l'eliminazione dell'articolato sul condono che il resto sia tutto rose e fiori, purtroppo. Rimangono numerose contraddizioni.

La prima contraddizione si ritrova già nel titolo del progetto di legge. Se le intenzioni sono quelle di porre mano alla legislazione settoriale per un riordino attraverso un testo unico come si concilia questa volontà di razionalizzazione con l'introduzione di alcune misure di diretta applicazione? Se si ritiene che occorra un maggiore rigore nel comporre un codice ambientale le fughe in avanti sono la prima dimostrazione che il testo unico avrà breve durata. Non si è ancora arrivati al sommario che nel frattempo sono state cambiate le norme. Quali? Naturalmente quelle sui rifiuti.

Come dovrebbe essere noto una legge delega ha la funzione di rendere più celere l'emanazione delle norme. L'istituto della legge delega è (probabilmente) la soluzione escogitata per far fronte alle numerose procedure d'infrazione che la UE apre nei confronti del nostro Paese da tempo immemore per il mancato recepimento delle direttive europee entro le scadenze fissate. Tutte le Leggi Comunitarie sono leggi delega. Una legge delega è un atto di fiducia del Parlamento che assegna all'esecutivo il compito di trasporre le direttive nel nostro ordinamento senza che il testo debba passare dal Senato alla Camera per le infinite volte necessarie a mettere d'accordo i due rami del Parlamento (la cosiddetta "navetta"). Se questa fiducia sia stata ben riposta si giudica sulla base della rispondenza del testo di recepimento ai criteri fissati nella stessa legge delega. Il Parlamento si fida, sì, ma fino ad un certo punto. Per questo stabilisce dei criteri che costituiscono i principi ispiratori della delega. Anche se il miglioramento dell'attività legislativa è innegabile ci sia effettivamente stato, negli anni non sono tuttavia mancate le contestazioni a questo o a quel decreto per evidente "sconfinamento" rispetto ai vincoli posti.

Chiedere la "fiducia" (cioè costringere la maggioranza alla conta), su un "atto di fiducia" è quindi una contraddizione nei termini.

Riguardo all'idea primeva che ispira questa legge delega si può discutere. La scelta è quella di affidare ad una commissione di saggi provenienti dall'università, dagli istituti di ricerca e da settori specializzati nelle varie branchie delle materie trattate il compito del riordino, coordinamento e integrazione dei codici ambientali.

Chi scrive esprime da tempo una serie di critiche ai modi e ai tempi con i quali si predispongono le norme tecniche nel nostro Paese. Il Parlamento lavorerebbe meglio se si limitasse ad emanare leggi quadro, mentre le regole di attuazione dovrebbero essere il frutto di un processo di formazione autonomo, svincolato dalle aule romane, così come avviene per la standardizzazione dei prodotti industriali (per es. per quanto riguarda aspetti importanti come la sicurezza). Invece non si muove mosca che non debba essere ammessa al vaglio di tutte le commissioni e quindi finire sui banchi dell'emisfero spesso nell'incompetenza generale di chi non dispone delle conoscenze necessarie a comprendere la complessità dell'argomento trattato, dal sistema di codifica dei rifiuti allo stato ecologico dei corpi idrici. Questo con buona pace dell'indispensabile revisione alla quale ogni norma tecnica dovrebbe essere sottoposta perché i sistemi si evolvono, anche rapidamente, e non si può pensare di aspettare anni prima di rimetterci mano. Tra i benefici di un processo normatore svincolato dalle burocrazie parlamentari non è da sottovalutare l'effetto positivo che potrebbe prodursi riguardo alla chiarezza ed adeguatezza del linguaggio utilizzato, stante le ambiguità delle attuali formule giuridiche che verrebbero sostituite con un gergo più consono alla scienza ed alla tecnica che si richiede di applicare in tutti i campi.

Sotto questo aspetto qualche filo di ottimismo non è mal riposto, sperando che anche questo non venga alla fine deluso.

Altre contraddizioni si ritrovano al comma 8 dove si descrivono i principi ispiratori, dalla lettera a) alla lettera n). Per es:

b) conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell’ambiente;

c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica;

Qualcuno dovrebbe spiegare come sia possibile pretendere una maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali se non li si sostiene in termini di risorse, strumentali e di personale. L'invarianza degli oneri lascia le cose come stanno, anzi proprio il mancato stanziamento di sufficienti fondi a beneficio delle strutture di controllo del nostro Paese non è detto che sia il maggior imputato di questa "deficienza" in efficiacia e tempestività. A maggior ragione quando si parla di certezza della pena, conoscendo lo stato in cui versano gli uffici giudiziari e i conseguenti effetti sui tempi dei processi, viene da dire che dovremo ancora attendere a lungo.

i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge

La tutela dell'ambiente non dipende dalla disciplina del sistema sanzionatorio nella misura in cui viene oggi esercitata l'azione penale o amministrativa, cioè pressochè priva di contenuti di tipo ripristinatorio, come forma di punizione fine a sé stessa. Tanto per fare un esempio i processi si chiudono (anche per prescrizione) mentre il sito contaminato è ancora lì. Neanche le finalità di deterrenza sono assicurate, basta pensare ai tempi di istruzione dei fascicoli. Occorre riformare il sistema sanzionatorio in materia ambientale perché venga messo in primo piano l'"obbligo del fare" .

m) riaffermazione del ruolo delle regioni, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, nell’attuazione dei princìpi e criteri direttivi ispirati anche alla interconnessione delle normative di settore in un quadro, anche procedurale, unitario, alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale rispetto al quadro sanzionatorio amministrativo e penale, nonché alla promozione delle componenti ambientali nella formazione e nella ricerca

A proposito della riaffermazione del ruolo delle regioni è sufficiente conoscere a quale livello di scontro istituzionale si è arrivati in questi anni tra il centro e la periferia proprio sulle tematiche ambientali.

Riguardo alla valorizzazione del controllo preventivo del sistema agenziale (Arpa) rispetto al quadro sanzionatorio è una correlazione che non si riesce a comprendere. La prevenzione che si attua attraverso controlli periodici non può costituire un'alternativa alle sanzioni, è inevitabile che porti al riscontro di violazioni. Se si vuole sostenere un approccio basato più sul controllo-conoscenza che sul controllo-conformità, approccio che si condivide in pieno, allora occorre mettere mano di nuovo al sistema sanzionatorio senza ambiguità e dire che la sanzione può essere anche sospesa se non annullata qualora l'inadempiente regolarizzi la propria posizione in tempi considerati congrui. Altrimenti rimane un desiderio incompiuto. E inoltre espone coloro che ne sperimentano la novità agli strali della polizia giudiziaria, alla quale nessuno chiede di cambiare registro, per quale motivo non si capisce.

C'è poi la prevenzione che interviene prima dell''esercizio di un'attività, quella che si basa sull'esame documentale approfondito delle possibili interferenze ambientali prodotte dai processi produttivi. Qui il sistema agenziale è in grado di dare un importante contributo, ma perché si attui è necessario che venga coinvolto in misura maggiore di quanto oggi avvenga. Si fa l'esempio dei progetti di nuove realizzazioni di carattere produttivo (o relative modifiche, ampliamenti, riconversioni ecc) per il rilascio di permessi di costruire dove, in tanti Comuni, per un incomprensibile retaggio storico, continua ancora ad essere richiesto il solo parere USL, quasi che la componente ambiente di questi progetti non esistesse. Per poi ricordarsi dell'Arpa solo quando si creano i primi problemi di compatibilità con il contesto urbano e necessita mettere una pezza all'incompetenza dimostrata.

Si passa poi al comma 9 e ai criteri che dovranno ispirare i riordini delle legislazioni settoriali.

Accanto ad obiettivi condivisibili vi è tutta una serie di intendimenti che sono chiaramente ispirati ad istanze di tipo lobbistico, con le quali francamente non si riesce a capire come possano conciliarsi la volontà asserita di fare un poco di ordine. L'effetto finale è di improvvisazione, l'esatto contrario di quello che dovrebbe essere la strategia del ricomponimento delle leggi, la visione generale.

Esempi illuminanti si trovano nelle lettere da a) a g):

rifiuti : garantire adeguati incentivi e forme di sostegno ai soggetti riciclatori dei rifiuti e per l’utilizzo di prodotti costituiti da materiali riciclati, con particolare riferimento al potenziamento degli interventi di riutilizzo e riciclo del legno e dei prodotti da esso derivati;

acque: prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, le modalità per la definizione dei meccanismi premiali in favore dei comuni compresi nelle aree ad elevata presenza di impianti di energia idroelettrica;

VIA,VAS: semplificare le procedure di VIA che dovranno tenere conto del rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale; anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell’intervento da valutare;

emissioni: prevedere una disciplina in materia di controllo delle emissioni derivanti dalle attività agricole e zootecniche.

Ma, come si diceva all'inizio, sono le "misure di diretta applicazione" richiamate dal titolo del progetto di legge quelle che più mostrano il vero limite dell'iniziativa. Con la giustificazione di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti il comma 25 della legge anticipa le "ristrutturazioni" del Ronchi che devono subito rendersi operative.

Come quella che, per l'ennesima volta, mette fuori campo di applicazione un materiale di scarto che ha avuto gli onori della cronaca a causa di istanze di sequestro basate sulla solita bolla speculativa relativa alla nozione di rifiuto. Si sta parlando dei rottami ferrosi.

E qui si dovrebbe aprire una breve digressione sull'efficacia di queste iniziative dell'autorità giudiziaria, nella quali spesso si antepone il contenuto formale della norma, portandolo all'estremo, a quello sostanziale che vorrebbe invece mettersi in primo piano la valutazione delle effettive ricadute ambientali ed il giudizio sulla loro compatibilità. Le conseguenze sono chiaramente controproducenti, non solo perché purtroppo si finisce per aver torto anche davanti alle sedi della giustizia europea (ved.il caso pet-coke), ma anche perché si crea l'alibi per rimedi assai discutibili come quelli di dover ricorrere alle esclusioni ai sensi dell'art.8 del D.Lgs 22/97.

I rottami ferrosi non sono quindi più rifiuti ma materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche, in quanto rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF ecc. Tuttavia far quadrare il cerchio in questi casi è difficoltoso, tanto è vero che per assicurare il nuovo regime di materie prime seconde derivanti da operazioni di recupero anche ai rottami provenienti dall'estero i fornitori o i produttori di questi paesi "si iscrivono all'albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti"!!

Altra esclusione di rilievo, di cui abbiamo già parlato l'anno scorso, è quella riguardante il combustibile derivante da rifiuti.

"f-quinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999, come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 25 marzo 2002, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002";

Anche qui una palese contraddizione. Da una parte si promuove "il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi, nonché il recupero di energia, garantendo il pieno recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, relativa all’incenerimento dei rifiuti", dall'altra si sottrae il rifiuto da co-incenerire dal campo di applicazione dell'appena richiamata direttiva europea.

Altre perle sono contenute al comma 31: diventa indispensabile ammettere alle procedure semplificate di recupero dei rifiuti la lolla di riso "affinchè non sia considerata come rifiuto derivante dalla produzione dell'industria agroalimentare" (?!) o ancora la possibilità di riciclo della polvere di allumina tra l'1-5 % non solo nei cementifici, ma anche nella produzione di laterizi e refrattari, ceramiche, argille espanse.

Bene, pare che basti. Ora si tratta di attendere "fiduciosamente".

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SUI TESTI UNICI IN MATERIA AMBIENTALE SI DEVE RIPORRE (LA) FIDUCIA