leggi
e sentenze
|
28
giugno 2004
|
A pochi mesi dall'emanazione del DM 6 novembre 2003 n°367 titolato "Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi del'articolo 3, comma 4, del Decreto legsilativo 11 maggio 1999 n°152" il Ministero dell'Ambiente se ne uscito con una direttiva il cui contenuto potrebbe essere sinteticamente reso con queste parole: "Abbiamo scherzato".
Se non fosse che si sta parlando di norme che impongono il rispetto di una sentenza della Corte di Giustizia Europea a seguito di una mancata adozione di piani di tutela delle acque dallo scarico di sostanze pericolose potrebbe scappare anche qualche sorriso. Purtroppo la cosa è seria. Il fatto è che queste norme dovrebbero tutelare l'ambiente, con buona pace della certezza del diritto e dell'imparzialità della pubblica amministrazione.
Cosa è successo è presto detto. Il Ministero dell'Ambiente ha emanato la Direttiva 27 maggio 2004 "Disposizioni interpretative delle norme relative agli standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose" in quanto evidentemente il proprio pensiero necessita di una dotta rilettura causa qualche malinteso. Il malinteso si troverebbe in particolare nella parte del DM n°36, l'allegato B, che costituisce l'aspetto di maggiore rigore introdotto dal legislatore al fine di ridurre se non eliminare lo scarico di sostanze pericolose nell'ambiente acquatico, che qui si riporta integralmente.
ALLEGATO B (art. 1, comma 10) ACQUE REFLUE INDUSTRIALI |
1.Per il raggiungimento e/o mantenimento degli standard di qualita' fissati all'allegato A del presente regolamento l'autorita' competente obbliga le imprese, i cui scarichi contengono le sostanze individuate all'allegato A, all'adozione delle migliori tecniche disponibili ai fini della riduzione o eliminazione delle sostanze pericolose negli scarichi e definiscono comunque, per le sostanze di cui allo stesso allegato A valori limite di emissione piu' restrittivi di quelli previsti alla tabella 3 dell'allegato 5 del decreto legislativo n. 152 del 1999. 2.I titolari degli scarichi contenenti le sostanze di cui all'allegato A sono obbligati a porre in opera, con oneri a proprio carico, misuratori di portata e campionatori in automatico al fine di consentire l'attuazione di controlli sistematici su ogni scarico industriale. In tal caso i titolari degli scarichi di acque reflue industriali devono assicurare autocontrolli, effettuando analisi sugli scarichi degli impianti di trattamento e sulle acque reflue in entrata ogni 15 giorni. I risultati di tali analisi devono essere messe a disposizione della autorita' preposta al controllo. 3.Le determinazioni analitiche ai fini del controllo della conformita' degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di 3 ore.L'autorita' preposta al controllo puo', con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico in relazione alle caratteristiche di continuita' dello stesso, il tipo di accertamento, di routine, di emergenza, ecc. 4. I valori limite di emissione allo scarico devono essere rispettati a pie' d'impianto. Gli scarichi di processo devono essere separati dagli scarichi di acque di raffreddamento e deve essere previsto l'avvio separato allo scarico delle acque di prima pioggia. 5.Nei casi di cui al comma 2 dell'art. 36 del decreto legislativo n. 152 del 1999, qualora sussistano i presupposti di cui allo stesso comma 2, l'autorizzazione allo smaltimento di rifiuti liquidi, contenenti le sostanze oggetto del presente regolamento, nell'impianto di trattamento di acque reflue urbane deve comunque prevedere almeno le prescrizioni di seguito riportate: a) rispetto delle concentrazioni fissate dall'autorita' competente per ciascuna delle sostanze dell'allegato A in sede di rilascio delle autorizzazioni in ragione dell'effettiva capacita' dell'impianto di pretrattamento; b) presenza nell'impianto di idonei sistemi di pretrattamento, dedicati ed adeguati alle tipologie di rifiuti liquidi da smaltire, mediante l'uso delle migliori tecniche disponibili tali da garantire, all'uscita dell'impianto di pretrattamento e all'ingresso dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane, concentrazione di sostanze pericolose non superiori di un fattore 20 rispetto agli standard di qualita' di cui alla tabella 1 dell'allegato A al presente regolamento; c) attuazione di un programma di caratterizzazione quali-quantitativa dei rifiuti liquidi, con installazione all'ingresso dell'impianto di trattamento e all'uscita dal medesimo in corrispondenza del punto di confluenza con il depuratore di misuratori di portata e campionatori in automatico al fine di consentire l'attuazione di controlli sistematici sui reflui in entrata e in uscita dall'impianto di trattamento; d) adozione di sistemi di stoccaggio dei rifiuti liquidi da trattare tale da evitare la miscelazione con i reflui che hanno gia' subito il trattamento finale; e) standard gestionali adeguati del processo depurativo e specifici piani di controllo dell'efficienza depurativa; f) raggiungimento e mantenimento degli standard e degli obiettivi di qualita' dei corpi idrici recettori interessati dagli scarichi dei predetti impianti; g) capacita' residua di trattamento valutata in rapporto al bacino di utenza dell'impianto ed alle esigenze di collettamento delle acque reflue urbane non ancora soddisfatte; h) i fanghi biologici derivanti dagli impianti di depurazione che trattano rifiuti liquidi non possono essere riutilizzati in agricoltura. 6. L'autorizzazione di cui al punto 5 non puo' essere rilasciata qualora lo scarico recapiti nei corpi idrici con portata naturale nulla per oltre centoventi giorni all'anno o con scarsa capacita' depurativa. |
Questo allegato è volto a modificare il punto 1.2 dell'Allegato 5 del decreto legislativo n.152. La sua applicazione è quindi la medesima, sotto il profilo dei termini di legge, già stabilita per il decreto legislativo.
Ora la Direttiva, che è un mero atto amministrativo, un atto di impulso e di iniziativa teso ad invitare enti ed organi dipendenti a realizzare un programma o ad espletare un compito (una sorta di cortese invito ad adottare procedure conformi, senza che ne costituisca obbligo) sostiene che il DM ° 36 va interpretato nel senso che sono le Regioni ad approvare i piani di tutela delle acque e conseguentemente la disciplina degli scarichi, ex art.28 decreto legislativo n.152, sarà da queste dettata. In questo contesto va considerata anche la gestione dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione.
Ciò non è del tutto vero. Vediamo l'art.28 del d.Lvo 152, comma 2.
2. Ai fini di cui al comma 1, le Regioni, nell'esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all'allegato 5, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine a ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le Regioni non possono stabilire valori limiti meno restrittivi di quelli fissati nell'allegato 5:
|
Ammesso che la ritirata del Ministero possa essere giustificata dalle critiche delle Regioni per aver invaso un territorio riservato alle proprie competenze questo potrebbe giustificare solo per l'aspetto relativo alla fissazione di limiti diversi da quelli indicati nell'allegato 5 al D.Lvo 152. Tuttavia anche le Regioni potevano agire nell'ambito di una autonomia limitata, in particolare non avevano libertà di restringere ulteriormente proprio i limiti relativi alle sostanze pericolose negli scarichi. Pertanto l'aver modificato il senso originario del decreto stabilendo che dovesse rendersi necessario un ulteriore giro di vite proprio sulle sostanze pericolose non è certamente da considerarsi un invasione di competenze altrui. Men che meno per tutte le altre prescrizioni che non riguardano l'aspetto dei limiti allo scarico e dove il Ministero può correttamente imporre nuove decisioni.
La direttiva puntualizza inoltre che vi sono due condizioni concorrenti per l'applicazione del DM n° 36 e cioè "stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze pericolose considerate nel decreto stesso e nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche analitiche disponibili". Ma su questo non c'erano dubbi. I dubbi semmai riguardano il fatto di considerare significativa la presenza di una sostanza al di sopra di un limite di rilevabilità della metodica e che non si dica a quale metodica ci si riferisca lasciando così il campo alle variabili del caso.
Sempre rispetto alla decisione dell'autorità amministrativa a proposito della fissazione di limiti più restrittivi, nella direttiva il Ministero interpreta il DM sostenendo che questa iniziativa deve essere attuata "tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell'ambiente in cui è effettuato lo scarico, può fissare, in particolari situazioni di accertato pericolo per l'ambiente anche per la copresenza di altri scarichi di sostanze pericolose". Anche in questo caso si tratta di un cortese invito a non lasciarsi prendere dall'entusiasmo.
Invece il DM n° 36 non dà spazio a riflessioni di carattere ambientale né di altro tipo, stabilendo che "l'autorita' competente obbliga le imprese ….. e definiscono comunque, per le sostanze di cui allo stesso allegato A valori limite di emissione piu' restrittivi". A parte la grammatica che lascia a desiderare come dovrà comportarsi il funzionario pubblico che rilascia le autorizzazioni di fronte a questo tira e molla?
Anche rispetto al punto di misurazione dello scarico il Ministero vuole smussare qualche rigore di troppo. Nel nuovo allegato B del DM n° 36 sostiene che "I valori limite di emissione allo scarico devono essere rispettati a pie' d'impianto". Nella direttiva invece ritratta ricordando che "il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo."
E un'indicazione del tutto corretta come "Gli scarichi di processo devono essere separati dagli scarichi di acque di raffreddamento e deve essere previsto l'avvio separato allo scarico delle acque di prima pioggia" viene rimandata ad una decisione dell'autorità amministrativa competente, quasi che si potesse mettere in discussione l'indubbia validità della norma.
L'unico elemento che si può condividere è il suggerimento a scaglionare nel tempo l'adeguamento degli impianti secondo le prescrizioni autorizzative, tenendo conto che i lavori di ristrutturazione degli impianti possono richiedere mesi.
Ma il culmine si raggiunge verso la fine quando la direttiva si sofferma sul "prossimo" recepimento della direttiva CE/2000/60 (WFD) dove si coglierà l'occasione per modificare anche il Decreto Legislativo n°152/99 (capo III), il Decreto Legislativo n° 372/99 (IPPC) e il Decreto Legislativo n°99/92 (fanghi di depurazione).
Fino ad allora dice il Ministro "la scelta se attenersi o meno alle indicazioni riportate nel predetto allegato B rientra nelle facoltà delle autorità competenti, ai sensi di quanto precisato al precedente punto 3 e con le precisazioni di cui al successivo punto 5." Ogni commento sarebbe superfluo.
Il successivo punto 5 contiene in sé un ammonimento: " ogni prescrizione eventualmente adottata nelle autorizzazioni dovrà essere adeguatamente motivata sulla base delle indicazioni contenute nel piano regionale di tutela, tenendo conto in particolare della portata del corpo d'acqua e del carico massimo ammissibile nello stesso. Si ricorda infatti che l'articolo 3 comma 1, della predetta legge prescrive che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato e che la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria." Questo a voler dire che un'eventuale applicazione del D.M n° 36 non adeguatamente motivata sotto il profilo giuridico rischia di essere oggetto di ricorso.
La conclusione è in linea con le premesse: "le autorità competenti si atterranno a quanto sopra indicato al fine di garantire l'unitarietà dell'azione di tutela ambientale."
Risolto anche il piccolo giallo riguardante la firma. In Gazzetta era stata riportata erroneamente quella del Ministro Urbani, con successiva rettifica siamo stati rassicurati sul fatto che il testo della direttiva è senz'alcun dubbio un parto del Ministro dell'Ambiente Matteoli.