chiarimenti
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28
febbraio 2002
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La prima domanda alla quale dovremmo in realtà rispondere è: cosa si intende per acque meteoriche di dilavamento?. Purtroppo l'art.2 del D.Lvo 152/99, anche se modificato con il D.Lvo 258/00, non dà una precisa definizione delle acque meteoriche di dilavamento, ma le identifica per esclusione mettendole a confronto con le acque reflue industriali, domestiche od urbane dalle quali appunto le distingue.
Cerchiamo allora di circoscrivere il concetto. E' certo che si tratta di uno scarico? Quasi sicuramente si, se leggiamo la definizione di scarico descritta all'art. 2 lettera bb): qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. La corrispondenza alla definzione di scarico cesserebbe solo al momento in cui le acque meteoriche non fossero convogliate tramite condotta, cioè solo nel caso in cui non vi fosse l'intervento antropico motivato dalla necessità da incanalarle in qualche direzione per evitare problemi alla proprietà.
L'analisi logica delle definizioni ci porterebbe a sostenere che si debba parlare di scarico di acque metoriche anche quando si voglia realizzare una scolina o un fosso poderale, il che naturalmente è follia il solo pensarlo. E' chiaro che, per meglio orientarci, dobbiamo rivolgerci al termine "di dilavamento", cioè far pesare maggiormente il rischio associato all'azione dilavante delle pioggie.
Sotto questo profilo ci aiuta anche l'incipit del nuovo art. 39 - Acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia: "…Ai fini della prevenzione di rischi idraulici e ambientali..". La regolamentazione ha un senso in quanto motivata o da rischio idraulico o da rischio ambientale o entrambi. C'è una ulteriore distinzione, le acque di prima pioggia, che evidentemente presentano qualche elemento di diversità rispetto alle meteoriche di dilavamento. In caso contrario non sarebbe stato introdotta questa nuova definizione.
Quello che emerge dal nuovo articolato è che in generale esiste un problema di carattere idraulico quando le reti fognarie deputate a raccogliere le acque nere sono di tipo misto, cioè adattate per ricevere anche le acque bianche (denominazione comunemente utilizzata per le acque meteoriche). Causa la inadeguatezza delle reti comunali e la particolare intensità delle pioggie in questi anni si è visto che tale scelta può provocare rilevanti episodi di allagamento nelle aree urbane, nonostante lungo i tracciati siano installati appositi tracimatori (by-pass) che entrano in funzione oltre un certo limite di portata permettendo alle acque in eccesso di fuoriuscire. Per questo motivo le Amministrazioni Comunali più evolute hanno introdotto nelle loro regolamentazione locale obblighi di separazione di reti al momento di realizzare nuove lottizzazioni e di destinazione in un recapito naturale, se presente, per le sole acque meteoriche.
Alla luce di questi problemi si può capire il senso della nuova definizione di fognature saparate, art.2 lettera aa-bis):" la rete fognaria costituita da due condotte, una che canalizza le sole acque meteoriche di dilavamento e può essere dotata di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, l'altra che canalizza le altre acque reflue unitamente alle eventuali acque di prima pioggia".
Cè una preoccupazione in più, quella di considerare l'apporto di inquinanti da parte delle acque di prima pioggia convogliate in una rete separata. Per acque di prima pioggia si considerano i primi 5 mm di acqua uniformemente distribuita su tutta la superficie scolante, dovuta ai primi 15 minuti di pioggia. Come coefficiente di afflusso alla rete si assume il valore 1 o 0,3 a seconda del tipo di superfice scolante. Se consideriamo il dilavamento della superficie impermeabilizzata di una grande città, tenendo conto di cosa finisce giornalmente su tale superificie, possiamo avere un'idea della rilevanza di questo apporto.
Per
questo motivo si prevede una disciplina anche per le reti separate, disciplina
che dovrà essere emanata dalle regioni e cioè:
a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento
provenienti da reti fognarie separate;
b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque
meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano
sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione.
Ma tornando alla domanda del titolo possiamo a questo punto rispondere che l'obbligo di autorizzazione riguardante lo scarico di un collettore fognario per acque meteoriche di dilavamento sarà presumibilmente introdotto dalla disciplina emanata dalle regioni. Purtroppo, come spesso accade, alle parole non seguono i fatti e siamo ancora in attesa che sia emanata la prima regolamentazione. E' lecito un certo pessimismo sulla volontà del legislatore regionale di attrezzarsi per tempo.
La cosa è diversa invece per "le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne …. per particolare ipotesi nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento dalle superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici." Alle regioni spetta il compito di definire i casi in cui le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne debbano essere opportunamente trattate in impianti di depurazione.
E' chiaro che l'obbligo di munirsi di un'autorizzazione prima di attivare lo scarico non è in discussione. Sarebbe paradossale che lo scarico di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio potesse avvenire al di fuori di un qualsiasi controllo preventivo. Quello che semmai rimane da definire sono gli insediamenti di beni o servizi le cui aree scoperte sono da tenere in considerazione per la possibilità che il loro dilavamento veicoli inquinanti pericolosi o bioaccumulabili, che creino pregiudizio in genere alla qualità delle acque superficiali. Per semplificare potremmo dire che è necessario controllare la presenza degli elementi parametrati in tabella 3 del D.Lvo 152/99, quelli che più potrebbero ritrovarsi nelle acque meteoriche a causa delle particolari materie prime utilizzate nel ciclo produttivo.
Utilizzando il dato della comune esperienza si dovrà tenere conto di quali sono le attività che più possono costituire un fattore di inquinamento delle superfici esterne e quindi delle acque meteoriche che vi scorrono sopra ad ogni fenomeno piovoso. Sotto questo aspetto può aiutare la regolamentazione della regione Lombardia che è stata introdotta nel 1990, molto tempo prima del D.Lvo 152/99, quando era in vigore la L.319/76. Le attività sottoposte a tale disciplina sono:
L'elencazione di attività soggette ha tuttavia un limite. Non permette di considerare quali siano gli elementi sulla base dei quali il legislatore regionale si è convito ad inserire tali categorie nell'elenco delle attività a rischio di dilavamento.
Ci si può comunque arrivare per deduzione.
Sulle superfici scoperte possono per es. depositarsi, per ricaduta, gli inquinanti aeriformi presenti nelle emissioni in atmosfera dello stabilimento. L'inquinamento potrebbe essere prodotto dalla svolgimento di fasi dell'attività all'aperto come la movimentazione di materie prime allo stato polverulento o particolari lavorazioni che non possono essere svolte in ambienti chiusi, vedi rottamai e autodemolitori. La presenza di sostanze pericolose potrebbe ricondursi a spillamenti o condense da installazioni o impianti che non possono essere tamponati o raccolti puntualmente. Oppure al passaggio delle acque meteoriche su aree dedicate ad operazioni tipicamente sporcanti. Un'altra condizione dalla quale si originano acque inquinate è quella derivante da un trasformazione permanente del territorio, come per es.l'attività di cava. Tutte le aree di deposito all'aperto di materie prime o rifiuti sono potenziali fonti di contaminazione.
Da questi esempi si deve trarre però una considerazione, che ci riconduce allo spirito della legge. Laddove vi siano le condizioni si dovrà sempre operare in modo da evitare di sporcare le superfici esterne. In attesa che le Regioni specifichino i casi in cui può essere necessario che le acque di dilavamento vengano convogliate ad un impianto di trattamento una migliore alternativa è quella cioè di dotare le aree a rischio delle più opportune misure di prevenzione e sicurezza non solo per evitarne il dilavamento, ma anche per contenere eventuali spargimento di liquidi o liberazione di gas volatili o sollevamento di polveri. Laddove possibile andranno installati dei sistemi di contenimento.
Se poi non si riuscirà ad evitare un inquinamento delle superfici si valuti se è ipotizzabile un frazionamento della rete fognaria di raccolta sottesa ad un'area più ristretta, quella dove avviene lo sporcamento e quindi prevedere un trattamento dello scarico parziale proveniente da questa zona. Nella condizione migliore sarà opportuno verificare se si ritiene attuabile una raccolta di tali acque per un integrale riutilizzo interno, nella condizione peggiore ci si dovrà risolvere alla presentazione di una domanda di autorizzazione allo scarico.
Per finire c'è da menzionare tra le cause di inquinamento delle aree scoperte anche gli scarichi accidentali. Uno scarico accidentale potrebbe finire facilmente in acque superficiali attraverso la rete fognaria delle acque meteoriche o nello stesso istante o in un momento successivo, appunto per l'azione dilavante di un evento piovoso. Più che interrogarsi sulla nozione di scarico occasionale sarà indispensabile mettersi nella condizione di prevenire lo sversamento, installando per es. dei cordoli di contenimento attorno ai punti a rischio, oppure prevedendo la possibilità di intercettare il reticolo fognario prima dell'immissione in un corpo idrico superficiale. Una delle soluzioni più utilizzate quando l'impresa gestisce grandi quantità di liquidi idroinquinanti è l'installazione in linea di un serbatoi interrato, un volume di riserva al quale deviare lo scarico accidentale nel momento in cui questo avvenga.
Insomma, in conclusione, serve pianificare i possibili rimedi in casi di emergenza evitando che si debba rincorrere le sostanze idroinquinanti quando ormai hanno raggiunto il corpo recettore.