leggi
e sentenze
|
9
ottobre 2005
|
"L’azione di contrasto relativa alla diffusa illegalità in materia di raccolta di rifiuti urbani mediante predisposizione di centri di raccolta comunali meglio noti come ecopiazzole (o ecocentri, o isole ecologiche o riciclerie ecc.) realizzate senza alcuna regola ha avuto finalmente soddisfazione grazie alla Suprema Corte che, con sentenza n. 26379/05 della terza sezione penale (Pres. Postiglione – Est. Onorato), si è espressa nel senso di ritenere applicabile ai suddetti centri l’art.6, comma 1, lettera l) del Decreto Legislativo n°22/97. "
Come i nostri lettori sanno qui, su queste pagine, abbiamo stigmatizzato l’intervento repressivo delle Forze dell’Ordine nei confronti delle isole ecologiche prive di autorizzazione ai sensi degli artt.27,28 del D.Lvo 22/97. Il sequestro di un ecocentro, area pubblica di deposito rifiuti riciclabili di cui non si può proprio disconoscere l’utilità, con il carico di disdoro pubblico che conferisce alle istituzioni locali, platealmente messe sullo stesso piano di chi esercisce traffici illeciti, non trova giustificazione alcuna sotto il piano della protezione ambientale. Anzi, come è stato sottolineato, proprio un intervento del genere mette a rischio l’organizzazione della raccolta con possibili riflessi in termini di abbandono rifiuti, vista l’impossibilità di accedere al centro posto sotto sequestro.
E quindi ben si comprende come spesso i sequestri eseguiti non siano convalidati dal magistrato di turno che restituisce così la "cosa" al legittimo gestore. Tuttavia c’è questa strana incongruenza per cui, nell’immaginario collettivo, conta più un'ipotesi di reato che tante istanze di archiviazione. Si è così arrivati, a forza di insistere, alla fatidica pronuncia: ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera l) del D.Lvo 22, gli ecocentri sono attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D 15 dell’allegato B, nonché attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R 13 dell’allegato C.
La sentenza origina da uno dei tanti sequestri effettuati lungo lo stivale italico. Il casus belli si è verificato nel Comune di Celle, provincia di Savona, nell’estate del 2004, e protagonista involontario di questo scontro tra fazioni avverse è il locale Sindaco Sig.Remo Zunino. All’istanza del dissequestro subito presentato il competente G.I.P. (giudice per le indagini preliminari) rispondeva "picche", per poi tuttavia incorrere nella bocciatura del Tribunale di Savona, il quale invece accoglieva l’appello del Sindaco riconoscendo non vi fossero elementi di pericolo tali da dover necessitare l’estrema misura del sequestro.
La contesa si spostava ai gradi alti e il Sostituto Procuratore Generale vedeva finalmente vincere la propria tesi presso la Terza Sezione Penale della Cassazione. Quindi sequestro confermato, ma soprattutto, condivisione del principio: l’obbligo di munirsi prima di autorizzazione per gli ecocentri. Per questa che costituisce una violazione formale, soggetta a così opposte letture, il Sindaco di Celle rischia qualcosa come:
a) la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni, vecchie lire, se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni, vecchie lire, se si tratta di rifiuti pericolosi.
Con l’augurio che, quando si tratterà nel merito del procedimento penale aperto a suo carico, il Sindaco venga scagionato da una così grave accusa, si tratterebbe adesso di capire perché i giudici hanno così sentenziato.
Le motivazioni espresse dalla Terza Sezione Penale sono disarmanti: la competenza che l’art.21, comma 1, del D.Lvo 22/97, riconosce ai comuni di esercitare in regime di privativa la gestione dei rifiuti urbani e assimilabili, "non esclude che le attività di recupero o smaltimento esercitate nell’ambito della più vasta di gestione dei rifiuti debbano essere sempre soggette alle autorizzazioni regionali imposte dall’art.28 o alle procedure semplificate affidate alle province ex artt. 31, 32, 33. "
Perché vi sia una gestione di rifiuti "più vasta" la Cassazione esamina gli atti ed evidenzia come, nella ecopiazzola de qua, non ci si limitasse a ritirare i rifiuti ingombranti conferiti dai cittadini, ma il servizio pubblico vi svolgesse "un’attività di cernita e di separazione dei rifiuti e un accumulo provvisorio in attesa dello smaltimento". Del resto, secondo la Cassazione, basta considerare che per "raccolta" si intende l’operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto (art.6, comma 1, lettera e) "sicchè essa è necessariamente effettuata nel luogo di produzione dei rifiuti, cosa che è pacificamente esclusa nella fattispecie di causa". Quindi l’ecocentro non può che rientrare nella definizione di centro di stoccaggio (art.6, comma 1, lettera l).
Non si riesce proprio a condividere queste conclusioni.
Anzi tutto nelle isole ecologiche si effettua sempre un minimo di gestione perché le cose non siano lasciate in disordine, i rifiuti vengano raccolti secondo tipologia e si tolgano le presenze indesiderabili che nuocciono alla loro ricuperabilità. Secondo la Corte questa è la dimostrazione che siamo in presenza di un centro di stoccaggio. Ma nella definizione di deposito preliminare o di messa in riserva non è richiesta altra gestione che non sia quella del mero raggruppamento. L’autorizzazione al deposito preliminare o alla messa in riserva prescinde dalla sussistenza di qualsivoglia operazione, sia anche quella di cernita o separazione che gli allegati B o C del D.Lvo 22/97 peraltro nemmeno prevedono. Chi vuole esercire un deposito preliminare o una messa in riserva non deve giustificarlo con il fatto di svolgervi anche altre operazioni, basta la parola "stoccaggio".
Quindi l’ecocentro è già di fatto un deposito o una messa in riserva, nel momento stesso in cui si decide di raggrupparvi i rifiuti in attesa di uno smaltimento o di un recupero. La differenza sta tutta nella privativa: il Comune esercita un diritto/dovere in materia, si organizza come da regolamento e, invece dei cassonetti, antiestetici e inefficienti, prefigura un punto di raccolta baricentrico, più funzionale all’obiettivo della differenziazione. Non abbisogna di autorizzazione, mentre un soggetto privato si.
L’altra conclusione incondivisibile è questa: la raccolta dei rifiuti urbani, per definirsi tale, deve essere svolta nel luogo di produzione. Se si parla della raccolta dei rifiuti urbani è una novità assoluta. Allora, seguendo la logica dell’estensore, anche i cassonetti devono essere tutti autorizzati, anche questi sono depositi.
Si è fatta confusione. E’ il deposito temporaneo semmai che si distingue per avvenire laddove il rifiuto si origina, ma qui cosa centra? Si sta discutendo di rifiuti urbani, non di rifiuti speciali. I sacchetti della spazzatura sono depositi temporanei? Siamo al paradosso.
La Conferenza Regioni si era già rivolta il 5 marzo e il 26 maggio c.a. al Ministero perché riportasse a chiarezza i termini della privativa. Ci ha riprovato di nuovo il 30 giugno con un ennesimo appello, dimostrando l'urgenza di una decisione: il rischio è che di ecopiazzole ce ne rimangano poche in giro. Il riferimento normativo è l’art. 6, c.1, lett. e) del Dlgs. 22/97, cioè la raccolta dei rifiuti urbani, e non la lettera l), lo stoccaggio, come è stato attribuito nel caso del Comune di Celle.
DEFINIZIONE DEL REGIME GIURIDICO APPLICABILE AI CENTRI DI RACCOLTA PER IL CONFERIMENTO DIFFERENZIATO DEI RIFIUTI URBANI.
In sede di Conferenza Unificata del 26 maggio 2005, le Regioni e le Autonomie locali avevano richiesto al Governo, nelle more dell’attuazione della riforma della normativa in materia di rifiuti prevista dalla legge 308/2004, l’apertura di un tavolo di lavoro per definire le modalità di realizzazione e gestione dei centri di raccolta e in particolare le attività che possono essere svolte senza le autorizzazioni ex artt. 27, 28, 31 e 33 del Dlgs 22/97. Tali attività si configurano infatti come operazioni di raggruppamento di rifiuti urbani per frazioni omogenee, che rientrano nella fase di raccolta come definita dall’art. 6, c.1, lett. e) del Dlgs. 22/97.
Il Viceministro Nucara aveva accolto tale richiesta. E’ stata pertanto convocata la riunione tecnica del 28.06.05, durante la quale i rappresentanti del governo hanno dichiarato che il tavolo tecnico è esclusivamente finalizzato alla predisposizione di un documento a supporto della riforma della norma quadro in materia di rifiuti, mentre non può essere adottato alcun provvedimento in merito a legislazione vigente.
Le Regioni, l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM ritengono che per risolvere il problema evidenziato sia necessario trovare una soluzione a normativa vigente senza attendere l’emanazione della norma quadro di riforma del settore e che l’apertura di un tavolo di lavoro limitato ai centri di raccolta sia riduttivo rispetto alle problematiche complesse poste dalla revisione della normativa sui rifiuti.
Le Regioni, l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM ribadiscono pertanto la necessità di far rientrare nelle attività di raccolta di cui all’art. 6, c. 1, lett. e) del Dlgs 22/97 le attività di raggruppamento di rifiuti per frazioni omogenee effettuate presso i centri di raccolta.
Si segnala peraltro che è in fase di emanazione il Dlgs di recepimento della direttiva RAEE che comprende tra le definizioni anche quella di centro di raccolta: tale definizione potrebbe essere integrata con quanto richiesto da Regioni, ANCI, UPI e UNCEM.
Roma, 30 giugno 2005