leggi e sentenze
25 settembre 2004

Nei commenti relativi alle proroghe emanate per lo spostamento in avanti della scadenza per la presentazione delle domande di rinnovo autorizzativo agli scarichi esistenti di acque reflue industriali si è posto spesso l’accento sul rischio relativo alla possibilità di un condono generalizzato per quegli scarichi relativamente ai quali non è mai stata emessa alcuna autorizzazione. A questo proposito la Corte di Cassazione si è già espressa ritenendo che il significato della specifica "ancorchè non autorizzati" si riferisca a quegli scarichi che le disposizioni antecedenti al D.Lgs 152/99 non sottoponevano ad alcun obbligo di autorizzazione. Sostanzialmente quindi gli scarichi di acque domestiche.

La preoccupazione di chi scrive rispetto alla prassi delle proroghe è invece un’altra.

Con il rinvio delle scadenze non possono scattare i termini per sottoporre gli scarichi di acque reflue industriali ad una istruttoria approfondita nel corso della quale l’esame della documentazione prodotta deve essere svolto con precisione ed accuratezza rispetto a diversi temi: il tipo di processo dal quale le acque si originano, la possibile presenza di sostanze pericolose, la separazione dalle acque di raffreddamento e delle acque di prima pioggia, l’individuazione planimetrica delle reti di adduzione, le caratteristiche dell’impianto di depurazione, i sistemi di sorveglianza e di allarme, la tenuta dei manufatti, le periodicità di manutenzione, l’efficacia depurativa, il destino dei fanghi, l’accessibilità al pozzetto di prelievo, la necessità di misuratori di portata e di campionatori in continuo ecc.

Per effettuare controlli rigorosi è indispensabile avere una conoscenza di tutti i fattori che contribuiscono alla formazione dello scarico, sia ordinari che straordinari.

Ebbene questa doverosa attività di valutazione della domanda, che costituisce sostanzialmente una revisione del processo che dà origine allo scarico, non potrà partire fino al momento in cui la scadenza di legge non opererà una volta per tutte. Procrastinare questa data significa lasciare le cose come stanno, cioè a come sono state esaminate ai tempi in cui è stata presentata la prima domanda, il che può facilmente essere avvenuto qualcosa come 20-25 anni fa.

Il problema è proprio questo: contrariamente a quanto disponevano fin dal 1976 le direttive comunitarie sulla tutela delle acque dall’inquinamento, nel nostro Paese la prassi del rinnovo degli atti autorizzativi ogni quattro anni non è mai entrata in vigore, questo almeno fino al 1995, dopo uno dei tanti procedimenti d’infrazione sollevati all’indirizzo del Governo allora in carica.

Nel 1995 il D.L. 17 marzo 1995, n. 79, convertito dalla legge 17 maggio 1995, n. 172 dispone all'art. 7, che entro sei mesi (1° dicembre 1995) dalla entrata in vigore della legge di conversione (coincidente questa con il 1° giugno 1995), le autorità competenti avrebbero dovuto provvedere al riesame delle autorizzazioni allo scarico, con priorità per quelle rilasciate in forma tacita ai sensi dell'art. 15 della legge "Merli". Prevede inoltre che "le autorizzazioni devono essere rinnovate ogni quattro anni".

Non c’è bisogno di effettuare una ricerca in grande stile per dimostrare che, nella maggiorparte dei casi, il riesame delle autorizzazioni in essere, comprese quelle rilasciate in forma tacita, non è mai avvenuto.

La sentenza che si pubblica appresso ricostruisce esattamente quella che è una condizione probabilmente comune a tante imprese in possesso di un’autorizzazione allo scarico rilasciata negli anni ’80-‘90 o, peggio ancora, mai rilasciata in forma espressa, sebbene richiesta, ma in forma tacita. E la ricostruzione operata dalla Cassazione non può che concludere per un’assoluzione di coloro i quali si trovano ancora con autorizzazioni rilasciate nei tempi che furono.

Questo significa che, in tutti questi anni, e per i successivi al 1995, la non utilizzazione dello strumento formale di revisione degli atti autorizzativi ha di fatto bloccato ogni possibilità di miglioramento nel processo di formazione degli scarichi industriali, sia alla fonte che alla "fine del tubo". E qui che si sono perse tante occasioni per ridurre i carichi sversati nei corpi recettori o correggere le superficialità con cui sono state emesse le prime autorizzazioni, o peggio, non emesse.

Questa è la storia infinita delle autorizzazioni allo scarico nel nostro Paese.

CORTE DI CASSAZIONE, III Sez. pen.

Sentenza 5 maggio 2004, n. 21046

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 19 settembre 2002 il Tribunale di Ragusa - Sezione distaccata di Vittoria affermava la penale responsabilità di A.G. in ordine al reato di cui:

- all'art. 59, D.Lgs. n. 152/1999 (per avere - quale gestore di un servizio di lavanderia - effettuato scarichi di acque reflue industriali con autorizzazione scaduta - acc. in Vittoria, fino all'8 novembre 2000) e la condannava alla pena di euro 1.032,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputata, la quale - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito la violazione del regime transitorio introdotto dall'art. 62, 11° comma, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, che concede ai titolari degli scarichi esistenti un termine per adeguarsi alla disciplina introdotta dallo stesso testo normativo.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

1. Il Tribunale ha ritenuto che - nel caso in esame - l'autorizzazione, rilasciata il 24 febbraio 1992, era scaduta all'epoca dell'accertamento, evidenziando altresì che non era stata presentata domanda di rinnovo.

L'affermazione di intervenuta scadenza è errata ed in proposito deve rilevarsi che:

- nel regime della legge 10 maggio 1976, n. 319 le autorizzazioni allo scarico non avevano una durata predeterminata;

- il D.L. 17 marzo 1995, n. 79, convertito dalla legge 17 maggio 1995, n. 172 dispose, all'art. 7, che entro sei mesi (1° dicembre 1995) dalla entrata in vigore della legge di conversione (coincidente questa con il 1° giugno 1995), le autorità competenti avrebbero dovuto provvedere al riesame delle autorizzazioni allo scarico, con priorità per quelle rilasciate in forma tacita ai sensi dell'art. 15 della legge "Merli"; previde altresì che "le autorizzazioni devono essere rinnovate ogni quattro anni";

- ai sensi dell'art. 45, comma 7, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (salvo quanto previsto dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 372 in ordine alla disciplina relativa all'autorizzazione integrata ambientale), l'autorizzazione allo scarico è valida per quattro anni dal momento del rilascio ed un anno prima della scadenza ne deve essere richiesto il rinnovo. Se tale richiesta è stata tempestivamente presentata, lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione, nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento.

Nella specie non risulta contestato né accertato che lo scarico in oggetto contenesse "sostanze pericolose di cui all'art. 34" del D.Lgs. n. 152/1999, poiché in tal caso il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza e, trascorso inutilmente tale termine, lo scarico deve cessare immediatamente.

2. L'art. 62, 11° comma, del D.Lgs. n. 152/1999 consentiva, sia nella formulazione originaria sia dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258:

- ai titolari degli "scarichi esistenti" (ed ai titolari di scarichi per i quali l'obbligo di autorizzazione preventiva era di nuova introduzione) di adeguarsi alla nuova disciplina entro tre anni (ossia entro il 13 giugno 2002) dalla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. (13 giugno 1999);

- ai titolari degli "scarichi esistenti ed autorizzati" di procedere alla richiesta di autorizzazione in conformità alla nuova normativa allo scadere dell'autorizzazione e comunque non oltre quattro anni dal 13 giugno 1999 (13 giugno 2003).

Un orientamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema affermò che dovevano considerarsi "scarichi nuovi" non soltanto quelli realizzati in senso fisico dopo l'entrata in vigore della nuova legge ma anche quelli "mai autorizzati anche se preesistenti", mentre dovevano considerarsi "esistenti" solo quegli scarichi che, alla data del 13 giugno 1999 fossero in regola con la disciplina autorizzatoria previdente (vedi Cass., Sez. III: 14.6.1999, Masiello; 14.6.1999, Scrocca; 6.7.1999, Maggese; 28.9.1999, Di Liddo; 8.11.1999, Porcu; 16.2.2000, Scaramozza).

Tale orientamento giurisprudenziale è stato recepito, quindi dal legislatore e, con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258, la definizione di "scarico esistente" è stata inserita tra quelle di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 152/1999, alla lettera cc-bis), ricomprendendo in essa gli scarichi:

- di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente;

- di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data siano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all'assegnazione lavori;

- di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativi previgente;

- di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati.

Il legislatore, dunque, ha distinto la "esistenza giuridica" da quella meramente fisica e materiale degli scarichi e considera "non esistenti" al momento di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/1999, anche quelli in esercizio ma non autorizzati.

Ne consegue che:

- gli scarichi che, alla data del 13 giugno 1999, erano in violazione di legge sotto il regime della pregressa normativa sono stati considerati "nuovi" ai fini del D.Lgs. n. 152/1999, sì da non potere beneficiare di alcun periodo di mora di adeguamento e con l'obbligo di porsi immediatamente in regola con il nuovo regime per ciò che concerne sia i livelli tabellari sia i divieti di scarico sul suolo e sottosuolo;

- ai titolari di scarichi già esistenti fisicamente ma per i quali l'obbligo di autorizzazione è sorto solo con il D.Lgs. n. 152/1999 sono stati concessi tre anni di tempo per ottenerla;

- per gli scarichi già esistenti fisicamente ed autorizzati (quindi esistenti anche giuridicamente) si poteva aspettare, per l'adeguamento alla nuova normativa, fino alla scadenza dell'autorizzazione e, comunque, non oltre quattro anni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/1999.

3. L'art. 10 bis della legge 1° agosto 2003, n. 200 (che ha convertito il D.L. n. 147/2003 recante "proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali), entrata in vigore il 3 agosto 2003, ha previsto, poi, che "i termini di cui all'art. 62, comma 11, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, relativi agli scarichi esistenti, ancorché non autorizzati, sono differiti fino ad un anno a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto" (cioè fino al 3 agosto 2004).

Questa previsione non era presente nel testo governativo ma è stata introdotta dal Parlamento in sede di conversione in legge del decreto.

Il differimento di termini scaduti, che intrinsecamente costituisce una contraddizione in termini, sembra diventata una prassi nella più recente produzione legislativa e da essa discendono immancabilmente dubbi interpretativi, che non mancano di emergere anche in relazione alla disposizione in esame e con particolare riferimento all'espressione "ancorché non autorizzati". Detta espressione, infatti, sembra non tenere conto che, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 258/2000, gli scarichi non autorizzati non possono considerarsi "esistenti", poiché per tali devono intendersi solo quelli in esercizio e già autorizzati.

Possono configurarsi, allora, due ipotesi alternative, secondo le quali - rispettivamente - il legislatore:

a) avrebbe inteso introdurre una vera e propria sanatoria per gli scarichi idrici abusivi - mimetizzandola però in un testo normativo non specifico attraverso una deroga sostanziale alla definizione di "scarichi esistenti" di cui alla lettera cc-bis) dell'art. 2 del D.Lgs. n. 152/1999, sia pure ai soli fini del differimento dei termini di cui al comma 11 dell'art. 62 - con il conferimento postumo, addirittura ai titolari di scarichi già abusivi per la legge "Merli", di quella possibilità di godere del regime transitorio di adeguamento che era stata esplicitamente negata dal D.Lgs. n. 258/2000;

b) ovvero, avrebbe differito i termini di adeguamento (oltre che per gli scarichi esistenti ed autorizzati) soltanto per quegli scarichi in esercizio al giugno 1999 e non autorizzati in quanto la legge del tempo non precedeva la loro preventiva autorizzazione.

In relazione alle due ipotesi dianzi enunciate va rilevato che la prima non appare sorretta da alcuna giustificazione razionale e, in quanto contraddice palesemente le esigenze di tutela dei valori dell'ambiente e della salute anche nei profili costituzionali, risulta non rispondente (quanto meno) al principio di ragionevolezza.

Deve tenersi presente, allora, il principio generale - più volte ribadito dalla Consulta - secondo cui, nel caso siano ipotizzabili più interpretazioni di una legge, si deve scegliere, se esiste, quella consona ai principi della Costituzione piuttosto che sollevare, sulla base di una possibile interpretazione non conforme, la questione di legittimità costituzionale.

Questa Corte si è già espressa, in proposito, affermando (Cass. Sez. III, 20.1.2004, n. 985, Marziano) che l'inciso "ancorché non autorizzati" concerne esclusivamente quegli scarichi, esistenti il 13 giugno 1999, per i quali l'obbligo di autorizzazione è sorto solo in virtù della nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 1999.

Tale conclusione è stata tratta sui rilievi che la stessa rubrica della disposizione di proroga è riferita all'adeguamento degli scarichi e che "in tema di eccezioni ad una regola generale non è possibile fornire un'interpretazione estensiva, ma occorre preferirne una restrittiva. Peraltro, in assenza di un'abrogazione espressa della nozione di scarico esistente di cui all'art. 2, lett. cc-bis), del D.Lgs. in esame, non è possibile attribuire ad una disposizione con un contenuto specifico e limitato la possibilità di introdurre un'abrogazione implicita, mentre la locuzione su riferita sembra una cattiva sineresi di una pluralità di situazioni, disciplinate in maniera uniforme dall'art. 62, 11° e 12° comma, D.Lgs. citato".

Questo Collegio condivide le argomentazioni dianzi enunciate, proprio perché gli scarichi fisicamente già esistenti alla data del 13 giugno 1999, ma non in regola con l'autorizzazione prescritta dalla normativa previgente, sono stati considerati "scarichi nuovi" sì da essere esclusi da ogni moratoria di cui al comma 11 dell'art. 62. Non possono differirsi, pertanto, termini di tolleranza che per essi non hanno mai avuto alcuna efficacia.

4. Alla stregua di tutte le disposizioni normative dianzi esaminate va rilevato che, nella fattispecie in oggetto:

- l'autorizzazione risulta rilasciata in forma espressa il 24 febbraio 1992, senza una durata predeterminata;

- la stessa autorizzazione non risulta riesaminata entro il 1° dicembre 1995, alla stregua del D.L. n. 79/1995, sicchè da quella data deve considerarsi valida per quattro anni (fino al 1° dicembre 1999);

- lo scarico, pertanto, all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/1999 (13 giugno 1999), doveva considerarsi autorizzato, cioè fisicamente e giuridicamente esistente;

- era perciò applicabile la moratoria prevista dal comma 11 dell'art. 62 e la nuova autorizzazione avrebbe dovuto essere richiesta entro il 13 giugno 2003, mentre l'accertamento della contravvenzione contestata è stato effettuato l'8 novembre 2000;

- non risulta (come già si è rilevato) che lo scarico in oggetto contenesse "sostanze pericolose" di cui all'art. 34 del D.Lgs. n. 152/1999.

5. La sentenza impugnata, conseguentemente, tenuto conto della normativa transitoria ed anche senza computare la proroga concessa dalla legge n. 200/2003, deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

Per questi motivi

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 620, cod. proc. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

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