interventi
7 febbraio 2004

All''Arpa Emilia-Romagna, assieme alla Regione di appartenenza, dobbiamo una due giorni dedicati al tema dei controlli ambientali, una prima occasione full-time dedicata all'argomento. E' la Raccomandazione 2001/331/CE sulle ispezioni ambientali negli Stati Membri e il fatto che questa verrà presumibilmente tradotta in un regolamento interno, ad aver motivato l'iniziativa. Un plauso dunque all'attualità del tema e al tempismo degli organizzatori. Il convegno si è tenuto in quel di Bologna il 5 e 6 febbraio scorso. La cronaca che segue è basata sugli appunti presi a mano, con un ampio margine di tolleranza circa la fedeltà alle opinioni espresse dai relatori. Si chiede pertanto venia.

La discussione su come devono evolvere i controlli ambientali nel nostro paese è ormai nell'aria da diverso tempo, fin da quando il Parlamento raccolse i risultati del referendum nel 1993 e, l'anno seguente, tradusse la volontà popolare in una legge che istituiva il sistema delle Agenzie di Protezione Ambientale, con un livello nazionale (ANPA, ora APAT) coordinato a quello regionale, le ARPA appunto. Ma il convegno non è stato solo il momento giusto per aprire una riflessione sulla qualità e quantità dei controlli, su come hanno lavorato le istituzioni per dare avvio a questa importante riforma che ha riconosciuto al tema ambiente una sua precisa fisionomia proprio a partire dalla reingegnerizzazione delle strutture preposte alla sua tutela. Si è colta anche la necessità di rileggere la dinamica di questa evoluzione alla luce delle frenetica normazione europea che ci richiama ad attuare strategie sempre più innovative come la prevenzione e il controllo integrato (IPPC), la valutazione di impatto ambientale di piani e programmi, lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, la produzione di energia da fonti convenzionali e rinnovabili. Il problema vero, che a tratti è stato sollevato nel corso dell'evento, è che l'evoluzione dei controlli è un passaggio obbligato del nostro sistema paese il quale, se vuole mantenere una sua credibilità all'interno delle istituzioni europee, deve poter dimostrare di possedere le risorse per mettere in applicazione queste strategie, di essere in grado di sostenerle e, quando richiesto, di descriverne i risultati sottoforma di dati reali ed informazioni efficaci senza il rischio di cadere nel ridicolo.

Nella prima giornata, dopo l'apertura della regione ospite, ha esordito il rappresentante del Ministero dell'Ambiente. Nell'intervento è stato sottolineato come le differenze nell'applicazione di leggi e regolamenti siano dovute anche al diverso grado di efficacia dei controlli. Queste differenze si traducono anche in un difetto di concorrenza a causa degli oneri che si abbattono in misura maggiore o minore sulle aziende. A livello europeo si è quindi deciso di costituire una rete informale tra le strutture di controllo dedicate alle ispezioni ambientali, IMPEL (European Union Network for the Implementation and Enforcement of Environmental Law), la quale fosse in grado di raccogliere gli elementi comuni all'agire del personale dedicato ai controlli in modo da uniformarne l'approccio, le conoscenze, gli strumenti d'azione. E' ad IMPEL che si deve tutto il lavoro svolto per poter predisporre la Raccomandazione 2001/331/CE sulle ispezioni ambientali. Il Parlamento Europeo avrebbe voluto una Direttiva, ma gli Stati Membri si sono opposti. Anche questo aspetto è significativo della estrema delicatezza toccata dall'argomento. Una direttiva costringe gli Stati Membri a ripensare le loro strutture in funzione dei principi e dei criteri fissati, il che può costituire un problema laddove vi sia una frammentazione delle competenze o quando è irrisolta la questione della scelta tra controllo pubblico e controllo affidato a soggetti terzi indipendenti o nelle condizioni in cui non vi è né l'uno né l'altro. Infine la raccomandazione prefigura l'abbandono dei controlli "spot" promuovendo il principio della loro pianificazione, stabilisce i criteri minimi perché le ispezioni assumano connotati di ordinarietà contro l'abuso dell'improvvisazione e dell'emergenza.

Si è poi passati ad esaminare la situazione del nostro paese e a rilevare come non esista un'unica autorità competente in materia di ispezioni ambientali, ma più soggetti facenti capo a livelli e gerarchie diverse. Da una parte i Comandi dei Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente, la Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, le Capitanerie di Porto, appartenenti al livello nazionale e dipendenti dalle amministrazioni centrali. Dall'altra le Arpa e le Polizie Provinciali o Municipali, enti strumentali delle regioni e degli enti locali. Nel novero sono state inserite anche le Agenzie delle Dogane per i controlli sui combustibili.

Tuttavia, raccogliendo i dati sulle attività, si può notare come solo alcuni di questi soggetti svolgono ispezioni ambientali come compito primario, per il resto si tratta di compiti residuali. Di seguito è stata fornita l'elaborazione del 2002.

N° impianti

ARPA

CCTA

Guardia di Finanza

Corpo Forestale

988.293

32.155

4.277

678

59.555

La tabella non ha mancato di suscitare più di una perplessità in sala, anche se il Ministero si è giustificato per eventuali errori a causa della difficoltà di trovare i dati sulle ispezioni e di poterli elaborare secondo stime credibili. In effetti è molto difficile giustificare la mancanza di un sistema coordinato di raccolta dei dati di attività sui controlli ambientali da parte dell'istituzione centrale, considerato il tempo trascorso da quando all'ambiente è stato dedicato un ministero (dal 1986 sono 28 anni). Né i numeri riportati possiedono un minimo di credibilità se si pensa che solo ARPA Emilia-Romagna è in grado di effettuare 17.000 ispezioni/anno. Né sono da meno le altre Agenzie Regionali le cui elevate statistiche di attività si possono facilmente reperire sui siti web o nelle relative pubblicazioni annuali. Sulla modalità di contabilizzazione di queste ispezioni si dovrebbe poi aprire un'approfondita analisi in quanto non è difficile che, nella totale autonomia di scelta di parametri e indicatori, si sia finito "per dare i numeri", con la precisione che possiamo immaginare.

A seguire è stato l'intervento della rappresentante della Regione Piemonte, regione capofila nella materia ambientale. Questa ha ricostruito i passaggi attraverso i quali sono state istituite le Agenzie di Protezione Ambientale e i principi ispiratori della riforma istituzionale. Si chiedeva unitarietà al sistema dei controlli perché solo attraverso una visione unitaria dei vari temi che compongono l'ambiente il governo del territorio poteva trovare la strategia più adeguata nell'ambito di un rapporto costi-benefici che non presentasse deficit di conoscenze o di analisi. Per questo il nuovo organismo doveva nascere con i caratteri della multidisciplinarietà nei saperi scientifici e affrontare le tematiche della salvaguardia ambientale in un ottica culturale che muovesse dalle conoscenze tecniche, non solo giuridiche. Non più un approccio formale (burocratico), né poliziesco, ma un controllo che si potesse alimentare di nozioni ed informazioni per poi dedurne degli indicatori. Solo chi ha una conoscenza approfondita del territorio e delle sue fragilità è nelle condizioni di modificare metodi e comportamenti formali per andare alla sostanze delle cose e, in un processo osmotico, restituire ciò che si è conosciuto. Questo è stato lo spirito che ha mosso le regioni nel fornire il proprio contributo alla redazione della L.61/94. In 180 giorni dovevano essere istituite le Arpa, c'è voluto di più, ma alla fine è possibile dire che il processo si è finalmente compiuto ed è ormai irreversibile. Accanto a questo processo se ne è consolidato un altro, quello del progressivo affidamento di competenze amministrative sulle materie ambientali alle province e, anche se vi sono ancora sacche di resistenza in alcune regioni italiane, non v'è dubbio che il futuro attende la costituzione di un unico polo di riferimento sul territorio rappresentato da due interlocutori principali, Arpa e Province. E' grazie anche ad un percorso unitario nelle competenze amministrative che si potrà sempre di più contare sulla semplificazione indotta dalla conduzione ad uno dei procedimenti e dei provvedimenti finali. Infine la rappresentante della regione si è detta disponibile alla redazione di regolamenti nazionali per la definizione di criteri minimi per le ispezioni ambientali senza che tuttavia questi possano diventare troppo restrittivi o perentori in quanto chi deve decidere come pianificare i controlli deve essere tutt'uno con il territorio e quindi dalle caratteristiche di quest'ultimo, in ultima analisi, far dipendere le scelte. Non si è mai sentito che queste decisioni siano efficaci quando astrattamente prese. La disponibilità c'è anche per la stesura di protocolli di collaborazione con gli organi dello Stato, in modo da garantire un coordinamento sulla materia, senza tuttavia che questo vada a detrimento dei compiti delle Arpa il cui principio base è la prevenzione e non la repressione, è l'analisi dei problemi e l'individuazione delle possibili soluzioni, non la ricerca a tutti i costi delle sanzioni.

L'intervento dell'APAT, l'Agenzia Nazionale, si è soffermato sulla distinzione tra vecchio approccio e nuovo approccio ai controlli ambientali. Il primo è contraddistinto da un'attività ispettiva che si compie a valle dei processi, il secondo invece richiede che questa sia prima preparata a monte. Nel primo tipo vengono annoverati tutti quei controlli non programmati che sono frutto di segnalazioni ed esposti, che si esplicano limitatamente al fatto circoscritto, che hanno soprattutto una valenza repressiva e che non sollecitano alcuna collaborazione dal soggetto controllato, spesso chiuso a riccio in un comportamento a difesa. Se sono effettuate misure queste consegnano dati di nessun valore perché non si è in grado di conoscere se quel risultato è frutto della casualità, mente dovrebbe invece costituire una rappresentazione reale dell'effetto prodotto. L'evoluzione dei controlli ambientale presuppone invece che le ispezioni siano prima preparate a tavolino e che a questa preparazione, come alla sua successiva attuazione, si applichi un team preferibilmente multidisciplinare in grado di cogliere tutte le problematiche generate da un determinato impianto o installazione. Non più quindi un controllo basato sull'improvvisazione, ma su una accurata progettazione, in modo non solo da cogliere tutti gli effetti connessi alle "pressioni" presenti, ma di poterli restituire sottoforma di informazione corretta e continua nel tempo. Altra importante novità sottolineata dall'APAT la possibilità di effettuare ispezioni annunciate, cioè previa comunicazione alle imprese da sottoporre a controllo, in quanto si ritiene indispensabile che questa collabori prestando dati e informazioni che devono essere richieste in sede di sopralluogo. Inoltre ogni tipo di controllo deve consegnare più informazioni: per es. con quello amministrativo si deve pervenire ad un bilancio tra materie prime e consumo di risorse, con quello tecnico-gestionale ad una maggiore conoscenza sul funzionamento di un processo, infine quello analitico che deve arrivare a considerare l'incertezza della misura. Insomma si deve cercare di disegnare una nuova figura di ispettore ambientale da non confondere con il "fenotipo" dell'ufficiale di polizia giudiziaria. Una figura professionale dotata di una indispensabile cultura tecnica, con una preparazione adeguata al campo di attività nell'ambito in cui lavora, sempre aggiornata sui cicli di produzione, portata alla discussione e alla integrazione, in grado di lavorare in team e di redigere relazioni esaustive e approfondite sulle imprese che visita semestralmente.

Anche in questo caso si è colta in sala qualche perplessità circa il target della relazione: considerato che l'uditorio era costituito da una maggioranza di tecnici delle agenzie regionali il cui approccio alle attività di ispezione è da sempre improntato alla pianficazione e alla preparazione dei controlli (la predisposizione del programma annuale di attività è richiesto dalle leggi istitutive) l'argomento poteva essere trattato con un po' meno di condiscendenza. Anche il riferimento alle visite annunciate come prassi del "perfetto ispettore ambientale" è sembrata una leggerezza a fronte dell'esasperazione alla segreto che contraddistingue le forze di polizia e al fatto che non poche volte un rapporto consolidato tra imprese e pubblici funzionari viene guardato con sospetto, se non, purtroppo, sanzionato.

Le ultime relazioni sono state quelle del rappresentante dell'Unione delle province italiane (UPI) e di Confindustria. Il primo ha rimarcato i compiti di controllo amministrativo sempre più numerosi affidati alle province, ma nello stesso tempo anche l'attività di promozione ed incentivazione alle imprese affinchè queste si dotino di una sistema di gestione ambientale entrando nella certificazione Emas o ISO 14001. Sotto l'aspetto del cordinamento delle forze in campo l'estrema necessità, per quanto da gestire con molta attenzione, di una maggiore collaborazione tra i vari soggetti istituzionali dediti ai controlli in modo che le attività siano sempre più pianificate senza che si creino problemi di sovrapposizione o di diversa interpretazione con grave danno alle imprese. Anche Confindustria ha rimarcato gli annosi problemi di applicazione delle leggi che si ripetono ad ogni latitudine in modi sempre diversi. Sono stati sottolineati gli sforzi compiuti dall'industria in termini del tutto volontari per adeguare i propri impianti alle condizioni tecnicamente più avanzate sul mercato. Così come si è voluto sottolineare l'importanza di affidare al mercato stesso il compito di esercitare i controlli di legge. Altre proposte riguardano la formazione dei tecnici che non può prescindere da un rapporto più stretto con chi lavora nelle imprese il che porterebbe ad un prezioso arricchimento da entrambi le parti in gioco. Confindustria ha lamentato che il tema dei mancati controlli è anche un tema di concorrenza sleale tra imprese che si adeguano alle norme e imprese che lavorano nel sommerso senza alcun onere.

Alla fine della prima giornata è stato quindi dato spazio alla discussione e alle domande dal pubblico. Qualcuno ha sottolineato l'assenza di un attore importante al tavolo dei relatori, la magistratura. Da questo punto di vista non si può che riconoscere all'ente organizzatore la serietà di questa difficile scelta, quella cioè di non invitare né giuristi né pubblici ministeri, scelta che peraltro è solo rimandata ad un occasione a venire. Troppo spesso i convegni che trattano questioni ambientali sono dominate dal codice di procedura penale e dai compiti dell'ufficiale di polizia giudiziaria. Per una volta era necessario discutere di quello che è il ruolo dell'ispezione ambientale, trascendendo dalle relazioni obbligate con commi e capoversi dell'ordinamento, spendendo tutte le possibili riflessioni su aspetti troppo spesso rimasti ingiustamente all'ombra, che sono altrettanto importanti o che, nella prospettiva di un'evoluzione attesa, devono diventarlo.

Alcune domande sono state formulate da rappresenti del mondo della ricerca (il convegno si teneva nell'aula magna del CNR a Bologna): cosa si intende per controllo integrato, che ruolo ha la formazione? Il fatto che la preparazione del lavoro si concentri sempre di più sul processo produttivo e sempre di meno sull'interpretazione dei codici presuppone che il tecnico conosca i fondamenti delle diverse discipline. Inoltre il passaggio da una cultura della forma ad una della sostanza può contribuire a rendere più concreti certi slogan che oggi vengono utilizzati a sproposito o senza alcun convinzione come la "variabile ambientale".

Sulla formazione: APAT terrà un corso in un futuro prossimo aperto agli ispettori ambientali. Accanto alle nozioni giuridiche di base saranno particolarmente curate le conoscenze tecniche che verteranno sulle caratteristiche del ciclo produttivo e degli effetti ambientali di alcuni dei comparti industriali più rappresentati nel nostro paese. In questo modo si potranno formare ispettori specializzati.

Sul piano dell'applicazione: l'approccio spostato sul controllo-conoscenza e i risultati che può consegnare sono elementi indispensabili come supporto alle decisioni. Anche il rilascio di una autorizzazione è una decisione che non può prescindere da una conoscenza dei fattori di pressione generati da quell'impianto o quella lavorazione. E' un processo di scambio, che si autoalimenta. Maggiori e più precise sono le informazioni tratte dai controlli, migliore è l'autorizzazione emanata. Una buona autorizzazione rappresenta le fondamenta per garantire una maggiore efficacia nel controllo.

A conclusione della giornata merita di essere riportato per sommi capi, con le premesse fatte circa la scarsa fedeltà degli appunti a mano, l'intervento del Direttore Generale di Arpa Toscana. Suscitando non poche reazioni, la maggiorparte delle quali positive se non entusiastiche, questi ha sollevato diverse questioni rimaste tra il non detto. Quella per esempio del mancato completamento del sistema dei controlli rispetto alle ambizioni della L.61/94 accanto alla incerta traduzione di una nuova cultura che avrebbe dovuto accompagnarli. E stata auspicata la stesura di un libro bianco. Inoltre il fatto che il nostro paese strascica le direttive comunitarie, non le applica mai perché si stiracchiano i tempi rimandando sempre avanti il momento della verità. L'esempio della direttiva IPPC è ormai noto a tutti: c'è un sistema produttivo che non vuole trovarsi altri oneri nella difficile congiuntura che si sta attraversando. C'è un problema di lettura dei fenomeni che avvengono sul territorio e dei modi che si scelgono per rappresentarli. Si finisce per essere ripresi dalla Comunità Europea a causa dei censimenti effettuati dal Corpo Forestale dello Stato in base ai quali risulta che siamo sommersi da discariche abusive quando invece si tratta di abbandono di rifiuti. Senza dire che tocca poi alle Arpa andarle a rivedere con quel che ne consegue sotto il profilo dell'impegno distolto da temi ben più impattanti. C'è poi necessità di chiarezza: le competenze nella materia dei controlli ambientali è delle amministrazioni alle quali le leggi dello Stato le hanno affidate, sono queste i titolari. Non sono gli organi di controllo o della polizia giudiziaria. Le competenze sono di chi ha il governo del territorio e non di altri. Sono questi che causano la sovraesposizione delle Arpa e degli altri organi di controllo in concomitanza di allarmi sociali derivanti da tematiche ambientali. E' l'atteggiamento di rinuncia di chi dovrebbe invece mettersi in prima fila perché gli spetta l'onere, non solo l'onore, del governo territoriale. Se ci si trova additati quando sorgono tanti problemi vuol dire che gli enti del territorio si sono tirati indietro. Sul comando e controllo non possono esserci arretramenti. Se si scrivono delle regole bisogna poi farle rispettare. Ma se ci si crede nei nuovi principi dettati dalle strategie comunitarie si devono sciogliere le vecchie prassi. Abbisognano nuove figure professionali, ma deve essere rigettata la gerarchia terminologica dell'ispettore. Quello che manca è l'integrazione tra i diversi profili, mancano anche i profili. In una situazione di scarsità di risorse si deve prima di tutto recuperare la qualificazione, ma questo è una scelta di chi governa, di priorità nell'assegnazione degli stanziamenti. Anche la trasparenza è un tema importante. Le relazioni devono essere estensibili al pubblico. C'è la convenzione di Aarhus da rispettare. Eppure ci si deve chiedere quale sia la nostra tradizione, questa abitudine alla segretezza, non si divulga alcunchè, figurarsi i risultati delle ispezioni. E' una resistenza con la quale si dovrà fare i conti. Così come per il rapporto con la magistratura che non può essere a senso unico o addirittura esclusivo. Il sistema dei controlli ambientali è stato istituito al servizio degli enti territoriali, non delle procure.

La giornata si è chiusa con l'analisi dei costi dei controlli effettuata da Arpa Emilia-Romagna. Il Direttore di ARPA E.R. si è soffermato su un aspetto sul quale spesso si sorvola quasi ne fosse scontata la garanzia. Invece l'argomento è quanto mai pregnante alla luce proprio della richiesta di una maggiore prevalenza del dato ambientale ottenuto con sistematicità, periodicità e precisione, tutte requisiti che sottintendono l'uso e la disponibilità di risorse economiche, di strumentazioni e di personale professionalmente preparato che oggi non ci sono o sono molto scarsi. Secondo le ultime leggi comunitarie i costi dei controlli sull'applicazione delle direttive UE sono posti a carico del sistema delle imprese. E' venuto il momento di riconoscere alle istituzioni pubbliche connotate da un rigore tecnico-scientifico, e che per questo assicurano un valore aggiunto in termini di dati ambientali, il necessario ristoro delle spese sostenute.

Il giorno successivo si è aperto con l'intervento di una rappresentante dell'IMPEL, il forum di cui si è già detto.

Tra i relatori meritevoli di particolare menzione il rappresentante dell'APAT il quale ha discusso al meglio la corretta metodologia di lavoro di chi ha assegnato compiti di controllo, a partire dalla fase, propedeutica e formativa allo stesso tempo, dell'istruttoria. E' riconosciuto a livello comunitario che un contributo indispensabile all'esame delle pratiche ambientali debba necessariamente venire dall'organismo al quale sono poi affidati i compiti delle verifiche in campo. Il contributo è speso per una migliore valutazione delle condizioni esistenti e per la correzione delle prescrizioni autorizzative nel senso di un adattamento alle circostanze presenti. Come si è detto una buona autorizzazione è anche la premessa ad un buon controllo. Il controllo integrato che richiede la Comunità Europea non è solo l'evoluzione del sistema delle ispezioni ambientali, ma anche quella delle autorizzazioni alla quale il primo è indissolubilmente legato.. Il vero momento dell'integrazione avviene a monte dell'ispezione: la valutazione integrata degli effetti, l'esame delle migliori tecnologie, l'analisi delle condizioni locali. Questo nuovo procedimento comporta profili di complessità tecnica e organizzativa che devono essere attentamente applicati e a questi si accompagna la partecipazione del pubblico. La pubblica amministrazione deve imparare a confrontarsi con più soggetti, c'è un ambito di mediazione, c'è la negoziazione che prende il sopravvento rispetto alla mera attuazione della norma perché il principio che si persegue è la ricerca di un equilibrio tra le migliori tecniche disponibili e la loro accessibilità economica.E' una rivoluzione nei rapporti.

E' stata quindi descritta l'attività dei GTR, gruppi tecnici ristretti, che a livello nazionale stanno lavorando per la stesura delle linee guida in materia di migliori tecnologie disponibili sui settori produttivi toccati dalla direttiva IPPC. Per ora sono state redatte 7 linee guida. E' importante sottolineare come la complessità del lavoro dei GTR, già alta a causa degli argomenti trattati, sia vieppiù accresciuta per la scarsa disponibilità di dati ambientali affidabili o per le modalità di espressione e di misura che spesso non coincidono con quelli utilizzati comunemente a livello comunitario.

Anche in questo caso non ci si può sorprendere: salvo le solite eccezioni, al nostro tessuto produttivo non è mai stato richiesto di analizzare sistematicamente le pressioni ambientali generate dai propri impianti, per es. richiedendolo in una qualsiasi autorizzazione, anche perché spesso è proprio l'assenza di autorizzazioni espresse ad averne vanificato le intenzioni sul nascere. All'alba del nuovo millennio sopravvivono ancora le autorizzazioni tacite del 1979. Questo è uno dei tratti negativi che distingue l'amministrazione del bene ambiente nel nostro paese rispetto al Nord Europa. Non a caso l'Italia è stata assai scarsamente rappresentata nel contesto dei WTG riuniti a Siviglia per la predisposizione dei documenti di riferimento per le migliori tecnologie disponibili.

Arpa Emilia-Romagna ha sottolineato il grande lavoro di cucitura che ci attende a partire dall'applicazione della direttiva IPPC a quella che sarà la traduzione del protocollo di Kioto fino al programma di riduzione dei solventi emessi dai grandi impianti di verniciatura e simili.

Il Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente ha portato l'esempio di come vengono attivati i controlli sul territorio, tra obiettivi strategici e piani tattici, su quali forze l'Arma può contare e quali risorse tecnico-strumentali sono disponibili a livello nazionale. Sono state descritte le risultanze di alcune campagne di attività tra le quali la più riuscita è quella conosciuta come "Mare Pulito". Peccato che in questi resoconti ci si dimentichi spesso di citare il supporto indispensabile delle strutture agenziali (campionamenti e analisi) senza il quale ben difficilmente si può concludere alcunchè circa il rispetto di limiti e valori-guida.

Con gli ultimi interventi dei rappresentanti della Sanità e di Federchimica si è chiusa quindi la parte dedicata alle relazioni.

Si è aperta la discussione che, tuttavia, per l'ora tarda non ha coinvolto come nell'occasione della giornata precedente. Meritevole di essere ricordate sono le osservazioni di un operatore Arpa circa i problemi della formazione continua che non si possono avvalere degli apporti sul fronte privato a causa di una diversa dinamica del lavoro che contraddistingue il nostro paese, dove più alti sono gli ostacoli al passaggio naturale da una realtà all'altra. Così come è stato descritta l'arretratezza tecnica della nostra regolamentazione che soffre di un ritardo abnorme a causa delle esclusive modalità di emanazione tramite Gazzetta Ufficiale, mentre nel resto d'Europa i Parlamenti si limitano a stabilire i principi generali e le strutture tecniche sono demandate all'aggiornamento periodico dei criteri e degli standard la cui diffusione avviene ormai in presa diretta attraverso il www.

Conclusioni

Il convegno ha presentato diversi punti di eccellenza accanto a numerose cadute di tensione, quest'ultime legate sia ad alcune superficialità con cui sono stati trattati temi importanti che a vere e proprie difficoltà di "tenuta" del relatore. Considerato che è la prima occasione in cui si dibatte il passaggio fondamentale nell'evoluzione dei controlli ambientali qualche "cedimento" doveva essere messo in conto. Sarà meglio la prossima volta. Tuttavia più di un dubbio è rimasto agli addetti ai lavori che hanno partecipato al convegno. Quello più diffuso riguarda la sopravvivenza del controllo inteso nella sua accezione tipicamente "predatoria", termine che viene utilizzato per indicare la ricerca dei reati fine a se stessa. A causa della difformità manifesta con i principi introdotti dalla Raccomandazione 2001/331/CE verrebbe da pensare che un simile approccio debba essere prevalentemente riservato al più grave fenomento della criminalità ambientale, tra traffici illeciti e scempio del territorio. L'impressione è invece se le amministrazioni centrali, dalle quali dipende la maggiorparte delle forze in campo, non investiranno sulla formazione del personale nel senso richiamato dalle disposizioni europee questo rimarrà l'assetto dominante anche nei riguardi della parte sana della società. Il dubbio è che la cultura del sospetto e la punizione esemplare (più una minaccia che una realtà) continuino a rappresentare i principi ispiratori dell'attività di controllo. Come si vede non è un dubbio da poco.

 

Letture correlate:

Le ispezioni ambientali secondo l'Unione Europea

Le istituzioni latitano, i controlli non funzionano, gli inquinatori prosperano

 

 

 

 

 

 

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