interventi
7 aprile 2003

I gruppi di discussione sono una realtà positive della rete quando i suoi iscritti dedicano il proprio tempo a ragionare su temi comuni scambiandosi le proprie esperienze. Sono numerose le mailing list che hanno l'ambiente come argomento di trattazione. Come iscritto alla maggiorparte di queste è interessante cogliere spunti e verificare opinioni che possono ampliare o modificare un proprio punto di vista, magari facendo ammenda di qualche presunzione di troppo. La discussione che si è aperta recentemente in una delle mailing list più note aveva come target l'efficacia della pena come deterrente nel campo dei reati ambientali. Trattandosi di un problema di rilevante attualità la partecipazione è stata numerosa.

Anche se l'argomento sconta il difetto di essere una materia per addetti ai lavori, è importante che vi sia ampia diffusione riguardo all'analisi di quello che funziona o meno e di come si desidererebbe migliorare l'efficacia del deterrente perché questo riguarda tutti. Per quanto minimo sia stato il contributo dello scrivente, è di una certa soddisfazione aver raccolto consensi attorno ad una proposta che si sostiene da tempo, quella di mettere in primo piano "l'obbligo del fare", cioè la necessità del ripristino, della regolarizzazione, a fronte di una versione attuale del concetto di pena che, nella maggiorparte dei casi, presenta uno sbilanciamento eccessivo sull'obiettivo della repressione, con il rischio di rimanere fine a sé stessa. Ritenendo di offrire un'opportunità ai nostri lettori, ve ne riportiamo integralmente la trascrizione.


Ciao, qualcuno sa se le violazioni penali al DPR 203/88 per mancanza di autorizzazione vengono iscritte nel casellario giudiziale o sono state depenalizzate? (Enrico.Caramori)

Nessuna depenalizzazione, c'è qualche Associazione che continua a chiederlo al legislatore italiano ma la Comunità Europea si è già espressa in modo contrario (Amaffei)

Caro Maffei, La invito a leggere la decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio (GUCE, serie L, n. 29 del 5 febbraio 2003) "relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale": è certamente vero che la Comunità ritiene necessario l'utilizzo della sanzione penale (tra l'altro anche nei confronti delle persone giuridiche, mente in Italia, come ben si sa, a tutt'oggi solo le persone fisiche sono passibili di sanzione penale), ma quando parla di "reati" (veda art. 2 della decisione) parla di cose serie, ossia di veri delitti, non delle "contravvenzioncine" che ridondano nel nostro diritto ambientale (m.franco)

Carissimo m.franco, sono proprio le tantissime "contravvenzioncine" che deturpano in modo esponenziale l'ambiente. ...i piccoli illeciti creano grandi illegalità (marcomirra)

Concordo pienamente con Marcomirra; inoltre, mi sia permesso di porvi questo quesito: cosa è giusto? perseguire l'amministratore che ha permesso e consentito il fatto che integra il reato ovvero la persona giuridica nel suo insieme? Caro Marcello Franco, non si confonda tra la spersonalizzazione e la finzione, puramente giuridica, della persona giuridica e l'azione del singolo (avv.cardosi)

Non confondo proprio nulla: parlando di "responsabilità penale anche per le persone giuridiche" riferivo solo quanto suggerito (o addirittura preteso) dalla Comunità (decisione 2003/80/GAI, art. 6). D'altra parte in altri Stati è già così. (m.franco)

Non voglio far polemiche. I fatti sono sotto gli occhi di tutti. Il nostro cosiddetto diritto ambientale è infarcito di ipotesi contravvenzionali che per lo più riguardano aspetti formali. Errori e dimenticanze nella compilazione di registri e formulari, ritardi nella richiesta di rinnovo di autorizzazioni e cose del genere non sono fatti che in sé "deturpano in modo esponenziale l'ambiente". Ma lo stesso di norma vale anche per occasionali e limitati superamenti di limiti di accettabilità ed in genere per eventi accidentali di scarsa entità. Le "grandi illegalità" possono anche derivare da diffusa microcriminalità, ma la microcriminalità è comunque dolosa. Ecco perché sarebbe necessario quanto meno sfoltire la selva di " contravvenzioncine", introducendo, invece, alcune ben precise ipotesi di delitti, di norma punibili solo a titolo di dolo, in alcuni casi anche per colpa grave o qualificata e solo in limitati casi per colpa generica (come dice la Comunità). Se non erro, nella nostra legislazione speciale per la tutela dell'ambiente dall'inquinamento vi sono solo due ipotesi di delitti:
- una, prevista nella seconda parte del comma 3 dell'art. 52 del d.lgs. n. 22/1997, desta non poche difficoltà interpretative e comunque fondati dubbi di coerenza con la "parallela" sanzione amministrativa prevista nella primaparte del medesimo comma;
- l'altra, prevista dall'art. 53-bis sempre del d.lgs. n. 22/1997, è talmente mal formulata da risultare inapplicabile.
Morale: "i contravventori pagano; i delinquenti se la ridono"(m.franco)

Che la politica di prevenzione di reati ambientali, con particolare riferimento al DPR 203/1988, possa, o fosse debba, esseere affrontata con strumenti sanzionatori di tipo amministrativo in luogo di quelli penali, è fuori discussione. Così come è fuori discussione che gli illeciti ambientali non siano ascrivibili a reati bagatellari. Non so cosa Marcello Franco abbia voluto dire veramente ma non credo che pensi che sia tutto uno scherzo.... (massimiiano.gioncada).

Non lo penso affatto. Al contrario, proprio perché ritengo che sia una cosa seria auspicherei un sistema sanzionatorio che distingua nettamente non solo le violazioni formali da quelle sostanziali, ma soprattutto le violazioni colpose da quelle dolose (m.franco).

Un quesito a Marcello Franco (arrivo in ritardo ma arrivo...): perfettamente d'accordo sulla necessità di una distinzione di questo tipo, ma la realtà di tutti i giorni ci regala sorprese che a volte disorientano e che è necessario ricondurre alla giusta fattispecie. Quindi, che dire del fatto che alle ditte è imposto, ad esempio, un registro per il consumo dei prodotti vernicianti (originanti quindi poi emissioni in atmosfera di vario contenuto) e poi, per non rinunciare a nulla, acquistano vernici "in nero" al supermercato o chissà dove aggirando quindi l'atto autorizzativo? Violazione colposa? Qualche dubbio ce l'ho...... Violazione formale? Certo, se i barattoli di vernice acquistati in nero li usano come soprammobili allora la violazione è, forse, solo della norma fiscale, non certo ambientale, ma dubito che ne si faccia quell'uso.... C'è qualcosa che non quadra... sia nella politica (fallimentare) della repressione in ambito strettamente penalistico, sia in quest'atteggiamento, diffuso evidentemente soprattutto nell'ambito di associazioni industriali, del "lasciamo perdere la repressione di questi innocui comportamenti e lasciateci lavorare". Non vi pare? (massimiliano.gioncada).

Le cose dette da Marcello Franco sono giuste, visto le difficoltà nell'applicazione della normativa quando la illegalità è fatta da veri delinquenti o con dolo, in considerazione che la maggiorvolte la parte sanzionatoria della normativa viene applicata per errori prettamente formali (Amaffei).

Anch'io sono abbastanza critica sulla politica incriminatrice del nostro legislatore, se ha voglia si legga tre miei lavori uno sulla Riv.trim.dir.pen. ec. editore CEDAM Padova che reca data 2001, ma è uscito nel 2002 , sul fasc. 4 p. 1023 l'altro sulla rivista Diritto pubbl.comp. ed europ., Giappichelli Editore, 2001, p. 413 e l'altro ancora su www.lexambiente.com 2001, mese di maggio sotto Interventi. Saluti (Vergine).

Personalmente ritengo che qualsiasi tipo di valutazione sull'efficacia/efficienza di un sistema sanzionatorio non possa prescindere dal conoscere quali siano i numeri delle sanzioni applicate. Purtroppo, dalla mia esperienza, posso dire che la depenalizzazione nella materia ambientale non ha ottenuto granchè in termini di deterrenza. Nessun soggetto al quale è stata irrogata una sanzione amministrativa ritiene di dover ammettere il proprio torto e quindi, con regolarità, presenta memorie difensive. Qualora l'ente al quale compete di decidere sulla memoria ritenga di non aderire (a volte succede), si passa alla fase successiva presso il tribunale, con quel che ne consegue sui tempi della conclusione dell'iter. E' evidente che l'amministrazione che si vede costretta, con regolarità, ad andare per queste vie (con relative spese), prima o poi si arrende. D'altro canto credo che anche sul fronte penale le cose non vadano per niente bene. La mia impressione è che i magistrati siano talmente sommersi di informative riguardanti ipotesi delittuose che laddove il reato penale sia punito con contravvenzione non vi attribuiscono certo alcuna priorità. Con i tempi di quattro anni e sei mesi a disposizione per lo svolgimento dei vari gradi di processo, sono poi reati che trovano l'ovvia conclusione della prescrizione. Mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse che ho torto e che me ne fornisse una prova. La soluzione per la quale io continuo a propendere è l'applicazione ai reati penale in materia ambientale del procedimento già previsto in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, emanato con D.Lvo 758/94. Questo prevede in sintesi che allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. In nessun caso esso può superare i sei mesi. L'organo di vigilanza riferisce sempre al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro cento venti giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento o l'idampimento alla prescrizione, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma. Il procedimento penale è sospeso fino al momento in cui il pubblico ministero riceve questa comunicazione. Se il contravventore ha adempiuto alla prescrizione il procedimento è archiviato, in caso contrario riprendono i termini della sua applicazione. Cosa ne pensate? (michele)

Pienamente d'accordo (marcomirra)

Per quel che puo servire voglio dirLe che purtoppo debbo concordare con Lei su tutto, saluti (lingua)

Nel codice penale è già prevista l'oblazione c.d.speciale o discrezionale art. 162 bis che per lungo tempo ha funzionato ottimamente (del resto è a questo istituto che si ispira seppur con alcune modifiche migliorative il meccanismo di cui agli artt. 19 e segg. del d.lgv. 758 cui lei allude) però ambedue i meccanismi funzionano solo con riferimento a contravvenzioni punite con pena alternativa - e ormai moltissime delle contravvenzioni ambientali vedono le pene detentiva e pecuniaria comminate congiuntamente - ed inoltre funzionano finchè la pena pecuniaria è quantificata in una tariffa "contenuta" altrimenti il contravventore non ha "interesse" a pagare la metà della somma ( o 1/4 se applicato l'art. 19 ) più le spese di ripristino per ottenere l'estinzione del reato (si vedano le comminatorie delle contravvenzioni in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori cui si può applicare l'art. 19) ed infatti già nel 1995 quando furono aumentate in modo terroristico le sanzioni pecuniarie della legge Merli allora vigente le domande di oblazione si azzerarono. La scelta dei modelli punitivi è difficilissima e una buona scelta è il risultato di un attento lavoro di bilanciamento di molteplici interessi che difficilmente il legislatore, imbrigliato com'è da "obblighi" politici, sa o vuole fare. Una strada seria sarebbe stata quella dell'applicazione del d.lgv. sulla responsabilità "penale" delle persone giuridiche anche ai reati ambientali, ma come ben sapete, nonostante ciò fosse previsto dalla legge delega, all'unanimità (e la cosa è molto significativa) il parlamento ha deciso di non farla applicare ai reati ambientali (oltre che a quelli sulla salute e sicurezza del lavoro e ai reati a tutela dell'incolumità pubblica). Vi dice niente tutto ciò ? (Vergine).

Per rispondere alla dr.ssa Vergine, della quale conosco bene gli scritti apparsi su lexambiente, è vero che l'oblazione art.162 bis per un certo tempo è servita, con i distinguo relativi alla convenienza della somma da versare. Tuttavia anche questa forma di deterrenza ha (avuto) i suoi limiti, primo dei quali il lungo tempo che intercorre tra la contestazione del reato e la prima udienza utile (visti i numerosi rinvii, spesso si va alla terza o quarta convocazione e gli anni passano), mentre l'applicazione del D.Lvo 758/94, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario e in nessun caso superiore i sei mesi, rende estremamente efficiente il processo sanzionatorio. Inoltre vi sono altri elementi che, a parere di chi scrive, fanno propendere per una conversione del decreto anche nella materia ambientale. La prima è la "spinta al ravvedimento": se l'inadempiente ritiene di aderire alle prescrizioni nei tempi indicati, abbiamo un successo che va al di là della mera applicazione di una sanzione, in quanto legato alla eliminazione di un fattore di rischio o di pericolo per l'ambiente, se non ad un risanamento vero e proprio di situazioni conclamate di danno. Questo risultato è sempre premiante per la tutela delle risorse rispetto alle condizioni che si verificano oggi, senza un D.Lvo 758 che si rispetti. Oggi infatti cosa succede: se escludiamo i reati di tipo formale, ai quali non è difficile fare fronte con una regolarizzazione di carattere documentale, per i reati che hanno provocato una conseguenza più o meno grave a carico del suolo, delle acque, dell'aria, esiste un interesse preminente nel dare seguito alla sanzione, quale essa sia, ma non oltre. Voglio dire che non sempre è presente il medesimo interesse, non vi è la medesima attenzione, a fare sì che il reato non si protragga ulteriormente, quasi che, con la sua contestazione, sia terminato il compito dell'organo di vigilanza.La polizia giudiziaria o amministrativa, in campo ambientale, è cioè portata a privilegiare l'aspetto sanzionatorio rispetto a quello ripristinatorio. Ciò è dovuto molto probabilmente alla mancanza di una competenza nell'applicazione delle cosiddette sanzioni accessorie quali ordinanze, diffide, sospensioni, ecc, che, storicamente, sono affidate ad un altro soggetto istituzionale (Comuni, Province). Avviene così che, per ripristini, adeguamenti, regolarizzazioni ecc., il tutto si rimandi alla "discrezionalità" dell'Ente, "per quanto di competenza". Con questo D.Lvo 758/94 "ambientale" la responsabilità sul ripristino delle condizioni ex-ante verrebbe, a mio parere molto correttamente, rimessa all'organo di vigilanza, il quale deve invece diventare la principale parte in causa affinchè si prevenga la continuazione dei reati, o la loro ripetizione perchè non sono state adottate le contromisure che la tecnica richiede per prevenire altri danni…. Mi fermo qui, alla prossima (michele).

Probabilmente mi sono espressa male, anch'io da tempo vado sostendo la bontà del meccanismo del d.lgv.758 però per applicarlo ai reati ambientali sono necessarie modifiche: anzitutto all'assetto sanzionatorio degli stessi e in secondo luogo alle capacità tecniche degli accertatori che debbono essere espertissimi di tante cose per poter imporre ragionevoli prescrizioni con altrettanto ragionevoli tempi di esecuzione. Convinto che gli attuali organi di controllo siano dotati di personale di questo tipo ed in numero sufficiente per adempiere a tutti i necessari accertamenti? Comunque anche recentemente ho scritto un lavoro dal titolo "Verso un diritto penale ambientale ripristinatorio" che non appena dato alle stampe magari "passerò" all'amico Ramacci per metterlo in rete , è dal 1978 che tanto ostinatamente quanto inutilmente vado "predicando" l'uso del ripristino e dell'obbligo di fare quali "sanzioni" di prima battuta e la sanzione penale a presidio dell'inottemperanza all'ordine di ripristino .... saluti (Vergine).

"Il Governo e' delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi in materia di tutela ambientale aventi lo scopo di introdurre:
a) una causa estintiva speciale dei reati ambientali, in connessione ad ordini di fare emanati dalla pubblica amministrazione, consistente nel pagamento di una somma di denaro a titolo di sanzione pecuniaria amministrativa non inferiore alla meta' del massimo di quella prevista per il reato commesso e nell'ottemperanza all'ordine di fare mirante a ricondurre il destinatario dell'ordine al rispetto della normativa ambientale;
b) una procedura di ravvedimento operoso, prima dell'accertamento, per tutte le violazioni ambientali di carattere amministrativo, consistente nel pagamento di una somma ridotta per chi regolarizza le violazioni.".
Così disponeva l'art. 2, comma 2, della legge n. 383/2001, ma ben pochi hanno attribuito importanza a siffatta norma, oltre a chi l'aveva proposta e chi l'aveva scritta, e così la delega è scaduta. Peccato; sarebbe stato possibile cominciare ad introdurre in materia ambientale, ovviamente con tutte le cautele del caso, due strumenti mutuati dall'igiene e sicurezza del lavoro (lett. a) e dal tributario (lett. b) e che (mi sembra) abbiano dato nei rispettivi settori dei buoni risultati. (m.franco).

Come ha ricordato il dr.Marcello Franco un primo accenno di sanzione volta all'obbligo del fare anche in campo ambientale è comparso nel provvedimento dedicato all'emersione da lavoro nero, la legge 383/2001. In particolare l'art.2, comma 1, che disponeva:
"1. Gli imprenditori che aderiscono ai programmi di emersione di cui all' articolo 1 possono regolarizzare i loro insediamenti produttivi, accedendo al regime di cui agli articoli 20, 21 e 24 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n.758, esteso anche alle violazioni amministrative e penali in materia ambientale che determinano solo lesione di interessi amministrativi e sono caratterizzate dalla messa in pericolo e non dal danno al bene protetto. Sono sempre esclusi i casi di esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni culturali nonché ambientali e paesaggistici,
realizzati senza le autorizzazioni prescritte dagli articoli 21 e 163 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, o in difformità dalle medesime autorizzazioni."
Sappiamo quale insuccesso abbia incontrato questo provvedimento. Sappiamo anche quali pesanti critiche ha sollevato la sua emanazione tra le fila degli ambientalisti e dei magistrati sensibili ai temi dell'ambiente, tanto da essere chiamato "condono ambientale". L'unica critica che mi sento di fare è invece relativa alla superficialità con cui è stato introdotto, senza tener conto delle difficoltà procedimentali che potrebbe incontrare la trasposizione del D.Lvo 758/94 in un contesto con contenuti del tutto particolari come la normativa ambientale e i soggetti istituzionali tenuti ad applicarla. E' un peccato che non vi sia stata qualche esperienza per conoscerne gli esiti. E' un peccato anche che sia scaduta la delega per l'attuazione del comma 2. Ma per tornare all'argomento posso assicurare che una buona formazione culturale associata a conoscenze ed esperienze di natura tecnica sono traguardi raggiungibili, con un pò di tempo, in qualsiasi struttura dedicata al controllo ambientale. Quello che manca nella maggiorparte dei corpi di polizia giudiziaria che lavorano su queste tematiche è proprio l'applicazione alla concretezza che deriva dal dover esaminare le proposte di soluzione necessariamente presentate a seguito di una violazione alle norme. Il fatto di non potere/dovere affrontare i dubbi e gli interrogativi che sorgono naturalmente sulla bontà delle tecniche prefigurabili per la soluzione di un problema, porta al disinteresse per il ripristino. Così, come detto, finisce per essere privilegiato l'aspetto meramente sanzionatorio. Non stupiamoci poi che le statistiche di illegalità nel nostro paese siano sempre del medesimo tenore, non è difficile immaginare che si tratti spesso delle stesse violazioni rimaste irrisolte anno dopo anno. Credo invece che mettere in primissimo piano l'"obbligo del fare" rappresenti una occasione più unica che rara per far crescere l'efficacia dei controlli e migliorare la dotazione ecologico-strutturale delle imprese, con vantaggio di tutti. Del resto, se è stato possibile e proficuo nelle materie della sicurezza, perchè non deve essere così anche in quelle ambientali?(michele).

E ci risiamo, tutte iniziative settoriali e limitate, oppure"buonipropositi" contenuti in deleghe che poi non vengono recepiti. Condivido, avendole già anticipate, le perplessità su introduzione di meccanismi tanto delicati in assenza di ponderata organizzazione e doverosa preparazione degli organi di controllo. Ma se tra di noi siamo quasi tuttti d'accordo forse possiamo incominciare a sperare con qualche....concretezza !!(Vergine)


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REATI AMBIENTALI, SE NE DISCUTE IN RETE