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10 novembre 2003

Non è semplice valutare se le sanzioni presenti nelle norme ambientali sono efficaci, proporzionate e dissuasive come sostiene debbano essere la Direttiva 2000/76/CE. Le variabili in gioco sono numerose e si correrebbe sempre il rischio di dimenticarne qualcuna per strada. Per limitare il campo ad alcune di queste si proverà a trattare l'esempio dell'art.650 C.P. poiché si trova in stretta connessione con il sistema sanzionatorio ambientale e perché permette di affrontare pragmaticamente alcune delle criticità più evidenti.

L'art.650 C.P. così recita: chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire quattrocentomila. L'articolo è tratto dal Regio Decreto n° 1398 del 19/10/1930 "Approvazione del testo definitivo del Codice penale".

Questo articolo, come altri presenti nel vigente Codice Penale, è oggetto di una bozza di disegno di legge del Ministro di Giustizia Castelli presentato nel gennaio di quest'anno titolato "Depenalizzazione dei reati minori". L'intento del Ministro è di produrre una importante revisione dei reati penali cosiddetti "bagatellari" o comunque contravvenzionali liberando le Procure di un carico di lavoro considerato inutile. Nella previsione ricadono molti reati ambientali che sono stati per l'appunto considerati non significativi.

Quello che interessa nel caso nostro è proporre alcune valutazioni sulla depenalizzazione dell'art.650 C.P. la cui violazione passerebbe, secondo la bozza citata, ad essere sottoposta a sola sanzione amministrativa di entità pari a euro 450.

In termini generali si inizia a dire che mentre le sanzioni di carattere penale sono irrogate con un provvedimento del giudice ordinario secondo i principi generali del codice penale e al termine di una specifica attività di indagine e processuale, le sanzioni amministrative, costituendo la conseguenza di un comportamento di disobbedienza ad un obbligo imposto da un provvedimento amministrativo, rispondono a principi diversi rispetto a quelli che ispirano le sanzioni penali.

Basti pensare che, a differenza di quella penale, la sanzione amministrativa viene applicata dalla Pubblica Amministrazione (e non da un giudice) al termine di un procedimento amministrativo (e non giurisdizionale) e, soprattutto non lascia traccia nella "storia penale" di chi commette l'infrazione.
A prescindere da valutazioni di carattere tecnico-giuridico, è, comunque, evidente come l'efficacia deterrente di una sanzione penale non sia sicuramente paragonabile a quella di una sanzione amministrativa, dal momento che, sebbene entrambe abbiano ad oggetto una somma di denaro di uguale importo, la prima produce conseguenze giuridiche e sociali ben diverse. Ora l'articolo citato costituisce uno dei pochi deterrenti riguardanti comportamenti illeciti la cui permanenza può produrre reati ben più gravi. Il provvedimento emanato dall'Autorità serve infatti ad una moltitudine di usi che, nel campo ambientale, è semplice ricondurre a due ipotesi: l'obbligo di provvedere alla riduzione in conformità qualora siano state evidenziate violazioni alle leggi speciali oppure, più genericamente, l'obbligo ad eliminare condotte lesive del bene ambiente. Spesso si tratta di provvedimento extra-ordinem, cioè di una norma in bianco estremamente utile per poter ricondurre alla compatibilità ambientale tutte quelle fattispecie che nel nostro ordinamento sono trattate male o per nulla proprio.

Tipicamente il provvedimento più conosciuto è quello dell'ordinanza emessa dal Sindaco per ragioni di igiene e sanità ai sensi dell'art.38 della L.142/90 sull' ordinamento delle autonomie locali.

Art. 38. Attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale. -

  1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovraintende:

  1. alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;
  2. alla emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e di sicurezza pubblica, di sanità e di igiene pubblica;
  3. allo svolgimento, in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidategli dalla legge;
  4. alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.

  1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica.
  2. 2-bis. In casi di emergenza, connessi con il traffico e/o con l'inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessita' dell'utenza, il sindaco puo' modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonche', d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, adottando i provvedimenti di cui al comma 2.

  3. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 2 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui fossero incorsi.

Sulle ordinanze del Sindaco esiste una giurisprudenza amministrativa infinita a causa del fatto che, trattandosi di un provvedimento della P.A., può essere impugnato con ricorso davanti al T.A.R. competente. Come si può ben comprendere una casistica così rilevante dipende dalla strenua volontà del ricorrente di sottrarsi agli obblighi imposti con ordinanza, siano questi già previsti da leggi o regolamenti, o si tratti di nuovi obblighi stabiliti extra-ordinem. Nei tempi l'ordinanza del Sindaco è stata sempre più utilizzata nella materia ambientale, grazie alle nozioni di "salute" e "incolumità pubblica" che arrivano a comprendere anche il tema degli inquinamenti, a causa delle prevedibili conseguenze sull'uomo.

Un secondo motivo per cui l'alternativa dell'ordinanza sindacale è stata ampiamente utilizzata nella protezione dell'ambiente è anche la sua estrema rapidità, non richiedendo altro che una decisione del massimo rappresentante dell'amministrazione comunale per essere emessa. Spesso proprio le situazioni critiche dovute e gravi fatti di inquinamento dell'aria o dell'acqua hanno giustificato l'urgenza e la contingibilità dell'ordinanza, motivo per cui, anche alla prova del ricorso, hanno resistito ad eventuali tentativi di annullamento.

Da quanto detto si riesce a comprendere come la flessibilità di questo strumento sia tale da poter essere utilizzato in un amplissimo contesto. Proprio grazie all'imposizione di un comportamento obbligato per il ripristino di condizioni di regolare esercizio, o per il risanamento di stati di compromissione della matrice ambientale, o per l'interruzione immediata di processi pericolosi, è dimostrato come sia possibile, nella maggiorparte dei casi, ritornare ad una compatibilità dell'impianto, installazione, infrattruttura con chi ci vive attorno e rimuovere alterazioni temporanee della qualità ambientale complessiva.

Questo è reso possibile anche dalla caratteristica di "norma in bianco" ampliamente sfruttata nella materia ambientale dove, nonostante una iperproduzione legislativa, esiste ancora una rilevante arretratezza di regole tecniche riguardanti progettazione, conduzione, manutenzione di impianti di produzione beni e servizi finalizzate alla prevenzione dell'inquinamento così come delle migliori tecnologie di riduzione/mitigazione degli impatti da asservire agli stessi.

In effetti la nostra legislazione sulla tutela ambientale è scarsamente puntuale sotto questo profilo, essendo sempre stata piuttosto carente per quanto riguarda le cosiddette "sanzioni accessorie" cioè misure alternative o aggiuntive rispetto alla normale sanzione. Nel campo ambientale, considerando tale il settore dedicato alla tutela dagli inquinamenti, queste si contano sulle dita di una mano. Il ricorso all'ordinanza è stato spesso una scelta obbligata.

Iniziamo dalla legislazione riguardante l'inquinamento atmosferico prodotto dagli impianti industriali da ultimo regolamentato con D.P.R. 24 maggio 1988 n° 203. Vediamo l'art.10.

Art. 10.

1. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità regionale competente procede secondo la gravità delle infrazioni:

  1. alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;
  2. alla diffida e contestuale sospensione della attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute e/o per l'ambiente;
  3. alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per la salute e/o per l'ambiente.

L'inefficacia in questo caso del dispositivo accessorio è legata all'esigenza di una manifestazione di pericolo per la salute e/o per l'ambiente. Richiesta quanto mai discutibile considerate le difficoltà di stabilire un nesso causalità effetto tra una violazione in materia di emissioni, come per es. un superamento di limiti, anche qualora si verificasse ripetutamente. L'autorità regionale o provinciale in difetto di prove inoppugnabili sui rischi per la salute (figurarsi quelli per l'ambiente), e quindi nel timore di dover soccombere di fronte a possibili ricorsi, finisce per non applicare mai alcuna sospensione, meno che mai la chiusura di un impianto. Si assiste così ad una litanìa di diffide che si ripetono di anno in anno senza mai vedere una conclusione.

La cosa è resa naturalmente più paradossale a causa del fatto che il decreto prevede sanzioni solo per l'innosservanza dei provvedimenti di sospensione o chiusura, dimenticandosi della diffida, e quindi per questa fattispecie viene completamente a mancare l'elemento di deterrenza. Si veda in effetti l'art.24 del decreto.

Art. 24.

  1. Chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza l'autorizzazione, ovvero ne continua l'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l'ordine di chiusura dell'impianto, è punito con la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni.

Per questo motivo all'ente che effettua i controlli, richiamato alla verifica dell'ottemperanza alla diffida, nella constatazione di un nuovo reato, non rimane che riparare verso l'art.650 C.P.

Peraltro non ci si può lamentare più di tanto, in effetti con gli impianti esistenti va peggio. Prima di tutto perché questi non sono in possesso di una autorizzazione espressa, ma di una sorta di tacito consenso alla realizzazione di un piano di adeguamento che, con le "licenze" concesse alle emissioni dal D.M 12 luglio 1990, non ha richiesto grandi sforzi. Si discute ancora, tra gli addetti ai lavori, se in questi casi l'art.10 relativo alle prescrizioni autorizzative si possa applicare. Dove sono infatti le prescrizioni autorizzative? Sono rimaste nella "penna" del tacito consenso. Da ciò discende, secondo la logica spietata dell'amministrazione, che nessun provvedimento possa essere emanato, neppure di diffida.

Dulcis in fundo. Tra le sanzioni per impianti esistenti non c'è nemmeno quella per inosservanza del provvedimento di sospensione o chiusura.

Guardiamo l'art.51 del D.Lvo 11 maggio 1999 n°152 sulla tutela delle acque dall'inquinamento. La storia si ripete identica.

Art. 51 - Inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico.

  1. Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al Titolo V, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione allo scarico, l'autorità competente al controllo procede, secondo la gravità dell'infrazione:

  1. alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;
  2. alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestano situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente;
  3. alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente.

Anche in questo caso l'amministrazione non si lancerà in ordini di sospensione né tantomeno di chiusura in mancanza di una dimostrazione inoppugnabile della pericolosità dello scarico. E ancora l'inottemperanza alla sola diffida non sarà punita. Non avremo dubbi per quanto possa accadere relativamente agli scarichi esistenti poiché è proprio nel campo di applicazione della normativa in materia di tutela delle acque che si è inaugurata quella pregevole forma di controllo che va sotto il nome di "silenzio-assenso".

Art. 54 - Sanzioni amministrative.
……

  1. Chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 45, ovvero continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni. Nell'ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione è da uno a cinque milioni.

Art. 59 - Sanzioni penali.

  1. Chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, ovvero continua ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da lire due milioni a lire quindici milioni.

Passiamo all'inquinamento acustico regolamentato con Legge quadro 26 ottobre 1995 n° 447. Qui, non essendo costretto a seguire la falsariga di una qualche direttiva CEE, il nostro legislatore si è potuto esprimere più liberamente e ha partorito quanto segue.

Art. 9. - Ordinanze contingibili e urgenti

  1. Qualora sia richiesto da eccezionali e urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della giunta regionale, il prefetto, il ministro dell'Ambiente, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri.

  2. Restano salvi i poteri degli organi dello Stato preposti, in base alle leggi vigenti, alla tutela della sicurezza pubblica.


Art. 10. - Sanzioni amministrative

  1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 650 del Codice penale, chiunque non ottempera al provvedimento legittimamente adottato dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 9, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 2.000.000 a lire 20.000.000.

Ancora una volta è necessario si sia in presenza di eccezionali e urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, cosa quanto mai infrequente per questa particolare tematica che non conosce situazioni tipiche di emergenza, ma è, purtroppo, di caratterizzata da una imperturbabile costanza nel tempo. C'è tuttavia un maggior spazio di manovra perché in questo caso non si deve dimostrare la sussistenza di un pericolo conclamato, ma è sufficiente descrivere la necessità che rende urgente e eccezionale l'intervenire.

Forse è grazie a questa condizione di maggior apertura che si registra una interessante sentenza del T.A.R. di Puglia, Sezione I.

Il caso riguardava l'ordinanza contingibile urgente del Sindaco di Bari, notificata il 25/5/2000 ad uno studio dentistico a causa dei risultati delle rilevazioni fonometriche effettuate dal Presidio Multizonale di Prevenzione Settore Fisico Ambientale Ausl Ba/4 sulla base delle quali era stato accertato che la rumorosità proveniente dal compressore a servizio dello studio dentistico stesso non era da ritenersi compatibile con il limite differenziale di immissione imposto dal Dpcm 14/11/1997. Tenuto conto che l'inquinamento acustico poteva risultare di grave pregiudizio alla salute pubblica e che lo stesso poteva anche essere aggravato, nei mesi estivi, dal funzionamento dell'impianto di climatizzazione il Sindaco ordinava al sig. (...), in qualità di responsabile dello studio dentistico, di porre in essere misure tecniche ed organizzative per l'abbattimento delle emissioni rumorose prodotte dal compressore.

Con Sentenza 26 settembre 2003, n. 3591, sul ricorso presentato dal sig. (...) per "carenza assoluta di motivazione, carenza del necessario presupposto dell'urgenza ed attualità del pericolo, carenza assoluta di istruttoria, atteso che dalla motivazione dell'ordinanza non emerge la ricorrenza del pericolo grave di danno imminente nel settore igienico-sanitario, non fronteggiabile con i mezzi ordinari predisposti dall'ordinamento giuridico, che avrebbe costituito presupposto necessario dell'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente" il T.A.R. ha così respinto:

Ritiene altresì il Collegio, in linea con il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, che l'articolo 54 Dlgs 18 agosto 2000, n. 267 (già l'articolo 38 legge 142/1990), ha determinato un allargamento della sfera d'azione dei provvedimenti contingibili e urgenti del Sindaco, quale ufficiale di governo, in materia di sanità, disponendo che tali provvedimenti possono essere emessi non più per "motivi di sicurezza pubblica" o solo di quella, come prevedeva l'abrogato articolo 153 Tu 4 febbraio 1915 n. 148, ma anche e soprattutto "al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini"; pertanto, è legittimo il provvedimento col quale il Sindaco, con riferimento alla suddetta norma, ordini l'abbattimento delle emissioni rumorose che superino i limiti di rumorosità consentiti e costituiscano quindi la fonte di rischi da esposizione ad inquinamento acustico (v. Tar Lazio, sez. II, 22 febbraio 1995 n. 242; Tar Toscana, Sez. II, 14 febbraio 2000, n. 168; Tar Sicilia - Palermo, Sez. II, 1 luglio 1993, n. 564; Tar Sicilia - Catania, Sez. II, 9 giugno 1992, n. 596).

Come detto registriamo positivamente questa decisione confidando che l'orientamento rimanga prevalente.

Del resto si deve sottolineare come la mancata ottemperanza alle ordinanze emesse ai sensi dell'art.9 della L.447/95 sia questa volta sottoposta a sanzione amministrativa speciale prevista al successivo art.10 (da lire 2.000.000 a lire 20.000.000). Il che appare peraltro in contraddizione con l'inciso "fatto salvo quanto previsto dall'art.650 C.P." che, secondo il rapporto di specialità tra sanzioni penali e amministrative, non può che decadere.

Anche senza questa svolta insperata che fornisce supporto ai sostenitori delle ordinanze emesse ai sensi dell'art.9 della legge c'è comunque un alternativa credibile che può essere utilizzata con pari successo. Si ritrova sempre all'art.10 comma 3.

3. La violazione dei regolamenti di esecuzione di cui all'articolo 11 e delle disposizioni dettate in applicazione della presente legge dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 500.000 a lire 20.000.000.

Si tratta cioè di utilizzare la forma della "disposizione", che ha un significato assimilabile a quello della prescrizione, e che può essere oggetto di un provvedimento volto ad ottenere l'adozione di speciali misure di riduzione del disturbo acustico. L'Autorità dispone che vengano attuate le indicazioni previste in uno dei decreti attuativi emanati per far fronte al rumore prodotto da particolari impianti, installazioni o infrastrutture. Oppure richiede che vengano adeguati i sistemi di insonorizzazione che le norme di buona tecnica propongono per una data macchina, attrezzatura o servizio. Le disposizioni possono trovare sede anche nelle autorizzazioni in deroga rilasciate alle attività rumorose temporanee.

Tuttavia poiché l'utilizzo della "disposizione" non è certamente diffuso presso le pubbliche amministrazioni si può sempre propendere per la vecchia strada dell'ordinanza extra-ordinem con relativo strumento di dissuasione rappresentato dall'art.650 C.P.

Veniamo ora all'argomento rifiuti. E' noto che all'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo così come lo scarico in acque superficiali o sotterranee di rifiuti allo stato solido o liquido fa seguito una ordinanza del Sindaco per la loro rimozione. "Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate."

La mancata ottemperanza all'ordinanza del Sindaco è punita severamente con con la pena dell'arresto fino ad un anno. Tutto l'apparato sanzionatorio del D.Lvo 5 febbraio 1997 n°22 è parrticolarmente, e giustamente, severo. Tuttavia anche qui mancano pezzi importanti, come per es. nel casi in cui si riscontrino difformità rispetto al progetto di recupero o smaltimento autorizzato ai sensi dell'art.27 del decreto o rispetto all'esercizio.

Art. 28 - Autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero
…….

  1. Quando a seguito di controlli successivi all'avviamento degli impianti questi non risultino conformi all'autorizzazione di cui all'articolo 27, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nell'atto di autorizzazione all'esercizio delle operazioni di cui al comma 1, quest'ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale temine senza che il titolare abbia provveduto a rendere quest'ultimo conforme all'autorizzazione, l'autorizzazione stessa è revocata.

Anche in questo caso c'è la tipica progressione dei tre provvedimenti tipo: diffida, sospensione, revoca. C'è una puntualizzazione che non si rileva in altri contesti quella del limite massimo di sospensione dell'attività, pari ad una anno. Ma se il titolare dell'impianto non intende ottemperare alla diffida, meno che mai alla sospensione, ebbene non resta che ricorrere al 650 C.P. perche il decreto non contiene sanzioni a questo proposito.

Una medesima assenza si registra anche nelle procedure agevolate di cui agli artt.31 e 33 quando si tratti di emanare un divieto di prosecuzione che non verrà mai rispettato. Ciò è più grave perché proprio perché il percorso più veloce di questo regime semplificato dovrebbe trovare come contrappeso una severità accentuata nei confronti di coloro che male ripagano la fiducia accordata dal legislatore.

Art. 33 - Operazioni di recupero
……..

  • Qualora la Provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall'amministrazione.

  • In queste condizioni, salva l'applicazione del 650 C.P., l'unica vera sanzione efficace è il sequestro penale. Peraltro è proprio in questa disciplina, così riformata con l'emanazione del D.Lvo 22/97, che il sequestro (del mezzo di trasporto che ha effettuato traffici illeciti) e la confisca (dell'area di discarica abusiva abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato) diventano sanzioni accessorie di primo piano giustificate dalla virulenza del fenomeno.

    Per ultimo trattiamo l'inquinamento elettromagnetico. Relativamente all'argomento delle sanzioni accessorie la Legge 22 febbraio 2001, n.36, legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, è quella che meglio ha saputo sfruttarne le potenzialità.

    All'art.15, comma 2, è infatti l'unica legge ambientale che stabilisce il raddoppio della sanzione in caso di recidiva. Inoltre nella progressione dei provvedimenti-tipo salta a piè pari la diffida stabilendo subito una sospensione.

    Art. 15. (Sanzioni)

    …….

    4. In caso di di inosservanza delle prescrizioni previste, ai fini della tutela dell'ambiente e della salute, dall'autorizzazione, dalla concessione o dalla licenza per l'installazione e l'esercizio degli impianti disciplinati dalla presente legge", si applica la sanzione della sospensione degli atti autorizzatori suddetti, da due a quattro mesi.

    Non solo. In caso di nuova infrazione l'atto autorizzatorio e' revocato.

    La legge non è tenera neppure per gli impianti esistenti ai quali impone un piano di risanamento entro 10 anni dalla sua entrata in vigore. Si veda cosa stabilisce in caso di inadempienza.

    Art.9 (Piani di risanamento)

    …………..

    6. Il mancato risanamento degli elettrodotti, delle stazioni e dei sistemi radioelettrici, degli impianti per telefonia mobile e degli impianti per radiodiffusione, secondo le prescrizioni del piano, dovuto ad inerzia o inadempienza dei proprietari degli elettrodotti o di coloro che ne abbiano comunque la disponibilita', fermo restando quanto previsto dall'articolo 15, comporta il mancato riconoscimento da parte del gestore della rete di trasmissione nazionale del canone di utilizzo relativo alla linea non risanata e la disattivazione dei suddetti impianti per un periodo fino a sei mesi, garantendo comunque i diritti degli utenti all'erogazione del servizio di pubblica utilita'.

    Anche se non è escluso a priori che si possano registrare comportamenti di disobbedienza ai provvedimenti emanati, e quindi che si renda necessario contestare l'art.650 C.P., la particolare cura prestata nella individuazione di sanzioni accessorie adeguatamente dissuasive avrà l'effetto di ridurre questi comportamenti ai minimi termini.

    Conclusioni.

    Sono numerosi gli esempi riguardanti fatti di estrema gravità che sono stati affrontati con ordinanze o altri provvedimenti inibitori del tipo di quelli sopra ricordati. Poiché le intenzioni della Commissione Nordio sono quelli di eliminare dal penale i reati bagatellari occorrerebbe rimettere in discussione che sotto questa voce possa finire anche l'art.650 C.P..

    Se si considera il suo deterrente sanzionatorio, quello che adesso possiede nella veste penale, sovviene il dubbio che, non solo sia del tutto deleteria la conversione dello stesso in una pena pecuniaria, ma che l'entità della pena, arresto fino a tre mesi o ammenda fino a lire quattrocentomila, sia già oggi insufficientemente commisurata alle ipotesi più gravi che possiamo immaginare. Si tenga conto che se l'inosservante patteggia l'ammenda viene ridotta di un terzo e che la stessa pena dell'arresto può essere convertita in sanzione pecuniaria a partire da una diaria di L.75.000 per giorno di residenza in carcere. Sono valori irrisori, affrontabili da chiunque, a maggior ragione da coloro che mettono sul piatto della bilancia le spese da sostenersi per il rispetto delle norme ambientali con l'entità delle sanzioni eventualmente irrogabili, confidando nella improbabilità di un controllo. Naturalmente si sceglie la seconda strada.

    Alla luce delle considerazioni dette si dovrebbe concordare sul fatto che, non solo la depenalizzazione deve essere assolutamente evitata, ma si renda necessario invece riprendere in mano l'art.650 C.P. per incrementarne l'entità e allargare la forbice dell'ammenda tra un minimo e un massimo che sia commisurabile alla gravità delle conseguenze di una inosservanza al provvedimento dell'Autorità.

     

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    INOSSERVANZA DEI PROVVEDIMENTI EMANATI DALL'AUTORITA': L'ART.650 C.P.