interventi
29 ottobre 2002

Questa intervista non è recente, è stata raccolta il 15 luglio del 1998. Erano i giorni in cui si decideva della sorte del nostro paese sotto l'aspetto del dissesto idrogeologico. Di lì a qualche giorno sarà pubblicato il Decreto Sarno che costituisce a tutt'oggi un'indiscutibile passo in avanti nella tutela delle aree a rischio. Di questi eventi e delle loro ricadute morali e materiali se ne trova traccia all'interno della lunga chiacchierata. Tuttavia molti altri sono stati gli argomenti toccati, la maggiorparte continuano ad essere attuali a tutt'oggi. Per questo, per il contributo alla discussione che rappresenta, abbiamo pensato di (ri)proporre l'intervista, convinti che risulterà interessare i nostri lettori.


Per citare Sabino Cassese, dai uno dei suoi numerosi saggi nei quali esamina la pubblica amministrazione italiana, il nostro è uno Stato di tipo collaborativo, cioè dove non esiste una vera e propria gerarchia di poteri. Ce se ne rende conto quando si discute di dissesto idrogeologico: la legge che sovrintende la difesa del suolo, la L.183/91, ha scelto di non scegliere, cioè ha preferito demandare le competenze su tutte le strutture possibili, sia centrali che decentrate, su strutture sia di carattere amministrativo che di tipo tecnico, senza stabilire una dipendenza, una piramide di rapporti. Oggi ci ritroviamo ancora una volta a chiedere perchè devono accadere tragedie quali quelle di Sarno. Quello che vorremmo sapere è se, con l'applicazione dei decreti Bassanini anche in questo campo e quindi con lo spostamento dei poteri sempre più sull'organo regionale, avremo finalmente una chiara visone dei ruoli e una cristallina identificazione delle responsabilità.

Io penso che la materia territorio compresa la difesa del suolo sia materia nella quale è necessario rimanga una competenza dello Stato, accanto naturalmente ad una competetenza delle Regioni, essenzialmente con la possibilità dell'esercizio dei poteri sostitutivi, ma anche con una inevitabile funzione di indirizzo e coordinamento. Voi mi fate questa domanda in un momento delicatissimo. Qui davanti ho la bozza del decreto che va in discussione in aula domani alle 15.00 in Commissione, che è figlio di una grande fibrillazione del Governo, ma anche dei Ministeri dell'Ambiente e dei Lavori Pubblici, oltre che dell'Interno e dei Beni Culturali e Ambientali, dopo il disastro di Sarno. Porta chiaramente il segno della difficoltà politica a dare quella che, secondo me è la risposta fondamentale, cioè ci vuole un centro di responsabilità a livello nazionale, un centro di responsabilità poltica. Cioè la mancanza di un unico Ministero dell'Ambiente e del Territorio ha fatto sì anche leggi di buoni principi abbiano finito per essere delegati per quanto riguarda l'attuazione a poteri troppo leggeri o troppo diffusi per poter aver poi un peso determinante nella vita del paese. E' accaduto che per avere un piano stralcio delle fasce fluviali del Po, cioè scrivere da qualche parte che non si può costruire troppo nelle golene, ci sono voluti 8 anni di discussioni, chiacchiere, documenti, studi, programmazioni, poi tutto deve essere ancora deciso. Penso che quindi sia importante avere un Ministero dell'Ambiente e del Territorio per avere un centro di responsabilità nazionale che non significa naturalmente avere un accentramento di potere. Bisogna che le Regioni facciano fino in fondo e più di prima il loro dovere, che le Autorità di Bacino pure, ma vengano, diciamo così, all'autorità politica delle regioni perchè secondo me i luoghi della politica devono decidere ed è difficile disegnare le istituzioni su misura dei bacini. I bacini sono utili unità di studio e di programmazione del suolo, ma stanno in piedi con la geografia e non con la storia e, nelle vicende democratiche, conta anche la storia e la cultura. Credo che sia comunque in corso un processo perchè la Bassanini parla anche di accorpamento di Ministeri e già il decreto che stiamo affrontando prevede il trasferimento della difesa del suolo al Ministero dell'Ambiente. E' un passo insufficiente, ma è certamente un passo importante, un primo passo. Prevede altresì, ma e una questione che sarà molto discussa non vi posso rispondere ora, che l'ANPA in qualche misura diventi una delle agenzie che anche in questo campo interviene. A questo proposito io penso che bisogna fare un attento censimento di tutte le agenzie che nazionalmente si occupano di ambiente, perchè tra ANPA e ARPA, Servizi Tecnici e ENEA, Geni Civili e Regioni, Consorzi di Bonifica e Autorità di Bacino rischiamo di avre una moltiplicazione ed anche una dispersione e credo che quando facevo il ragionamento sul Ministero dell'Ambiente e del Territorio mi riferivo non solo alla responsabilità politica che è un punto determinante, ma anche a un conseguenziale sviluppo dell'amministrazione. Dopodiche un certo livello di concertazione, per citare Cassese, serve sempre, ma nell'amministrazione bisogna che ci sia in qualche modo la gerarchia e la ripartizione dei compiti.

Nell'arco dei tre anni ci sarà questo trasferimento degli organici dal centro alla periferia, un riordino. Lei ha parlato dell'ANPA, poi si parla anche di altri istituti, dei Servizi Tecnici Nazionali, dei Geni Civili in parte ancora sotto il dominio del Ministero dei Lavori Pubblici. Quello che serve, forse l'ARPA può dimostrarlo, non è solo un riferimento di tipo politico ma anche uno di tipo tecnico, che costituisca un centro propulsore di idee e non sia solo una riorganizzazione di competenze. Nell'ambito della difesa del suolo si potrà mai parlare di una Agenzia Regionale per la difesa del suolo?

Oggi come oggi il sistema ANPA-ARPA è molto lontano da questo tema perchè è quasi tutto pertinente e dipendente da una filiera di comando che fa capo al Ministero dei Lavori Pubblici. Sono coloro che ritengono che l'amministrazione dell'ambiente in Italia abbia fortemente bisogno di politicizzare il ruolo del Ministero dell'Ambiente e rafforzare quello tecnico, ma anche di gestione diretta, persino di negoziazione con i privati del sistema ANPA/ARPA. L'ho sostenuto in relazione alla nuova legge di VIA che stiamo discutendo. Si è ottenuto, di fronte anche ad una certa resistenza ministeriale, di prevedere nel prossimo futuro il trasferimento al sistema ANPA/ARPA dell'istruttoria ci sia. Questo presuppone anche l'acquisizione nell'ANPA di competenze relative al territorio. Non si può non sostenere l'unificazione dei concetti ambiente e territorio, che io ho sostenuto anche in relazione ai lavori della Bicamerale...faccio una parentesi, secondo me nella Costituzione ambiente e territorio non possono essere del tutto separati. Perchè la nozione di ambiente nella Costituzione Italiana è figlia dell'articolo sulla tutela del paesaggio e sulla tutela della salute. Non c'è solo la salute, c'è anche il paesaggio. Penso che si debba andare ad una Agenzia unica che sedimenti e accumuli nel tempo le conoscenze, anche in rapporto con il territorio, che accumuli competenze, capacità di relazione, che abbia un ruolo anche più positivo nei confronti con i privati. Domani c'è un convegno di Confindustria che domanda una amministrazione più collaborativa. Penso che si possa avere una amministrazione più collaborativa, ma anche più vigilante al tempo stesso. E' opportuno magari non procedere con una logica aggiuntiva per cui all'ANPA si aggiunge qualche competenza territoriale e poi rimangono i servizi tecnici, i geni civili... ma si debba procedere ad un riordino dell'amministrazione, magari senza eccessi di nuove assunzioni di personale che costano troppo, ma con il sistema dell'unificazione, del comando delle numerossime e robustissime agenzie esistenti e andare ad una unica agenzia di tutela e presidio territoriale che abbia una trasversalità di competenze, dalle questioni più strettamente sanitarie ed ecologiche a quelle più territoriali perchè nel nostro paese ambiente e territorio sono collegati. Capisco che questo è un problema. E' un problema perchè non parliamo solo di frane, ma di territorio costruito, di urbanistica....Comunque credo che le ambizioni della legge 61 presuppongano un insieme di agenzie nazionale e regionali piuttosto forti, abbiamo bisogno di una amministrazione ambientale dedicata, specializzata, anche un pò separata dai momenti della politica, come utile strumento della poltica sì, ma con una sua capacità di presidiare il territorio, a prescindere da chi è in quel momento è l'assessore o il ministro.

L'istituzione dell'Agenzia come ente strumentale alle dipendenze del Presidente della Regione è stata una buona intuizione, un buon ragionamento, perchè questa configurazione la rende nelle decisioni, nella scelta degli obiettivi e neila redazione dei programmi di lavoro, dotata di una certa autonomia, di un certo potere di indirizzo..

Si, ma anche di autorevolezza che dipende dalle capacità che vi si riescono ad investire. Ora qui le cose sono complicate perchè è nata con fatica in Italia, è nata per negazione di poteri alla Sanità, con non tutti d'accordo. Io non ero molto d'accordo. Ora però si tratta di vedere se la si fa o non la si fa. Certo quello che c'è in Emilia e in Toscana promette bene. Quello che succede o non succede in altre regioni promette meno bene. Sono per un modello di amministrazione dell'ambiente di tipo agenziale riservando alla dimensione ministeriale soprattutto il compito di indirizzo di innovazione poltica legislativa, ma sono per generalizzare sul territorio un modello decentrato con la presenza di agenzie dell'ambiente che possano diventare presto anche del territorio.

A seguire, dopo il dissesto idrogeologico, c'è il discorso sulla Protezione Civile.Il grosso dibattito è, ma deve essere sempre un organismo che subentra in condizioni di emergenza o, come richiede a viva voce il sottosegretario Barberi, anche un organismo che previene le catastrofi? Qualcuno che lavori sul territorio, sulla pianificazione e che è comprensiibile come non voglia in fin dei conti solo assistere le persone in queste fasi così drammatiche, ma che in un certo senso, anche gratificante, possa fare qualcosa per evitarle queste catastrofi. In termini di ordinaria amministrazione tutti gli organi dello Stato rivendicano competenze sulla varie porzioni che riguardano il governo del territorio, poi quando si tratta di condizioni di straordinarietà l'unica vera forza di intervento rimane il Corpo dei Vigili del Fuoco, sballottati qua e là dove ci siano emergenze, e quasi niente più. In termini quindi di organi tecnici sembra che in effetti che per le emergenze in Italia, senza i Vigili del Fuoco, non vi siano altri tipi di supporto.

Penso che la Protezione civile debba essere quanto rigorosamente e strettamente ciò che significa la parola stessa: informazione tempestiva di allarme e di protezione fisica delle persone, non può diventare nel nome della prevenzione un Ministero della Pianificazione Territoriale. Certo va fatta avendo piena nozione del rischio vulcanico, del rischio sismico, del rischio idrogeologico, di tutti i rischi di natura ambientale, del rischio industriale che minacciano la sicurezza delle persone nel nostro paese. La necessità di coordinare i compiti di protezione civile con i compiti di prevenzione, di programmazione, di ricostruzione non può significare che la protezione civile diventi una specie di superministero. E' secondo me una funzione che va organizzata all'interno di un agire pubblico che è capace di prevenire, di programmare, di intervenire ma che è anche dotato di una sua task force specializzata, Vigili del Fuoco, Volontariato, sistemi di controllo e di monitoraggio, capace di percepire tempestivamente il rischio se non di prevenirlo, concentrato sulla sicurezza delle popolazioni.
Noi corriamo sempre il rischio, data la ferraginosità delle procedure, di dare alla protezione civile il compito di essere un Ministero dei Lavori pubblici efficace, come ai tempi di Zamberletti, di un Ministero dell'Ambiente efficace, mentre non può sostituire nè l'uno nè l'altro ma deve molto attrezzarsi sulle esercitazioni, sui monitoraggi, sui sistemi di allarme, le messe in sicurezza e anche naturalmente il primissimo soccorso. No ad una protezione civile che diventi un mini o un mega ministero del territorio.

Con la Bassanini il decentramento potrebbe toccare anche l'unitarietà del Corpo dei Vigili del Fuoco che teme molto la regionalizzazione. Tra l'altro il Prefetto non è più l'autorità di protezione civile a livello provinciale, ma queste competenze sono state adesso affidate alle regioni e, a scalare, alle amministrazioni provinciali. A questo punto in caso di emergenza i Vigili del Fuoco saranno alle loro dipendenze?

Non sono regionalista spinto. Ho l'impressione che in alcuni casi questo dibattito stato regioni ha anche assunto qualche caratteristica ideologica. Nel caso dei VVF penso che si debba andare ad un rafforzamento dei Corpo che per adesso funziona e non funziona male così com'è anche alle dipendenze dello stato centrale. Però questo non significa che non debba funzionare un raccordo con il livello regionale.Credo che abbia poco a che fare cpn il federalismo il fatto che un corpo sia organizzato o meno su base regionale Per esempio in uno stato federale come gli Stati Uniti è famoso il corpo dei Rangers che è un corpo federale. Federalismo e autonomia regionale debbono partire prima di tutto dalla dimensione fiscale, dal fatto che il cittadino paga qualcosa a livello locale e riceve a livello locale, cioè che c'è lo scambio fiscale e non che magari il fisco è tutto centralizzato e poi si decentrano i corpi dello Stato e la spesa. Allora si avrebbe un'idea strana del federalismo. Mi parrebbe in questo momento non maturo uno scioglimento del Corpo dei VVF e una loro totale regionalizzazione.

Riallacciandosi al discorso sul sistema ANPA/ARPA segnalavo che a tutt'oggi ci sono10 ARPA costituite, di cui praticamente 5 funzionanti, più le due provinciali di Trento e Bolzano. Ecco questa situazione a cinque anni dal referendum che ha dato il la a questa organizzazione come negazione di competenze della sanità c'è il rischio che squilibri ulteriormente una condizione amministrativa di gestione del territorio tra meridione, centro e settentrione, in questo come in altri campi.

E' un problema molto serio. Rischiamo di avere anche sotto questo profilo due Italie. Tra l'altro è una contraddizione, un essere a metà strada che per es. sulla VIA, sulle misure urgenti in materia di rischio idrogeologico non ha consentito a chi governa di prendere una strada invece di un 'altra con decisione. Qui una decisione va presa. La legge 61 la si attua oppure no. Io ho già detto la mia: penso che uno dei compiti del Ministero dell'Ambiente e di questa legislatura sia l'attuazione della 61, magari non gonfiando gli organici con spese ulteriori ma portando sulle ARPA/ANPA una parte del personale che nelle altre agenzie rischia di restare disperso. O sciogliamo le ARPA che abbiamo o copriamo tutto il territorio. Penso che che questo debba corrispondere anche ad un nuovo modello del governo dell'ambiente del nostro paese che è decollato nel 1986 con l'istituzione del Ministero e si è concentrato lì, mentre entro nel 2000 il nostro paese dovrà avere un'amministrazione un po' più anglossassone.

A quale modello sta pensando?

Tutti naturalmente pensano all'EPA americana, ma potrebbe essere sopra le righe. Più che a modelli, so che c'è una discussione anche sulla modellistica, penso che alle realtà che ci sono in Emilia, in Toscana siano già delle cose buone, penso anche che in Piemonte possa presto diventare una cosa importante. Penso ad un soggetto che si assume delle responsabilità in ambito amministrativo, io ho molto insistito perchè abbia una piena autonomia nell'istruttoria della VIA, perchè possa prendere anche delle decisioni. Un apparato pubblico normalmente se non ha responsabilità dirette verso il pubblico rischia di non essere efficiente. L'efficienza è figlia di una responsabilità e la responsabilità diretta non è per alleggerire la poltica ma per restringere i poteri della politica alle questioni di indirizzo essenziale e per dare all'amministrazione in quanto tale dei poteri diretti. Ho polemizzato spesso con l'idea dell'ANPA che è puro supporto del Ministero, per cui avrebbe responsabilità solo verso il Ministero. Mentre vedo che nella realtà dei fatti per esempio qui, l'ARPA è il punto di riferimento per i cittadini, per le imprese, per la stampa, per la collettività, per tutti i meccanismi di controllo. Non ha come unico referente il Presidente della Regione e di conseguenza il Mnistero.Quindi ampliare le responsabilità nei confronti degli interessi generali e anche nei confronti dei cittadini è un modo per caricarla di fatica ma anche alla fine per caricarla di efficienza.

Tornerei un attimo al discorso della mancata istituzione delle ARPA. Probabilmente uno dei motivi per cui non si sono costituite è anche determinato dal fatto che le risorse stabilite per la loro nascita non potevano essere aggiuntive, come prevede la legge 61, cosicchè le regioni queste risorse devono reperirle in altri capitoli di spesa in particolare quello della sanità da cui sappiamo, per i noti problemi, molte regioni traggono malvontieri altre risorse, visti i bilanci risicati. In ogni caso 10 regioni questa scelta l'hanno fatta, ma vorrebbero in ogni caso trovare un alternativa. A quali altre fonti si potrà attingere perchè le ARPA possano lavorare su un piano di pari dignità con altre istituzioni?

Devo dire che dal luogo di osservazione e di responsabilità in cui mi trovo verifico una certa dificoltà ad attuare rapidamente tutta la legge che ricordo ancora che è figlia di un referendum, nata per negazione, fatta in risposta ad una volontà popolare che ha tolto i controlli alle USL. E' cosa diversa dall'avere un giorno deciso di fondare un sistema di amministrazione dell'ambiente che si regge sull'istituzione delle agenzie. Ricordo anche il travaglio che si legge nella normativa, articolo zero, competenze sterminate ma poi in verità trasferimento di qualcosa che c'è già....Bisogna che nel quadro di attuazione delle deleghe della Bassanini di riordino dei ministeri ci sia una grande capacità della maggioranza e del governo di decidere che questa è l'agenzia dell'ambiente e del territorio. Allora si possono, non aggiungere, ma riconvertire risorse disperse in tanti livelli delle amministrazioni dello Stato. Noi non è che manchiamo di dipendenti pubblici, di amministrazione pubblica. Dobbiamo lavorare molto di comando, di mobilità, di trasferimento , di accorpamento dell'esistente. Ci vorrà anche qualche nuovo concorso, ma in sostanza dobbiamo lavorare per riorganizzare l'esistente, più che costruire una nuova amministrazione. Pensate che la Regione Sicilia che non ha l'ARPA ha più di trenta mila dipendenti. Dobbiamo anche vedere nei meccanismi di formazione, di aggiornamento, di riconversione del personale perchè non possiamo gonfiare il pubblico all'infinito. Reperimento delle risorse sì, ma non in una logica aggiuntiva. Peraltro un ARPA che funzioni secondo me si paga, cioè se le trova le risorse perchè se si riesce ad applicare seriamente il principio di chi inquina paga, non nel senso di comminare delle multe o delle sanzioni, ma nel senso di imporre anche alla politica ambientale dei meccanismi di mercato per cui diventi onerose inquinare e diventi conveniente un compartamento più virtuoso avremmo nell'ARPA una delle agenzie che in qualche modo concorre alle entrate. Politiche di canoni e di tariffe, politiche del danno ambientale. Un sistema amministrativo che non deve costare ma semmai fa risparmiare delle risorse.

Le faccio vedere qualche articolo di giornale riguardante un argomento che è molto di moda adesso discutere, l'esasperazione delle imprese per gli oneri burocratici, il tempo e il denaro perso negli adempimenti burocratici. Studi, elaborazioni che tutti i giorni sono riportati come esempio del libro nero della pubblica amministrazione italiana.

Beh adesso libro nero....Domattina ci sarà un convegno della Confindustria che insiste su questo punto. Non credo che sia così semplice, la semplificazione pare che tutti la vogliono poi non si riesce. Questo paese mentre chiede di semplificare chiede anche di complicare.
Non è dietro l'angolo. Anche quando abbiamo adottato testi unici come quello sui rifiuti di fatto.....Però poi la domanda di regolazione non è meno forte della domanda di semplificazione. Si tratta di conquistare un rapporto pubblico-privato più fiduciario in modo da restringere l'ambito della regolazione. Se si parte dall'idea che quando si fa un appalto non lo si fa per dare l'opera all'impresa che fa meglio, ma per evitare di rubare, allora è chiaro che la noromativa rischia di diventare il regolamento di un campo di concentramento. Sinceramente non sono ottimista, pur essendo un militante di questa causa, mi trovo regolarmente di fronte al fatto che ci invece chi chiede di aumentarle e di appesantirle le norme adirittura di natura penale.

Fa riferimento alla pagella che ci hanno dato stamattina, riguardo all'onestà del paese, o sono solo scoop giornalistici?

No, non faccio riferimento a pagelle. Penso che così come in materia di appalti è più importante che sia onesto chi gestisce la stazione appaltante che non tutte le norme che regolano l'appalto, così in materia ambientale sono per restringere il penale ai comportamenti veramente criminosi, pericolosi, dolosi, per ridurre tutto il resto ed affidare molto a meccanismi volontari, ad accordi volontari, di incentivi e disincentivi, con un pò di elasticità. Ma non so se questo serva a ridurre le norme perchè le norme sono richieste, a volte dai privati, quasi sempre dalla pubblica amministrazione che vuole norme a tutela della certezza del proprio comportamento per mettersi al riparo da responsabilità e problematiche e così tanto più è complessa e ricca l'amministrazione tanto più questa chiede norme in modo da non comportarsi più in modo discrezionale, quindi rischioso, ma in modo vincolato, obbligatorio. Trovate uno che sia ottimista. Non vedo la maturazione per farla davvero questa sburocratizzazione, al momento sarà forse l'impegno più gravoso del resto della legislatura.

Nel mese di febbraio è stato pubblicato sul Sole 24 ore la bozza di un decreto cosidetto "sportello unico" meglio conosciuto forse come regolamento Bersani in quanto l'ispiratore sembrerebbe essere stato l'attuale Ministro dell'Industria che avrebbe l'obiettivo di ricondurre l'elevato numero di norme che insistono sui tempi di istruttoria della concessione edilizia in una sola soluzione, con un unico procedimento svolto da un'unica struttura. L'obiettivo è certamente condivisibile, ma ci sentiamo di fare un'obiezione sul metodo utilizzato che è quello sempre di voler risolvere la complicazione con il solito sistema del tacito consenso, cioè quella facoltà, una volta stabilito un termine di conclusione che appare congruo, in questo caso di 60 giorni, che permette alle varie amministrazioni, competenti nell'esame di un progetto edilizio, di abdicare al proprio ruolo di controllo potendo disporre di autocertificazioni da parte del privato in grado di sollevarle dalle responsabilità. Per ora il provvedimento è fermo alla Camera.

Ha un punto sul quale la nostra stessa Commissione ha fatto un'osservazione, cioè in pratica consentiva la costruzione di impianti industriali in deroga agli strumenti urbanistici vigenti per cui si faceva saltare tutta la pianificazione territoriale per quanto riguarda le aree produttive. Questo francamente mi sembra un pò troppo in termini di deregulation. Invece più che di silenzio assenso si debba stabilre anche una responsabilità finanziaria ed economica dell'amministrazione quando ritarda nelle risposte, perchè troppo spesso l'amministrazione non rispetta i tempi e non succede niente. Capita nella giustizia e capita negli alti livelli dell'amministrazione. Bisogna che i termini non siano non solo perentori ma che diventino termini dopo i quali scatti una responsabilità economica sia del singolo che dell'amministrazione. La generalizzazione del silenzio assenso potrebbe essere pericolosa perchè significherebbe per l'inefficienza della pubblica amministrazione legalizzare l'abuso. Altro discorso è quello del'autocertificazione, cioè la responsabilizzazione dei professionisti che assumono funzioni più o meno da pubblici ufficiali certificando la conformità alle norme, che è invece una linea da incoraggiare perchè non riusciamo con il solo strumento del pubblico a controllare tutto quello che vorremmo controllare. Abbiamo bisogno di responsabilizzare milioni di professionisti dei vari settori. Diverso è invece stabilire che nel ritardo o nel silenzio della pubblica amministrazione qualsiasi opera o altro impianto costruito violando le norme venga sanato. Sono contrario alla sanatoria generalizzata per ritardo della pubblica amministrazione, sono favorevole a sostituire i compiti della pubblica amministrazione con l'assunzione di resposabilità di carattere amministrativo, civile e penale da parte di privati professionisti appartenenti e non appartenenti agli ordini. Per quanto riguarda il regolamento Bersani credo che l'Intenzione non fosse malvagia, però non si poteva certamente pensare che per tutti gli impianti produttivi fosse possibile abolire ogni previsione di tipo urbanistico. Questa è la prova che quando si passa dalle enunciazioni generali al concreto nascono notevoli problemi, come nella legge per la valutazione di impatto ambientale.

C'è anche un paradosso che va messo in risalto. Nel decreto la semplificazione riguarda sia il profilo ambientale che quello della sicurezza sul lavoro, ma mentre per quest'ultima le norme che la prevedono non si attuano attraverso procedimenti autorizzativi, sappiamo che la legislazione emanata a salvaguardia dell'ambiente si basa sull'impalcatura dell'autorizzazione, quella sugli scarichi, quella sulle emissioni, quella sui rifiuti..In questi anni l'asse delle competenze sul rilascio delle autorizzazioni si è spostato sempre di più sulla Provincia. Non crede che un regolamento dove si stabilisce che è il Comune l'ente dal quale dipende il rilascio di tutte le autorizzazioni in una unica soluzione di fatto rrestituisca a quest'ultimo tutto il peso delle competenze contraddicendo in tal modo i principi precedentemente emanati?

La VIA avrà un limite di tempo. In caso di superamento provocherà la decadenza dell'amministrazione competente per passare la mano al Cosiglio dei Ministri, mettendo pare o almeno spero, non mi faccio illusioni, un limite di tempo all'indeterminatezza di una procedura nella quale il Ministero dell'Ambiente aveva il diritto di prorogarne all'infinito la conclusione. Per quanto riguarda il tentativo di trasformare la procedura in un momento essenzialmente informativo e molto rapidamente autorizzativo non è riuscito. Dovremo fare il possibile per andare verso l'autorizzazione unica come dice la CE ma non è semplice perchè ci sono pluralità di fonti, di vincoli che non possono essere del tutto unificate, come la materia dell'urbanistica e del paesistico che non è la stessa cosa delle emissioni. Credo che ci siano competenze che fanno capo al Comune ma altre che devono far capo alle Province. Tutti questi tentativi di avere l'autorizzazione unica, ma unica non è mai. E' più ragionevole porsi l'obiettivo di ridurre, semplificare, autocertificare. Adirittura la stessa VIA sostituisce tutte le altre autorizzazioni di competenza del Ministero dell'Ambiente, non sostituisce quelle di competenza di altri Ministeri. Cosa voglio dire. Nell'amministrazione pubblica ci sono ancora troppe gelosie delle competenze sul territorio, nelle Province, nei Comuni, nello Stato e nei Ministeri. Difendono le competenze con la stessa determinazione con la quale durante la guerra del 15 -18 si difendevano le trincee. Non è bastato dire certe cose nella legge Bassanini, perchè quando andiamo a fare le leggi specifiche ci ritroviamo regolarmente a dover rimettere tutto in discussione. Quindi su questo l'ottimismo non me lo strappate. Abbiamo fatto questa esperienza del decreto sul dissesto idrogeologico, l'ho detta tutta. Braccio di ferro dei Ministri. Brutta figura.

C'è già stato un rapido accenno quando si è parlato prima di ANPA come supporto tecnico che risponde solo al Ministro. In Italia infatti che nella materia ambientale è l'amministrazione ad essere attiva, cioè sono Comuni, Province, Regioni e Ministeri che rilasciano le autorizzazioni. E se invece sovvertissimo l'ordine costituito e facessimo diventare authority il sistema ANPA/ARPA?

Ripeto che sono dell'idea che al sistema ANPA/ARPA vadano dati anche poteri amministrativi diretti, persino poteri di concertazione e di tipo contrattuale, di trattativa con i privati, ma non penso che si possa dare il sistema dei poteri che spettano alle amministrazioni dello stato. Ci troveremmo nel punto di prima. Non facciamo l'errore delle Autorità di Bacino: ritenere che strumenti tecnici, anche promossi a responsabilità politiche amministrative possano diventare sostituitive di quelle politiche. Sono per rafforzare il ruolo delle ARPA soprattutto nell'istruttoria e qualche volta nel rilascio e nel controllo dei permessi, nella gestione degli accordi di programma. Ma non mi illudo. L'illusione di ogni amministratore è quello di unificare sotto il controllo proprio. Ho l'impressione che l'argomento sia un pò banalizzato, anche la stampa sembra dire "basta volerlo", mentre dietro alla complicazione ci sono degli interessi. Molto spesso sono interessi burocratici, ma comunque sono interessi che vanno battuti. Sono interessi veri, interessi forti, interessi costituiti. A volte di funzionari pubblici, a volte degli interessi privati che ci stanno dietro, contastanti rispetto agli interessi di chi opera. Sono consapevole che la Bassanini non ha risolto il problema ma lo ha solo aperto.

Rimane l'ultimo argomento, la depenalizzazione dei reati ambientali.

Vi dirò che è stata stralciata la parte relativa all'ambiente perchè i Verdi non l'hanno voluta. Depenalizzazione non vuole dire che sull'ambiente si fa quel che si vuole, ma che i reati più piccoli, quelli ambientali come per gli altri, vengano depenalizzati. Su questo si discuterà. Io sono del parere del diritto penale minimo, che deve restare fortemente ancorato ad alcuni comportamenti molto criminosi, ma c'è un filone di pensiero che dice beh intanto se c'è una sanzione penale la Procura può indagare, poi non importa che possa condannare, ma che possa indagare. Perchè c'è una anche parte dei cittadini del nostro paese che i presidi democratici come il Comune, l'ARPA o l'USL non garantiscano un accidente, mentre poter andare da un procuratore della Repubblica si sente più garantito. C'è anche chi non ha bisogno di sentirsi più garantito ma va dal Procuratore della Repubblica perchè così va sul giornale e ha già fatto la sua parte. Come poi vada a finire la causa non gli interessa. Le cose sono complesse. Ci vogliono alcuni reati ambientali tipici ben definiti, la dimensione penale deve essere quella estrema. Prima deve funzionare l'autocontrollo, la tassazione, il controllo amministrativo e poi la sanzione penale. Non possiamo avere una situazione per cui fino a 99 deve essere tutto lecito e gratuito, da 100 in su scatta la galera. Io dico invece fino a 50 lecito e gratuito, da 50 a 80 lecito ma si paga, da 80 a 100 è illecito ma amministrativo. Sopra i 100 la prima volta ti do il cartellino giallo come l'arbitro o come il vigile la prima volta che ti trova in multa, se sei sopra i 150 ed hai fatto apposta allora scatta la galera. Ma se lasciamo solo il Procuratore della Repubblica e la galera come prima e unica tutela, allora non si fa nulla, perchè il sistema penale viene ad intasarsi e per un reato che viene perseguito ce ne sono 99 che sfuggono. Quindi sostituire il controllo penale ai sistemi dei controlli è un illusione giustizialista che però ha una certa base nel nostro paese anche perchè l' ambientalismo ha avuto anche una fase che è stata chiamata la via penale all'ambiente. Rinetere cioè che un ambiente pulito non ce lo dia l'innovazione tecnologia, la riconversione produttiva, l'educazione dei cittadini, le scelte dei politici ma alcuni pretori che mettono in galera qualcuno. Bisogna ammettere però che questo è servito.

Possiamo dire che la sanzione penale come deterrente ha una validità relativa perche quando arriva, se arriva, arriva con molto ritardo. Poi non parliamo del fatto che dopo quattro anni i reati ambientali cadono in prescrizione e quindi per la lentezza della macchina amministrativa, quanti sono quelli che sfuggono alla sanzione. La soluzione non va cercata molto lontano, a nostro parere, basta guardare ai risultati che si ottengono sul fronte dell'igiene e sicurezza sul lavoro, dove con l'emanazione del decreto legislativo n.758 le sanzioni penali sono trasformabili in amministrative, applicando un quarto del massimo, se il soggetto inadempiente ottempera nei termini di tempo fissati dalla USL. Sempre avendo però questa spada di Damocle del procedimento penale qualora non si rispettassero i tempi o le prescrizioni. Effettivamente la Procura viene sgravata di tutto il carico amministrativo legato all'istruttoria del reato e d'altra parte c'è comunque una valutazione del rischio, e soprattutto l'individuazione delle soluzioni (cosa fare per) alle quali viene subordinata l'applicazione al minimo stabilito della pena. Cosa ne pensa di questo sistema calato nel diritto ambientale?

Se ho capito bene, sono d'accordo. Mi sembra che un meccanismo del genere vada previsto anche in materia ambientale. Cioè di fronte alla violazione l'intimazione ad adempiere e il ricorso al penale di fronte alla mancata ottemperanza. Questo senz'altro. E soprattutto andrebbe applicato nel periodo di entrata in vigore delle leggi nuove, quando mgari uno compie un reato senza neanche saperlo. Prevedere una forma di cuscinetto per cui dopo la violazione è sempre possibile per chi ha commesso l'illecito correggersi. Nel caso in cui invece dolosamente o colpevolmente non lo faccia il ricorso al penale può servire. Il penale come extrema ratio. Ma naturalmente come soluzione che deve restare nell'orrizonte del diritto ambientale perchè l'ambiente è un bene di interesse generale e deve essere tutelato da norme di ordine pubblico come quelle penali. Bisogna evitare che la norma penale venga utilizzata per scaricare la coscienza al legislatore e per sostituire la mancanza di controlli effettivi con la violenza della pena.

Per noi il problema non è l'applicazione della sanzione, quella ha il suo decorso, quanto arrivare all'eliminazione dell'illecito in modo da evitare il riprodursi del danno ambientale o nel caso questo ci sia stato ad ottenere nel più breve tempo possibile il ripristino o il risanamento. Perchè i meccanismi che abbiamo a disposizione sono molto arcaici, si basano sulle ordinanze. La pubblica amministarzione ci mette molto a mettersi in moto per accogliere la nostra proposta, redigerla, notificarla ecc....i tempi più lunghi si ritorcono contro la stessa amministrazione che avrebbe tutto l'interesse invece a muoversi per evitare che la situazione di pericolo permanga o che addirittura continui a provocare dei danni.

Bisogna sburocratizzare un pò anche i controlli. Questo dipende dal margine di discrezionalità che si vuole dare alle Agenzie. Penso che ci debba essere anche un margine per valutare il comportamento e il rischio a cui si va incontro con quel comportamento, se si commette l'illecito e ci si adegua immediatamente è diverso dal non fare niente. Poi come in tutto il diritto penale il problema non è l'entità o la natura della pena quanto la capacità di perseguirle effettivamente le violazioni. Se abbiamo 100 violazioni e ne perseguiamo 80, anche con la mano leggera, è un conto. Se ne perseguiamo durissimamente una sola e ce ne scappano 99 c'è un solo condannato e 99 abusivi che si fanno i fatti loro. Il meccanismo del 758 è molto buono.

Di fatto cosa succede. Per molti controllare i reati ambientali significa fare la denuncia e poi si è a posto con tutti i sindacati, come si dice. Invece la cosa va impostata in un altro modo.

Succede anche che la sanzione penale troppo secca delle volte fa sì che il controllore chiuda un occhio. Questo è già stato accertato da alcuni secoli. Quando la pena è troppo forte lo stesso soggetto che è chiamato ad applicarla ha delle remore a farlo. Non dobbiamo appesantire la pena ma intensificare il controllo. Siamo un paese con troppo comando e poco controllo. Molte pene e poche sanzioni pecuniarie. Non possiamo passare dal nulla alla galera, c'è di mezzo tutta una possibilità di azioni. Perchè poi in galera non ci vanno. Si minaccia l'Ira di Dio e non si conclude nulla. Bisogna dare più potere di intervento all'amministrazione pubblica. C'è una cosa che tengo a dire: bisogna distinguere e nel senso comune e nella pubblica amministrazione e nel diritto dell'ambiente bisogna distinguere l'illecito dal criminale. Ciò che è lecito è un conto, ciò che è illecito è un altro e il criminale è un livello ulteriore. Se vogliamo combattere il criminale dobbiamo isolarlo dall'illecito, se li confondiamo facciamo un guazzabuglio. Ogni pubblica amministrazione, ogni potere delo Stato deve fare la sua parte. La Magistratura è deputata a reprimere il criminale, ma la questione è che questo criminale venga anche selezionato da una amministrazione capace di controllare l'illecito nella quale l'Agenzia è una delle espressioni.
Non possiamo pensare che un cittadino presenti un esposto e mandi in galera uno. Questo può capitare. Si affida la giustizia alla casualità. Dobbiamo invece intensificare, generalizzare, regolarizzare e anche un pò standardizzare i controlli. Qui da noi il grado di controllo raggiunto è infinitamente più alto che da altre parti. Se le procedure che si usano a Reggio Emilia si usassero nel centro di Roma penso che chiuderebbero tutti i ristoranti. Sento a volte anche un insofferenza nei confronti dei controlli, c'è un problema insomma di quantità, di ragionevolezza della pressione. Bisogna sviluppare meccanismi di concertazione, non si riesce solo con la repressione a governare. Nel settore ambientale si dice tanto semplificare semplificare ma si esce sempre con nuove norme, questo è accertato: in Germania, in Francia si semplifica ma non si fanno solo tre leggi semplici e buonanotte, ma escono continuativamente nuovi aggiornamenti, nuove norme tecniche, nuovi standard..

Probabilmente è anche un modo di legiferare diverso. Si fa una legge quadro e poi le norme tecniche sono in continua evoluzione, di pari passo con il miglioramento tecnologico, come avere per esempio una normazione UNI, ISO in campo ambientale.

Mi pare che non sia un modello disperezzabile.

In effetti sarebbe meglio per tutti, nella nostra legislazione ambientale vi sono norme tecniche vecchie di vent'anni. Tra l'altro tra i compiti che la legge 61 ha affidato al sistema dell'ANPA/ARPA c'è appunto anche quello di aggiornamento degli standard.

Si ma siamo ancora lontani da questo. E il Parlamento e il Governo e il Ministero stesso vanno piano a mollare questo potere ad un soggetto terzo. Io sarei favorevole comunque. Tenuto conto che in ogni caso ci vorrebbero procedure di consultazione, di concertazione, fare salva l'impugnativa, è un pò complicato ma è il modello verso cui dobbiamo andare. Quando come parlamentare sono chiamato a deliberare sugli allegati al decreto Ronchi mi trovo a dovere valutare un elenco di 2000 sostanze, ma come devo fare?, devo sperare bene. Il Parlamento non può essere in grado.

C'era il progetto di legge Spini (ex-Ministro dell'Ambiente) che ricalca un pò questo modello.

Si ma non neanche è stata ripresentato. Adesso c'è Confindustria che lo rilancia.

Il problema di scrivere norme sulla tutela dell'ambiente è che l'ambiente non è pura teoria, un'astrazione che può essere immaginata uguale in ogni luogo, ma necessariamente si deve saper prevedere l'inserimento, l'innesto sotto condizioni che variano di volta in volta.

Ci sono anche forze che fanno della tutela dell'ambiente una rendita di posizione, giocano a chi la spara più grossa, a chi presenta l'obiettivo più ambizioso, anche fuori dalla realtà e qui il nostro compito è di trovare un equilibrio. Non c'è dubbio che se tutto grava sul legislatore non ce la faremo mai. Per questo insisto molto sul modello agenziale, ma non è una cosa che sta dietro l'angolo: per il motivo che mi avete detto, cioè che in molte Regioni manca ancora, ma anche per una gelosia del Ministero che vuole rafforzarla ma come supporto, non l'accetta come sostituzione, c'è una gelosia delle Regioni che per esempio non vogliono mollare l'istruttoria VIA. Il nostro modello è ancora abbastanza caotico, ma riflette il quadro dell'amministrazione dello Stato, spero che con la Bassanini si comincino a mettere le cose in fila, si cominci dalla testa a riformare il sistema amministrativo.

Ci vuole dire qualcosa sul suo progetto di legge sulla contabilità ambientale.

E' un disegno di legge ambizioso, ma meno di certe sparate. Presuppone che funzioni un sistemi informativo in relazione alla capacità di mettere insieme dei conti ambientali, organizzati, per poi accostarli a dei bilanci in senso finanziario vero e proprio. L'obiettivo non è il PIL verde, come noto un'operazione un pò ideologica, ma è quello di accostare bilanci economici finanziari a bilanci ambientali per dare al decisore politico l'intelligenza delle conseguenze ambientali di quello che egli fa o non fa. La pratica dei bilanci applicati alle Province e alle Regioni non potrà che migliorare la capacità della politica di governare l'ambiente. Al tempo stesso l'attuazione del disegno di legge vi darà molto da lavorare, vuol dire che le Agenzie dovranno funzionare bene, insieme all'ISTAT, all'ENEA, anche se c'è un pò di indeterminatezza dovuta alla situazione incerta.

Reggio Emilia, 15 luglio 1998

 

 

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