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20 maggio2004

Spesso la lettura delle norme acquista un significato tutto diverso se lo si fa alla luce di quello che sono eventi accaduti realmente, con i quali ci si debba confrontare. E' proprio il caso della deroga alla miscelazione dei rifiuti ex-art.9 del D.Lvo 22/97 che è stata trattata nel mese di marzo e che riprendiamo di nuovo dopo un necessario approfondimento.

L'art.9 dispone quanto segue:

Art. 9 - Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi

1. 1.È vietato miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi ovvero rifiuti pericolosi di cui all’allegato G con rifiuti non pericolosi.

2. 2.In deroga al divieto di cui al comma 1, la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi dell’articolo 28 qualora siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2, e al fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.

3.Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 51, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 è tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e per soddisfare le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2.

Ora per poter garantire che tale norma sarà rispettata occorre analizzare il processo di trattamento al quale sono sottoposti i rifiuti, se può o meno consistere in una miscelazione così come descritta all'art. 9. Certamente c'è una notevole differenza tra il sottoporre i rifiuti ad una miscelazione ai fini di un smaltimento rispetto a quelli di un recupero, in particolare se di materia. Il fatto che, per esempio, il risultato finale di una miscelazione debba essere portato in discarica ha un significato tutto diverso rispetto ad un riutilizzo dello stesso in luogo di una materia prima, per es. come componente dell'impasto industria dei laterizi e dell'industria di produzione dell'argilla espansa.

Nel primo caso è lampante che la diluizione degli inquinanti comporta ciò che il legislatore voleva evitare, la declassificazione del rifiuto da pericoloso a non pericoloso. Nel secondo caso invece il fatto che gli inquinanti siano ripartiti su una massa più grande è del tutto ininfluente in quanto ciò che conta è l'efficacia inertizzante del processo al quale saranno sottoposti, nel caso citato il trattamento termico. Se questo è ben condotto (e non dovrebbero esservi dubbi a proposito, per l'impresa c'è tutto l'interesse a vendere i mattoni o l'argilla espansa) non vi è più cessione di sostanze all'ambiente.

Questo tipo di controllo ha maggiore efficacia se viene esercitato nella fase istruttoria di una domanda per l'approvazione di un progetto di gestione dei rifiuti. Dovrebbe avere la stessa valenza anche nell'ambito delle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, ma, come detto più volte, questo è un regime normativo che presenta un maggior rischio di evasione rispetto ai precetti di legge, in particolare quando c'è intenzionalità a sfruttarne le falle per fini illeciti. Tutto sta nell'attenzione posta riguardo alle tipologie di trattamento oggetto dell'istanza presentata ai sensi degli artt.27, 28, 31,33 del D.Lvo 22/97, all'approfondimento degli aspetti non sufficientemente dispiegati dalla documentazione presentata e alle formule di rito nella predisposizione dell'atto amministrativo utilizzate per garantire che, con l'avvio dell'impianto, non avvenga qualcosa di indesiderato. In particolare, per questo ultimo punto, si tratta di stabilire con molta precisione a quali regole di comportamento si deve attenere il gestore per non incorrere in una violazione della norma.

Nella scorsa occasione erano state illustrate le prescrizioni tipo tratte da un'autorizzazione della Regione Lombardia, perché potevano costituire un'utile suggerimento nella condizione di dover rilasciare un atto con deroga all'art.9 del D.Lvo 22/97 a prova di reato. Di seguito invece si fornisce un esempio al negativo, di come non dovrebbe essere scritta un'autorizzazione alla gestione dei rifiuti.

"I rifiuti costituiti da terreni provenienti da bonifiche, individuati con il codice CER 170504, classificati come rifiuti speciali non pericolosi, devono rispettare i limiti previsti dalla tabella 1.1 della D.C.I. 27 luglio 1984 per quanto attiene i rifiuti non tossici e nocivi. I prodotti ottenuti dalle operazioni di trattamento destinati al riutilizzo devono rispettare i limiti della tabella 1, colonna A, del D.M.471/99 per quanto attiene ai siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale previa verifica analitica di tutti i parametri rilevati dall'analisi di accettazione."

Come pare immediato arguire il processo di trattamento che sottende tale tipo di prescrizioni si basa sulla miscelazione. Vi sono diversi errori che occorre mettere in evidenza.

Il primo è quello di ricondurre l'accettabilità dei rifiuti in ingresso alle concentrazioni soglia individuate nella Delibera del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984 in applicazione dell'art.4 del D.P.R. 915/82, la prima legge sui rifiuti. Questo rinvio non ha più ragion d'essere in quanto il sistema di classificazione dei rifiuti si basa, dal 1° gennaio 2002, sulla Decisione 532/2000/CE. E' vero che, secondo questa Decisione, le concentrazioni soglia sono applicabili solo per un numero ristretto di codici, un centinaio circa, quelli corrispondenti alle c.d. voci specchio. Per tutti gli altri l'attribuzione avviene secondo lo schema in allegato alla Decisione 532/2000/CE cioè identificando la fonte che genera il rifiuto consultando i titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, in pratica tenendo conto del comparto produttivo da cui si origina e della descrizione più affine, senza necessità di una caratterizzazione analitica (si è già detto che queste modalità di individuazione del codice da attribuirsi al rifiuto lasciano un certo margine alla soggettività dell'interprete contribuendo ad incrementare errori involontari o favorendo coloro che intenzionalmente intendono manipolare la decodifica per fini illeciti).

Tuttavia c'è un'eccezione:

Art.3, Decisione 532/2000/CE

Fatto salvo il disposto dell'articolo 1, paragrafo 4, secondo trattino, della direttiva 91/689/CEE (Ai fini della presente direttiva, si intende per rifiuti pericolosi: - qualsiasi altro rifiuto che, secondo uno Stato membro, possiede una delle caratteristiche indicate nell'allegato III. Tali casi saranno notificati alla Commissione e riesaminati conformemente alla procedura prevista all'articolo 18 della direttiva 75/442/CEE ai fini dell'adeguamento dell'elenco.), gli Stati membri possono decidere in casi eccezionali che un tipo di rifiuto classificato nell'elenco come non pericoloso presenta almeno una delle caratteristiche di cui all'allegato III della direttiva 91/689/CEE. Le decisioni adottate dagli Stati membri sono comunicate alla Commissione ad intervalli annuali. La Commissione esamina e confronta tutte queste decisioni e valuta se occorra provvedere ad una modifica dell'elenco dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi alla luce delle decisioni degli Stati membri.

L'art.3 ha una sua rilevanza: si vuole cioè sottolineare non tanto il fatto che tali indicazioni permettano di transitare liberamente da una classificazione all'altra attraverso la caratterizzazione analitica (possibilità, si ribadisce, riservata alle sole voci specchio), quanto che, in ogni caso, qualora uno Stato Membro della UE volesse proporre modifiche alla definizione di pericolosità di un rifiuto, il sistema di riferimento rimane comunque quello delle concentrazioni soglia indicato all'art.2 e quindi ciò che conta sono sempre le caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto.

Articolo 2

Si ritiene che i rifiuti classificati come pericolosi presentino una o più caratteristiche indicate nell'allegato III della direttiva 91/ 689/CEE e, in riferimento ai codici da H3 a H8 e ai codici H10 (6) e H11 del medesimo allegato, una o più delle seguenti caratteristiche:

  • punto di infiammabilità = 55 °C,
  • una o più sostanze classificate (1) come molto tossiche in concentrazione totale = 0,1 %,
  • una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale = 3 %,
  • una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale = 25 %,
  • una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale = 1 %,
  • una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale = 5 %,
  • una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale = 10 %,
  • una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37, R38 in concentrazione totale = 20 %,
  • una o più sostanze riconosciute come cancerogene (categorie 1 o 2) in concentrazione totale = 0,1 %,
  • una o più sostanze riconosciute come tossiche per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificate come R60 o R61 in concentrazione totale = 0,5 %,
  • una o più sostanze riconosciute come tossiche per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificate come R62 o R63 in concentrazione totale = 5 %,
  • una o più sostanze mutagene della categoria 1 o 2 classificate come R46 in concentrazione totale = 0,1 %,
  • una o più sostanze mutagene della categoria 3 classificate come R40 in concentrazione totale = 1 %.

Nota bene: per identificare la concentrazione soglia della sostanza pericolosa nel rifiuto occorre trasformare il valore percentuale in mg/kg moltiplicandolo per 10.000, per es. una concentrazione dello 0,5% è pari a 5000 mg/kg.

Giova ricordare che tale tipo di classificazione rimanda a quella introdotta per la prima volta con Direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose e successive modifiche, ed in particolare ai preparati pericolosi costituiti da una miscela di due o più sostanze.

Pertanto per identificare la non pericolosità di un rifiuto in modo più oggettivo, anche quando la caratterizzazione analitica non sarebbe richiesta, occorre comunque riferirsi al sistema definito dalla Comunità Europea. E' del tutto in errore chi continua ad effettuare rinvii alla Delibera Interministeriale 27 luglio 1984 ormai non più vigente e soprattutto ad utilizzare l'antica definizione di "rifiuto tossico-nocivo" definizione che è stata sostituita nella legislazione più recente, D.Lvo 22/97 e successive modifiche, dal termine "pericoloso".

Un secondo errore, più grave, è nel rendere ammissibile una diluizione degli inquinanti in un processo che, non solo non ha alcuna efficacia inertizzante, ma con il quale si prevede di destinare il prodotto finale dalla miscelazione ad un recupero ambientale. Questa è l'unica spiegazione del rinvio alla tabella 1, colonna A, del D.M.471/99 per quanto attiene ai siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. In sostanza una elevata contaminazione alla fonte viene ridimensionata ai valori di accettabilità di un suolo ancora "vergine" grazie alla scoperta dell'acqua calda, cioè solo e soltanto sfruttando le potenzialità della miscelazione ergo della diluizione.

Per comprendere meglio si presenta il seguente esempio. Immaginiamo un rifiuto che contenga in origine una concentrazione di una sostanza pericolosa inferiore al valore soglia stabilito dalla Decisione 532/2000/CE, per es. il piombo. Il valore soglia è di 5000 mg/kg, il nostro rifiuto contiene 1500 mg/kg di piombo, quindi in concentrazione tale da poterlo classificare come "non pericoloso". Nel nostro impianto ne sono state stivate 100 tonnellate per essere sottoposte a trattamento. Per conoscere il rapporto di diluizione andiamo alla tabella 1, colonna A, del D.M.471/99. I terreni ad uso verde pubblico, privato e residenziale sono da non considerarsi contaminati quando la concentrazione del parametro piombo è inferiore a 100 mg/kg.

Ergo attraverso una diluizione pari a circa 15 volte il peso originale è possibile riconsegnare integralmente il nostro rifiuto ad un uso del tutto lecito (come da autorizzazione), per es. per una ricomposizione ambientale. Peccato che, in questo modo, siano stati immessi in ambiente, con libertà di inquinare, un totale di 100.000 x 0, 0015 = 150 kg di piombo.

Conclusioni

Se il processo di trattamento al quale è sottoposto il rifiuto non è tale da garantire che le sostanze pericolose vengano in qualche modo neutralizzate, è necessario porre estrema attenzione nel rilascio di un atto amministrativo al fine di non incorrere nell'errore di rendere lecita una attività di miscelazione vietata ai sensi dell'art.9 del D.Lvo 22/97.

Il rischio è massimo in occasione di particolari impianti quali quelli di recupero inerti, in quanto attraverso la macinazione non si esercita nessun tipo di azione inertizzante nei confronti di eventuali sostanze pericolose contenute nei rifiuti trattati, anzi, l'effetto è piuttosto il contrario dal momento che in questo modo aumenta considerevolmente lo scambio con l'ambiente.

A maggior ragione deve preoccupare quell'attività di gestione rifiuti che, autorizzata per miscelare rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti sostanze o materiali, ottiene di poter riutilizzare in toto o in parte il prodotto finale in ambiente aperto a condizione che lo stesso non sia più contaminato di un terreno ad uso residenziale. Il rispetto della forma, in questo caso, non è per niente in equilibrio con la tutela dell'ambiente.

P.S.: un ringraziamento alla Provincia di Modena grazie al cui aiuto è stato possibile approfondire ulteriormente l'argomento.

 

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