chiarimenti
20 maggio 2003

Come volontari svolgiamo una attività di vigilanza sul territorio che ci porta frequentemente a contatto con il problema delle microdiscariche o abbandono di rifiuti, sia in area pubblica che in area privata. Mentre però in area pubblica i rifiuti vengono quasi sempre rimossi dalla amministrazione comunale, in area privata questo non avviene pressochè mai. Il fatto è che i proprietari contestano le ordinanze e spesso l'amministrazione comunale, ben sapendo quanto accade, non insiste più di tanto cercando di ottenere che la rimozione avvenga con le buone, senza andare per vie legali. Altre volte invece i proprietari fanno ricorso sostenendo che non si tratti di abbandono. Come fare per risolvere questa piaga ambientale e ottenere che le istituzioni si applichino veramente per ridurne le dimensioni?


Spesso i quesiti che arrivano tramite e-mail sono solo apparentemente semplici, in realtà vi sono talmente tanti elementi che potrebbero essere oggetto di una discussione da richiedere risposte molto articolate e altrettante digressioni necessarie per inquadrare bene il tema. A proposito dell'abbandono dei rifiuti le riviste legali e i siti più noti hanno dedicato pagine e pagine e quindi, si riterrebbe che il problema sia stato sviscerato in maniera molto approfondita. La verità è che l'argomento continua a sollecitare tanti interrogativi per diversi motivi: uno di questi è la spesso amara constatazione del perdurare del fenomeno, un altro è il fatto che a questa attività di rilevazione si dedichino numerosi soggetti sia appartenenti alla pubblica amministrazione che al volontariato.

Prima descriviamo sinteticamente il quadro, poi passeremo ad affrontare il quesito nella sua specificità.

L'abbandono di rifiuti è stato ribadito come reato dal D.Lvo 22, all'art.14, comma 1. Il sistema sanzionatorio riportato agli artt.50 e 51 dello stesso decreto distingue se chi butta l'immondizia senza criterio avvenga per mano di un privato o ad opera di una impresa, ritenendo più grave il comportamento di quest'ultima.

Mancano le definizioni di "abbandono", di "deposito incontrollato" e di "discarica" per cui l'interprete deve necessariamente rifarsi alla giurisprudenza di merito. Tuttavia mentre le ipotesi di "discarica" e di "deposito incontrollato" sono sufficientemente ricostruibili, il reato di abbandono di rifiuti sembra potersi descrivere solo come negazione delle altre due. E' abbandono tutto ciò che non ha le caratteristiche della discarica o del deposito incontrollato. Per es. una condotta ripetuta, consistente nell'abbandono - per un tempo considerevole e comunque non determinato - configura il reato di discarica. Il deposito incontrollato è quello che non rispetta tutte le condizioni poste dalla lettera m) dell'art.6 del D.Lvo 22/97.

E' abbandono la realtà di tutti i giorni legata all'inciviltà delle persone, alla maleducazione della gente, tipo il buttare in terra le lattine vuote, il sacchetto di piccoli rifiuti durante una gita, la carta di involucro di confezioni alimentari da passeggio. In questi casi la sanzione è più leggera. Infatti in calce al primo comma dell'art. 50 è stata inserita una ipotesi sanzionatoria minore nel caso in cui il comportamento illecito riguardi un abbandono soltanto sul suolo (e non anche nelle acque) di rifiuti non pericolosi e non ingombranti: la sanzione amministrativa è da lire lire 50.000 a lire 300.000. Se i rifiuti possono essere classificati come ingombranti, pensiamo agli elettrodomestici usati, la sanzione va dalle L.200.000 a L.1.200.000 (provvedete voi per il calcolo in euro).

E' abbandono quando l'atto avviene in un'area pubblica, in quanto lo giustifica lo stesso comportamento: se si butta qualcosa dove capita è implicito e del tutto evidente che non si ha nessuna intenzione di andarla poi a recuperare, è una dimostrazione incontrovertibile dell'intenzione (o decisione) di disfarsene.

I problemi arrivano al momento di identificare il responsabile dell'abbandono. Se l'abbandono è già avvenuto, non potendo contare sulla contestazione in flagranza di reato, né potendo disporre di prove o testimonianze (il che spesso è la regola), rimane da interessare della bonifica il proprietario dell'area sulla quale questo abbandono è stato individuato.

Come tutti ormai dovrebbero sapere vi sono notevoli difficoltà ad attribuire il dolo o la colpa al proprietario del terreno. Ogni qualvolta il proprietario, incolpevole, si trovi a dover sottostare ad una ordinanza ritenuta ingiusta, il ricorso per via amministrativa trova facilmente l'assenso del TAR competente come anche la conferma del Consiglio di Stato. Naturalmente ogni caso va considerato per le sue prerogative, per le diversità che presenta, tuttavia, tendenzialmente, non può farsi torto al giudice che ritiene di assolvere il proprietario quando questo possa dimostrare di non avere nessuna colpa, se non, addirittura, mettere in rilievo il proprio status di vittima della circostanza in relazione al danno che l'abbandono produce.

Del resto, senza scomodare tanto i giudici e le sentenze, basta mettersi nei panni di un proprietario incolpevole per comprendere l'ingiustizia subita due volte, la prima a causa dell'abbandono di rifiuti sul suo terreno, la seconda a causa dell'ordinanza di rimozione e ripristino. Si può immaginare cosa significhi doversi mettere nelle mani di un legale per potersi difendere da un'accusa troppo precipitosa.

D'altra parte l'ordinanza è dovuta e solo in caso di inadempienza l'amministrazione comunale interviene d'ufficio per eliminare le conseguenze dell'atto illecito. Naturalmente il tutto ha un costo che ricade sul bilancio dell'ente, condizione nella quale non è certo nei desiderata degli amministratori volersi trovare, preferendo invece impegnare le (poche) risorse disponibili per fini più nobili.

E' del tutto comprensibile, anche se possiamo non condividere, come sindaco e proprietario in causa cerchino soluzioni accomodanti. Se l'obiettivo viene raggiunto "senza spargimenti di sangue" con l'effettiva rimozione dei rifiuti non c'è nulla da recriminare, anzi bisogna proprio manifestare apprezzamento, magari si comportassero tutti a questo modo. Il brutto è quando non c'è accordo e le cose rimangono in un limbo indefinito fino alla prossima segnalazione.

In effetti, come si comprende dal tenore dell'e-mail, molte delle segnalazioni dei volontari non sono altro che "vecchi" abbandoni" rimasti irrisolti, sia per la mancata individuazione del responsabile che per la contrarietà del proprietario, ma anche per l'indisponibilità del Comune a sobbarcarsi gli oneri dello smaltimento. Se il fenomeno dell'abbandono ha la frequenza e le dimensioni di quello che è stato descritto in un recente reportage di RAI TRE in regioni come il Veneto o la Campania allora la cosa è veramente seria e nessun bilancio comunale è in grado di sopportare una situazione simile a lungo.

Servono soluzioni di carattere strutturale. Una di queste è il ricorso alle cosidette isole ecologiche, cioè alla raccolta differenziata di rifiuti recuperabili tramite un servizio diffuso di conferimento sul territorio. Molti sono concordi a ritenere efficace questa soluzione proprio per contrastare il problema delle microdiscariche, siano esse frutto di maleducazione civica che di una miserevole politica di "risparmio" imprenditoriale. Da sole non bastano. Serve anche una pianificazione, servono impianti dislocati coerentemente in modo da servire bacini omogenei di utenze, servono gli inceneritori e, ancora per qualche anno, le discariche, ma serve anche una politica del recupero spinta che coinvolga (o forse costringa) i soggetti responsabili dell'immissione sul mercato di un qualsiasi tipo di articolo, in modo che la parte dedicata alla progettazione, al design, sia chiamata ad affrontare all'origine il problema della formazione ultima di rifiuti.

Detto questo andiamo all'esame della specificità del quesito. Le difficoltà nelle aree private ad ottenere qualche risultato sono quelle già descritte sopra quando l'abbandono è frutto del comportamento di un soggetto che non si identifica con il proprietario del terreno.

Si riterrebbe invece più chiara e risolvibile quella condizione in cui sia lo stesso proprietario ad aver originato l'abbandono, quando i rifiuti sono suoi, o almeno sembra. Non è così vero, non è sempre detto che sia così. Oggi più che mai le difficoltà sono maggiori a causa della tanto contestata interpretazione autentica della nozione del rifiuto. Per farla breve è sufficiente sottolineare come, con questa interpretazione, sia divenuta prioritaria la componente soggettiva della definizione rispetto a quella oggettiva.

Se il proprietario delle "cose" in abbandono manifesta la volontà di NON volersene disfare per affezione, necessità, riuso (le scuse sono tante) allora l'organo di controllo deve ricorrere alla deduzione di elementi oggettivi i quali possano dimostrare infondate le affermazioni del soggetto obbligato. Il che non è affatto semplice. Per evitare che il tutto cada nell'impasse istituzionale diventa indispensabile che l'organo di controllo, in questo caso il volontariato, non si limiti a descrivere in modo pressochè fotografico la condizione osservata, ma che entri nel merito dello stato delle cose, del loro uso. Per fare questo occorre che il proprietario sia consultato sulle sue intezioni come serve una certa disponibilità dello stesso ad essere "intervistato". Per il resto si tratta di mettere in evidenza le discrasie con quanto affermato nell'intervista rispetto alle osservazioni più puntuali e oggettive che possono trarsi dal sopralluogo.

Gli esempi possono essere innumerevoli e, tuttavia, se ci si riflette, pochi sono quelli veramente incontrovertibili, quelli ai quali il proprietario può contodedurre senza cadere nel ridicolo o nel paradossale. In ogni caso solo un elenco di elementi "oggettivi" può motivare l'emissione di una ordinanza.

Ritenere di aver assolto il proprio compito con la mera descrizione di un apparente stato di abbandono è un comportamento superficiale, tanto semplicistico, quanto appunto inefficace. Non è giustificato "prendersela" con le inefficienze altrui, quando queste sono frutto di proprie iniziative improvvisate. Il lavoro di accertamento degli illeciti ambientali, compreso quello svolto volontaristicamente, bisogna farlo bene. Dopodichè è altrettanto importante occuparsi della fase successiva, chiedendo all'istituzione comportamenti conseguenti e approfondendo la conoscenza degli ostacoli che si contrappongono all'esito coerente della propria iniziativa, assorbendo il buono che c'è anche dalle prime esperienze negative in modo da non ripetere i medesimi errori in nuove occasioni.

C'è un ultimo aspetto da sottolineare nel caso segnalato. Si deve prestare un minimo di attenzione alla differenza che c'è tra disordine ed abbandono. Ora che la gente sia disordinata è un dato di fatto. Chi avesse la volontà di visitare i cortili delle case di campagna non farebbe alcuna fatica ad elencare un numero rilevante di "microdiscariche", e questo solo perché il proprietario del sito ritiene di comportarsi a casa sua come meglio gli aggrada. Non è difficile immaginare attrezzature, macchinari, gomme usate, cartoni e quant'altro può venire in mente, i quali buttati alla rinfusa un po' dove capita, consegnano alla vista della guardia volontaria l'impressione di un illecito. In questi casi si deve riflettere prima di passare alle vie di fatto, perché il rischio di prendere un cosiddetto "granchio" è notevole.

Per es. nel caso di un deposito di macchinari apparentemente in disuso e caratterizzati da un'estesa ossidazione superficiale parcheggiati alla belle e meglio nel retro di un casolare agricolo qual è l'elemento oggettivo che fa ritenere questa situazione un abbandono? Cosa permette di distinguere tra un comportamento illecito ed uno solo disordinato?

Prima di tutto la quantità, se ci si trova in una condizione tale per cui il deposito è esorbitante, non giustificato rispetto all'attività svolta, si deve iniziare a pensare che probabilmente l'area cortiliva è diventata un ricettacolo di scarti di materiali e attrezzature altrui. Naturalmente fa la differenza la qualità, nel caso per es. si individuassero categorie di rifiuti chiaramente prodotti fuori sito o che non possono derivare in alcun modo dalle lavorazioni agricole, come nel caso sopra. Un altro elemento che può far riflettere, pur se preso singolarmente ha scarso significato, è l'effetto del tempo, cioè i segni evidenti, come per la crescita attorno di abbondante vegetazione, del lungo intervallo tra il momento del deposito e quello della sua scoperta. Anche lo stato delle "cose" ha la sua importanza: se le condizioni sono pessime, o comunque tali da comprometterne qualsiasi uso o riutilizzo, senza tema di smentita, non si dovrebbero avere dubbi nel contestare la definizione di rifiuto. E gli esempi potrebbero continuare.

Una riflessione al contrario che invece bisogna pur considerare è quella che ci si pone con la seguente domanda: se l'area cortiliva fosse riordinata, riassettando il tutto, impilando o raccogliendo i materiali per tipi omogenei, portando al coperto le attrezzature che possono rovinarsi se esposte alle intemperie, ecc. ecc., avrebbe ancora senso contestare la sanzione di rito?

Infine, poiché in questo lavoro non c'è niente di semplice, neanche le situazioni più banali, è senz'altro frequente che ci si imbatta in situazioni al limite, che possono essere tranquillamente recuperate avendone la volontà, ma anche il contrario, allora è molto più conveniente ricorrere ai "vecchi" regolamenti di igiene i quali prevedono che il disordine vada in ogni caso sistemato e che, qualora dal riassetto emerga "immondizia e materiale di rifiuto", si provveda ad eliminarlo secondo legge.

 

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L'ABBANDONO DI RIFIUTI IN AREA PRIVATA