chiarimenti
28 maggio 2006

Cosa può fare una famiglia che abita vicino ad un impianto che si definisce a ciclo continuo il cui rumore disturba in qualsiasi ora del giorno e della notte?


Purtroppo la tutela dal rumore di un impianto a ciclo continuo non è così garantita dalle norme. Fa fede una massima del Consiglio di Stato che così recita:

Secondo l’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996, si intende per impianto a ciclo produttivo continuo: a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale; b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione". Ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come "impianto a ciclo continuo", basta la sussistenza di uno dei presupposti per identificare l’impianto nella categoria in questione. Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame. Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale "impianto a ciclo produttivo continuo"; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro " sulle ventiquattro ore per cicli settimanali", per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6274.

Sempre relativamente alla stessa causa il Consiglio di stato si è nuovamente espresso, dopo un'ulteriore istruttoria della documentazione a sostegno della tesi riprodotta nella lettera b) dell'articolo.

In ordine al requisito sub a), esso-a parere del Collegio-deve essere escluso, atteso che-come correttamente rilevato dal T.A.R. sulla base di quanto risultato dagli accertamenti tecnici compiuti dalla A.S.L. e dalla A.R.P.A.T.- nella specie, "l’unico impianto funzionante realmente di continuo è la centrale termica, oltre che- in particolari periodi dell’anno- la centrale frigorifera".

Ne consegue che lo stabilimento in questione non può essere ricondotto, sotto l’esaminato profilo, alla menzionata tipologia dell’impianto a ciclo continuo, con particolare riferimento alla "impossibilità di interrompere l’attività produttiva senza provocare danni all’impianto stesso".

Per quanto concerne, invece, il secondo dei predetti requisiti, sub-b), relativo alla vigenza, nel caso di specie, di un contratto collettivo nazionale di lavoro, contenente disposizioni relative ai lavoratori impiegati con il sistema delle "ventiquattro ore per cicli settimanali", esso - a parere del Collegio - può ritenersi provato a seguito della specifica istruttoria disposta per accertare la sussistenza o meno della suddetta circostanza di fatto.

Invero, dai documenti depositati, anche in udienza (C.C.N.L. relativo agli addetti dell’industria della gomma, cavi elettrici ed affini nonché industria delle materie plastiche; verbali di accordo tra la R.S.U. e l’Azienda ed accordo tra il Consiglio di fabbrica e l’Azienda), risulta chiaramente quanto segue:

a) le previsioni del C.C.N.L. per i lavoratori dell’industria della gomma e della plastica - ancorché non sembrino disciplinare in maniera automatica e diretta il lavoro sulle ventiquattro ore per cicli settimanali - consentono, tuttavia, di organizzare, negli stabilimenti de quibus, il lavoro a ciclo continuo, quale scelta di specie dell’imprenditore, da concordare con le rappresentanze sindacali;

b) tale scelta industriale di ricorrere al "ciclo continuo", specie nei reparti "recupero solventi" e "spalmatura" maggiormente interessati dalla contestata ordinanza di bonifica acustica), risulta effettuata soventemente, attraverso specifici accordi sindacali tra Azienda e parti sociali;

c) la mancanza di un tempestivo aggiornamento dei predetti accordi - il cui contenuto, peraltro, difficilmente potrebbe essere considerato obsoleto nel caso di specie - non induce a ritenere che il "minimum" di modalità di svolgimento del "ciclo continuo" nei citati reparti estrusione e spalmatura non sia in concreto sempre applicabile.

Pertanto, ritiene il Collegio che - contrariamente all’assunto delle odierne parti controinteressate - gli impianti delle società appellanti possono essere considerati a ciclo produttivo continuo. Ne consegue che, ancorché privi del primo requisito contemplato nell’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996 (impossibilità di interruzione dell’attività produttiva senza provocare danni all’impianto), gli stabilimenti in questione posseggono, comunque, il secondo dei requisiti previsti dal citato art. 2 avrà provveduto all’azzonamento acustico del territorio comunale, con l’adozione dell’apposito strumento necessario ad individuare le eventuali aree sulle quali garantire un adeguato abbattimento del rumore, la situazione de qua potrà essere valutata e disciplinata in maniera diversa. Consiglio Di Stato, sez. IV - 18 febbraio 2003, n. 880

La vicenda da cui nasce questa sentenza è relativa ad una attività industriale di produzione di nastro adesivo, localizzata da oltre venti anni nel comune di Vinci, in un'area produttiva adiacente ad area agricola, area agricola in cui è ubicata una casa colonica abitata dalla famiglia che ha presentato denuncia per inquinamento acustico. La casa colonica è posta oltre il confine comunale e precisamente nel territorio di un altro comune, quello di Cerreto Guidi.

L'APAT, su sollecitazione del Comune, effettua le misure fonometriche dei livelli assoluti e differenziale, all'interno dell'abitazione del disturbato. Il limite differenziale è significativamente superato. Senonchè l'ordinanza sindacale che impone alla società di presentare un piano di bonifica viene fatta oggetto di ricorso. In prima istanza il TAR dà torto alla società ritenendo legittima l'ordinanza e l'applicazione del limite differenziale. Questa ricorre allora al Consiglio di Stato che, con una lettura formale delle disoposizioni di legge, ritiene applicabile la definizione di "ciclo continuo" alle lavorazioni dello stabilimento, in virtù unicamente della presenza di un contratto di lavoro articolato sulle 24 ore.

Il CdS da una parte quindi sostiene che nella sostanza non si tratta di ciclo continuo, perché nessun impianto tecnico funziona per 24 ore senza soluzione di continuità, salvo la centrale termica, ma dall'altra, ritenendo che le due condizioni sub-a) e sub-b) non sono cumulative, ma alternative, ritiene che per l'appellazione di ciclo continuo sia sufficiente dimostrare che i dipendenti lavorino su tre turni.

Si tratta molto chiaramente di una sentenza con il paraocchi (o meglio con il paraorecchie). Il significato letterale della norma è quello che ha condotto l'alto consesso a concludere così. Tuttavia anche se le due condizioni non sono cumulative richiedono comunque una considerazione contestuale, in quanto le indicazioni dell'una non possono essere lette senza alcun collegamento con l'altra. In pratica se vi è un impianto che funziona a ciclo continuo è indispensabilmente presente anche una componente umana che vi lavora accanto, anche solo come sorveglianza e controllo. In realtà nella vicenda trattata si è alle prese con uno stabilimento con un orario di lavoro che si articola sulle 24 ore per esigenze produttive, ma che potrebbe benissimo ridurre alle 16 o alle 8 ore, senza che per questo nessun impianto a ciclo continuo abbia a soffrirne.

Tuttavia queste sentenze fanno giurisprudenza.

Allora cosa consigliare alla lettrice in crisi di sonno? Occorre verificare alcune possibilità.

Il Decreto Ministeriale del 11/12/1996 fa una distinzione tra impianto esistente e impianto nuovo. L'art.3, comma 2 sostiene che:

Per gli impianti a ciclo produttivo continuo, realizzati dopo l'entrata in vigore del presente decreto, il rispetto del criterio differenziale e' condizione necessaria per il rilascio della relativa concessione.

E' ben difficile che, a distanza di tanti anni, l'impianto (o lo stabilimento) che funziona a ciclo continuo non abbia subito modifiche strutturali tali da mutarne l'inquadramento. Per le parti che hanno subito modifiche il limite differenziale si applica. Questa tesi è sostenuta anche nella circolare 6 settembre 2004 a firma del Ministero dell'Ambiente:

Si precisa infine che nel caso di impianto esistente oggetto di modifica (ampliamento, adeguamento ambientale, etc.), non espressamente contemplato dall'art. 3 del decreto ministeriale 11 dicembre 1996, l'interpretazione corrente della norma si traduce nell'applicabilita' del criterio differenziale limitatamente ai nuovi impianti che costituiscono la modifica.

Un'altra considerazione occorre farla in riferimento alla provenienza del rumore. Bisogna distinguere il rumore prodotto dai macchinari che costituiscono l'impianto in sé da quello prodotto da sorgenti che hanno una funzione accessoria rispetto all'impianto stesso. Cioè in sostanza se il rumore è prodotto da una ventola, un camino, una valvola difettosa o altro ancora che non possono rientrare nella definizione di impianto, in quanto svolgono una funzione di servizio, non certo di produzione, la deroga non si applica. Queste sono sorgenti che possono essere tranquillamente spente, per il perido necessario a misurare il rumore residuo, senza interrompere la produzione.

Infine un ultima annotazione. Anche gli impianti a ciclo continuo "esistenti" devono adeguarsi. Tuttavia non devono attendere che il Comune adotti la classificazione acustica del territorio. Ai sensi del comma terzo dell'art.1 del DPCM del 01/03/1991 (che definisce i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno) devono farlo entro cinque anni dall'entrata in vigore di questo decreto, scadenza oggi ormai ampiamente superata. Non vi sono commenti a riguardo che portino a conclusioni diverse dal dato letterale della norma riportata (se si segue l'insegnamento dei giudici).

3. Gli impianti a ciclo produttivo continuo che attualmente operano nelle predette zone (non esclusivamente industriali) debbono adeguarsi al (sopra specificato) livello differenziale entro il termine di cinque anni dall'entrata in vigore del presente decreto ed hanno la possibilità di avvalersi in via prioritaria delle norme relative alla delocalizzazione degli impianti industriali.

Comunque sia una riflessione a margine si può fare. Nel caso del ciclo continuo il legislatore ha anteposto le esigenze della produzione a quelle della salute. Ma non è che uno dei tanti esempi.

 

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QUESITO SUL RUMORE PRODOTTO DA UN IMPIANTO A CICLO CONTINUO