interventi
|
29
ottobre 2002
|
A proposito della nuova definizione di rifiuto che emerge dalla interpretazione autentica uscita dalle aule parlamentari nel periodo pre-ferie vi è stata, nel frattempo, una bella levata di scudi. Le controindicazioni e le contraddizioni di questo intervento d'imperio sono tante e così ben documentate da autorevoli commentatori che non sarebbe utile riproporle, nè servirebbe aggiungere altre analisi logiche e deduttive in grado di dimostrare l'insufficienza tecnica del testo e le sue incertezze, per non dire i paradossi.
Possiamo dare per acquisito anche il fatto che prima o poi verrà aperta l'ennesima procedura d'infrazione da parte della Commissione UE e che, con i tempi previsti, il nostro Paese verrà condannato. Conseguentemente verrà confermata negli ambienti europei, se ancora ce ne fosse bisogno, la nostra scarsa attitudine al rispetto delle le regole e quindi, in generale, la nostra limitata affidabilità nazionale (per non dire dell'immagine). Così come, purtroppo, non si hanno dubbi sui riflessi più immediati sotto il profilo dell'applicazione della giustizia nei reati penali o amministrativi, con il facile rinvio alla declaratoria di "il fatto non è più previsto come reato" e formule assimilate, anche per fatti gravi, compresi quelli che devono ancora essere commessi.
Allora, preso atto che la dottrina si è già espressa in modo pressochè unanime, e che tuttavia, salvo eventuali ripensamenti, il legislatore non ha nessuna intenzione di cambiare idea sulla nuova nozione di rifiuto, chi scrive avrebbe la velleità di porre in discussione l'argomento dando per acquisito che con questa intepretazione autentica dovremo fare i conti per un certo periodo di tempo, volenti o nolenti. L'angolatura dalla quale vorremmo iniziare il discorso non sarà tuttavia, come detto, quella giuridica, ma quella tecnica, spesso lasciata ingiustamente in ombra dalla prima con la quale dovrebbe invero mettersi in un piano di pari dignità.
Per prima cosa dovremmo precisare come, nella materia, si siano formati due diversi orientamenti che non rappresentano unicamente la trasposizione astratta del pensiero dottrinale, ma, che, in misura maggiore o minore, partono dall'osservazione di problemi reali. Da una parte l'afflizione amministrativa cui sono costrette le imprese a causa della regolamentazione di registri e formulari ( e delle relative sanzioni) dall'altra i gravi fenomeni di delinquenza associativa legati allo smaltimento abusivo di rifiuti, pericolosi e non.
Se si riflette solo su questo aspetto ben si comprende come riesca difficile contemperare a due interessi così contrapposti. Così come si vede bene il conflitto del legislatore nel misurare sanzioni che risultino adeguate alla misura del reato quando si tratti di violazioni formali le quali, tuttavia, in ipotesi, possono celare situazioni ben più gravi.
In sostanza il panrifiutismo, come viene comunemente chiamato questo filone di pensiero, propende per una applicazione estensiva del campo di applicazione dei rifiuti nella logica che qualsiasi spiraglio della legge possa essere utilizzato per poter agire impunemente. La caratteristica tutta italiana di identificare il business in attività criminose che mettono a repentaglio i beni nazionali, in quanto peggio protetti, giustifica ampiamente il ricorso a questo rigore. Nondimeno si è in attesa che finalmente sia approvata una modifica del Codice Penale con l'introduzione dei delitti contro l'ambiente, considerando che anche l'attuale normativa ha le armi spuntate nei confronti di queste manifestazioni corrotte della società.
Tuttavia non è possibile ignorare che, con molta frequenza, questo rigore e le sue conseguenze sotto il profilo della sanzione, finiscano per perseguire pesantemente fatti e comportamenti privi di rilievo, sia per le singole specificità che per i riflessi sull'ambiente. L'attività di policing, che pur è indirizzata a individuare modalità concrete di danneggiamento del bene comune, nelle quali l'elemento dell'intenzionalità è legato al fine di lucro, viene sempre più spesso diretta a reprimere le disattenzioni o le disaffezioni nei confronti di vincoli cartacei le quali possono tuttalpiù rappresentare l'immagine di un paese insofferente alle regole, ma non per questo criminale.
Il vero nodo di tutta la questione è, come sostiene il Sen. Fausto Giovannelli nell'intervista che pubblichiamo, distinguere i fatti illeciti da quelli criminosi. Possiamo trovare soluzione all'annosa domanda, rifiuto si, rifiuto no, dove esiste lo stesso problema del distinguere?
Credo che su questo punto il dibattito si debba concentrare su uno dei due fattori, altrimenti è il caos. Per le esperienze che si possono portare orientiamo la discussione sulla materia del contendere nell'ambito dell'attività d'impresa cercando di dimostrare che è possibile garantire il rispetto dell'ambiente anche senza applicare la nozione di rifiuto.
Se ripercorriamo quest'ultimo periodo legislativo, con riguardo alla materia, ci si rende facilmente conto di come tutte le modifiche al D.Lvo 22/97 apportate dal Governo abbiano avuto una connotazione industriale.
La nuova definzione di terre e rocce di scavo che discende dalle vicende della TAV in Toscana e dalle operazioni di smaltimento di smarino contaminato condotte da un consorzio di imprese denominato Cavet al quale le Ferrovie dello Stato hanno affidato l'appalto per la tratta appenninica.
L'esclusione del pet-coke, prodotto di risulta del processo di raffinazione del petrolio, utilizzato come combustibile dall'AGIP di Gela nella propria centrale senza tuttavia che questa fosse autorizzata come inceneritore di rifiuti.
Il sequestro di una serie partite di rottami di ferro provenienti dall'Europa dell'est nei porti di Monfalcone, Porto Nogaro e Marghera e al valico ferroviario di Gorizia e destinata all'impianto udinese delle Ferriere Nord del gruppo Pittini in quanto non conformi alle norme tecniche sulla spedizione dei rifiuti.
Non sussistono dubbi quindi su quale orientamento predilige il nostro Governo, che peraltro non nasconde certo il fatto che le proprie decisioni sono tratte per il fine dichiarato di risolvere i problemi alle imprese incorse in qualche errore di valutazione, diciamo così. Non a caso l'intepretazione autentica della nozione di rifiuto ha seguito a ruota la protesta di Federacciai intervenuta a sostegno delle Ferriere Nord, ma più in generale delle proprie considerazioni circa la non applicazione del decreto Ronchi sui rottami ferrosi che sono utilizzabili tal quali, senza ulteriore trattamento (ergo non sono rifiuti, ma materie prime secondarie).
Concetto che peraltro viene ribadito in un altro disegno di legge in discussione, per ora approvato dalla Camera, riguardante la redazione di nuovi testi unici in campo ambientale:
all'articolo
6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
q-bis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche:
rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti
a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e
internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali
o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta
differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate
nelle specifiche sopra menzionate;
Dagli esempi portati possiamo trarre alcune considerazioni.
La prima è che è del tutto inutile perseguire violazioni in materia di rifiuti che fondino l'ipotesi di reato solo ed unicamente sulla base di una opinione, per quanto surrogata da fatti o dimostrazioni logiche, tendente a soddisfare l'orientamento giurisprudenziale. Era discutibile prima, è ormai tempo sprecato adesso. Se si ritiene che in un determinato stabilimento, impianto, infrastruttura si stiano svolgendo operazioni di recupero o smaltimento rifiuti senza le prescritte autorizzazioni/comunicazioni l'accertamento non può esaurirsi nella mera constatazione delle carenze documentali, ma deve andare oltre con l'apprestamento di prove e misure dalle quali possa evincersi se e in quali condizioni la manipolazione di questi sedicenti rifiuti possa costituire un pericolo (nuovo) per l'ambiente o rappresenti aggravamento in termini di emissioni (in senso lato) di sostanze inquinanti verso l'esterno.
Negli esempi soprariportati si tratterebbe di dimostrare l'effettiva contaminazione delle terre o le condizioni di possibile inquinamento delle falde determinato dall'averle scaricate in cave dismesse (cosa che effettivamente è stata dimostrata), nel caso dell'AGIP o delle Ferriere se quali e quantitativamente sono variate le emissioni in atmosfera prodotte dall'utilizzo di questi rifiuti rispetto alla routine tradizionale (cosa che non è stata dimostrata).
La seconda considerazione, che discende dalla prima, ci porta a dire che in ogni disciplina, compresa quella riguardante i rifiuti, bisogna saper cogliere lo spirito della legge. Nel nostro caso l'elemento che dobbiamo sempre tenere a mente è che
lo
smaltimento o il recupero dei rifiuti deve avvenire senza usare procedimenti
o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare:
a) senza determinare rischi per l'acqua, per l'aria, per il suolo e per la
fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati
in base alla normativa vigente.
A questo punto proviamo, con un piccolo artificio, a sostituire le parole" lo smaltimento o il recupero dei rifiuti". Mettiamo al loro posto le parole "l'utilizzo delle materie prime, in specie se pericolose" e vediamo cosa succede. Il significato si mantiene, la logica regge. Non solo, ma abbiamo anche gli strumenti per applicare il precetto, si tratta delle disposizioni vigenti in materia di scarichi, emissioni, rumore, suolo, rischi di incidente ecc.
In tutti gli stabilimenti, impianti, infrastrutture che utilizzano materie prime l'introduzione di rifiuti in ciclo genera una variazione qualiquantitativa, una modifica sostanziale, un potenziamento, uno scambio di materia o di energia con l'ambiente che le leggi chiedono di esaminare attraverso la presentazione di una domanda e la successiva istruttoria. Se i requisiti per l'autorizzazione ci sono tutti niente può impedire che l'impianto utilizzi i rifiuti in luogo delle materie prime corrispondenti e tuttavia, poiché siamo in un campo di applicazione diverso, non saranno richiesti gli obblighi derivanti dalla disciplina dei rifiuti che tanto affligono le imprese.
Quello che abbiamo voluto dimostrare è che è possibile, con un buon margine di tolleranza, garantire che la tutela dell'ambiente si attui attraverso gli strumenti ordinari, senza ricorrere necessariamente alla nozione di rifiuto. Certo perché questo avvenga devono essere soddisfatte almeno tre condizioni:
1.
la prima consiste in una applicazione cogente delle altre discipline, nel
senso che il riesame dell'autorizzazione scatti effettivamente ad ogni variazione
qualitativa e/o quantitativa delle materie prime. Perché questo avvenga
alcuni campi di applicazione delle normative ambientali devono essere meglio
circoscritte. Inoltre tra le prescrizioni deve rientrare l'indicazione riguardante
la capacità produttiva e le materie in deposito;
2. la seconda non è indispensabile, ma aupicabile, e richiede che si
stabiliscano i requisiti perché materie prime e prodotti finiti diano
contributi minimi in termini di rilascio di sostanze durante l'intero ciclo
di vita, compreso l'utilizzo finale e il destino post-mortem;
3. la terza prevede richiede che si transiti dall'attuale sistema settoriale,
basato sui compartimenti stagni, alla autorizzazione integrata introdotta
dalla direttiva 96/61/CE, c.d. IPPC e recepita nel nostro ordinamento con
D.Lvo 372/99. Per ora l'autorizzazione integrata riguarda solo un numero limitato
di medie, grandi imprese. L'estensione a tutti i settori produttivi del principio
di covalutazione degli impatti e di attuazione delle migliori tecniche non
può che essere auspicato in una logica di sistema. In particolare ciò
che interessa ai fini di questa discussione è l'attenzione dedicata
alla problematica del cross media, cioè al transito degli inquinanti
da una matrice all'altra che, proprio con questa visione ampliata, si è
in grado di evitare.
Sempre rimanendo agli esempi, AGIP, prima di utilizzare pet-coke come combustibile avrebbe dovuto presentare nuova domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera sulla base della quale la Regione sarebbe stata nelle condizioni di verificare l'entità delle variazioni quali-quantitative per quanto riguarda le sostanze pericolose considerate e, conseguentemente, stabilire nuovi limiti e prescrizioni. Oltre naturalmente a un piano di autocontrollo.
Diverso l'esempio delle Ferriere. Trattandosi di rottami ferrosi, destinati alla seconda fusione, che questi siano qualificati materia prima o rifiuto non inficia alcuna valutazione sotto il profilo oggettivo dell'impatto ambientale, non vi è alcuna variazione sul bilancio di massa degli inquinanti emessi nel processo.
Con queste considerazioni abbiamo provato a tratteggiare gli elementi sulla base dei quali potrebbero essere fronteggiate le conseguenze dell'interpretazione autentica applicata alla fase di recupero, con o senza trattamento, nello stesso o altrui luogo di produzione. Un sistema programmato di controlli, che parta dalla conoscenza dei processi e delle attività, è sia nelle condizioni di utilizzare gli strumenti ordinari per prevenire possibili pregiudizi all'ambiente, che in grado di giudicare se, attraverso misure e campionamenti, si presentino effettive ripercussioni sulla qualità degli standard dall'introduzione in ciclo di sedicenti materie prime.
A queste condizioni nessuno può ragionevolmente sostenere che l'aver eliminato il registro di carico-scarico costituisca un attentato alla tutela dell'ambiente. Con questi presupposti non è più il caso di porsi interrogativi che ritrovate nel titolo.
Quello che abbiamo provato a dimostrare è che, escludendo il dolo, l'intenzionalità, il fine di lucro, non è dal mondo delle imprese che si devono temere i maggiori contraccolpi derivanti dalla interpretazione autentica della nozione di rifiuto. Questo non toglie che si debba per questo abbassare la guardia nel campo della prevenzione, i controlli devono essere mantenuti, magari con un migliore supporto da parte della legislazione ordinaria.
Tuttavia per l'altra componente, quella criminale, l'interpretazione autentica rimane un'autentica manna.