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18 marzo 2004

Nei giorni scorsi è arrivata a conclusione l’ennesima operazione di "intelligence" riguardante un traffico di rifiuti che partivano dal nord con destinazione diverse, ma principalmente al sud. I rifiuti costituiti da fanghi industriali, scorie e polveri prodotte da impianti siderurgici venivano illegalmente distribuiti in discariche abusive, impiegati per ripristini ambientali, usati come fondi stradali, utilizzati per la produzione di fertilizzanti e abbandonati in cave. Si tratta ormai del consolidato repertorio di espedienti che vengono escogitati per massimizzare i benefici e ridurre i costi derivanti dallo svolgimento di attività di raccolta di rifiuti industriali. I reati contestati sono associazione per delinquere, attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, falso nei certificati di analisi e nei documenti di trasporto, getto pericoloso di cose, realizzazione e gestione di discariche abusive. Come da parecchio tempo andiamo dicendo esistono numerose pieghe nell’ordinamento che regolamenta la gestione dei rifiuti all’interno delle quali è facile inserirsi con fini illeciti. Non è solo un problema attinente alla definizione di rifiuto, che pure lascia ampi margini di libertà, ma si tratta anche di discipline concorrenti come quella sui fertilizzanti o sui fanghi di depurazione che, per la loro minore onerosità applicativa, si prestano meglio alle soluzioni "creative" di soggetti malintenzionati. Lo stesso per quanto riguarda le procedure semplificate che in questo campo sono un vero azzardo.

La vicenda in esame suggerisce di inserire un altro argomento tra quelli critici sopraelencati, la deroga ex-art.9 del D.Lvo 22/97 per la miscelazione dei rifiuti. L’inchiesta del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente è partita dalla scoperta di una cava in provincia di Rieti dove sono stati trovati rifiuti declassificati, cioè, secondo la lettura datane dagli inquirenti, rifiuti pericolosi che venivano invece presentati come inerti. Da qui il suggestivo titolo dell’inchiesta che richiama l’arte magica della sparizione.

Nel primo contatto avvenuto tra le parti in causa la difesa degli accusati ha presentato al giudice copia dell’autorizzazione provinciale rilasciata ad una delle due aziende indagate nella quale si parlava chiaramente di miscelazione dei rifiuti pericolosi con altro materiale. Per il pubblico ministero questa autorizzazione disponeva però che la miscelazione avvenisse con un certo criterio e soprattutto che fosse finalizzata allo smaltimento in un impianto idoneo e non - come invece è ipotizzato nei documenti dell’accusa - utilizzato come sottofondo stradale o addirittura nei processi di compostaggio.

Da come sono andate le cose parrebbe proprio che il perno dell’inchiesta ruoti tutt'intorno alle modalità di miscelazione assentite attraverso deroga ex-art.9. In effetti se questa miscelazione è avvenuta in conformità alle disposizioni derogatorie della provincia allora qualsiasi cambiamento di composizione del rifiuto e, pertanto, qualsiasi coerente (sempre se coerente sotto il profilo della disciplina applicabile) scelta della destinazione finale (si tratti di cava, di compostaggio o di sottofondo stradale) andrebbe valutata come lecita. In caso contrario l’adozione di comportamenti difformi rispetto alle prescrizioni autorizzative è comunque fattispecie penalmente sanzionabile, un ulteriore aggravante rispetto al quadro già pesante prospettato ai vertici delle due aziende incriminate. Ma ancora, in ipotesi, il significato troppo ampio lasciato al criterio di deroga adottato potrebbe anche essere contestato alla stessa amministrazione provinciale, rea di aver rilasciato un atto illegittimo.

Già si comprende da queste prime note come, nel giudicare di questi fatti, si cammini su un filo sottile sospeso a mezz’aria. Vediamo ora cosa prevede l’art.9 del D.Lvo 22/97:

Art. 9 - Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi

1. 1.È vietato miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi ovvero rifiuti pericolosi di cui all’allegato G con rifiuti non pericolosi.

2. 2.In deroga al divieto di cui al comma 1, la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi dell’articolo 28 qualora siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2, e al fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.

3.Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 51, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 è tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e per soddisfare le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2.

E’ alquanto singolare che si stabilisca un divieto, peraltro penalmente sanzionato, e subito dopo le disposizioni in deroga allo stesso divieto. Sarebbe stato più razionale stabilire le condizioni alle quali la miscelazione tra rifiuti può essere autorizzata, il che avrebbe escluso a priori qualsiasi altra modalità. Peraltro esiste un riferimento a determinate condizioni il cui rispetto deve essere garantito per il rilascio dell’autorizzazione in deroga, tuttavia l’art. 2, comma 2, del decreto non è di nessuna utilità da questo punto di vista:

Art.2 Finalità

2. I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora; b) senza causare inconvenienti da rumori o odori; c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.

Non è da queste indicazioni generiche che si possano desumere norme di buona tecnica per la miscelazione dei rifiuti. Lo stesso per quanto riguarda la necessità di rendere "più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti". Questi sono buoni principi generali che devono trovare però una traduzione concreta nell’emanazione di linee guida, cosa che avviene regolarmente negli altri stati membri della UE e che invece manca pressoché del tutto nel nostro Paese.

Si può comprendere come, in assenza di linee guida, le 100 Province italiane (che, per la disciplina sui rifiuti, rappresentano quasi ovunque l’autorità alla quale è demandata la valutazione delle domande in deroga ed il rilascio delle autorizzazioni) vadano ad individuare tali criteri applicativi in modi e termini del tutto autonomi.

Nella condizione di dover stabilire comunque un criterio è indispensabile partire dalle motivazioni che hanno portato il legislatore ad inquadrare la miscelazione dei rifiuti come un elemento critico da assoggettare a controllo. Si tratta evidentemente del timore che attraverso la miscelazione vengano attuate operazioni illecite, le stesse di cui ora stiamo discutendo. La prima conclusione che dovremmo trarre è che o la disposizione dettata nell’art.9 del decreto non si è rivelata utile a contrastare questo fenomeno o che sia stata male applicata. D’altro canto bisogna sottolineare che senza una autorizzazione in deroga molti centri di stoccaggio provvisorio autorizzati in regime ordinario (artt.27/28) o semplificato (art.33) semplicemente non esisterebbero. La miscelazione non è altro che la preparazione al successivo trattamento del rifiuto, ottenuta attraverso operazioni di cernita, selezione e raggruppamento in modo da rendere omogenee le partite secondo le condizioni contrattuali tra il centro intermedio e l’impianto di smaltimento o recupero finali.

Ciò detto nel predisporre un criterio per il rilascio di una autorizzazione in deroga che si presti a rafforzare la genericità delle indicazioni ex-art.9 devono essere individuate:

  1. le modalità di miscelazione che non si prestino ad una diluizione illecita del rifiuto
  2. le destinazioni finali che non permettano una diffusione incontrollata di sostanze
  3. gli obblighi documentali che servono a garantire i passaggi descritti
  4. la periodicità dei controlli e le tipologie di accertamento che confermino la regolarità del processo.

Riguardo al primo punto è bene chiarire che cosa si intende per diluizione illecita, non dare niente per scontato. In effetti non è così vero che mescolando rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi si ottiene come risultato quello di una diluizione. Con l’attuale classificazione dei rifiuti, basata sulla corrispondenza solo descrittiva tra il rifiuto prodotto ed il codice CER applicabile, questa asserzione non è possibile senza conoscere quale concentrazione e quali parametri siano stati utilizzati in sede UE per definirne le caratteristiche di pericolosità o per escluderle caso per caso. L’asserzione è valida unicamente in quei 100 casi in cui il codice CER è accompagnato dalla relativa "voce specchio", come da modifica introdotta con Decisione 2000/532/CE e succ. a partire dal 1° gennaio 2002.

Se si eccettuano queste 100 voci per le quali è, in teoria, dimostrabile una diluizione, per il resto l’unico illecito che si può commettere è nell’attribuzione del codice al rifiuto finale risultante dalla miscelazione. Se a partire da rifiuti pericolosi il risultato finale è un rifiuto non pericoloso qualcosa evidentemente non sta andando per il verso giusto, come del resto si dovrebbe supporre per il contrario (ma l’eventualità è remota!).

Per garantire che l’autorizzazione in deroga non finisca per rendere ammissibili declassificazioni illecite dei rifiuti occorre quindi acquisire:

Riguardo al secondo punto il rischio vero che si corre con l’autorizzazione in deroga ai sensi dell’art.9 del D.Lvo 22/97 è che la declassificazione del rifiuto iniziale arrivi fino all’estremo, cioè alla sua sostituzione terminologica: da rifiuto a non rifiuto, da rifiuto a compost, da rifiuto a fango di depurazione, da rifiuto a materiale inerte. Ognuno di questi possibili passaggi va esplicitato in sede di approvazione del progetto o di esercizio. Il criterio seguito non potrà che essere quello delle possibili conseguenze ambientali e cioè che in nessun modo le operazioni di miscelazione autorizzate rendano ammissibile rimettere in circolazione le sostanze pericolose contenute nei rifiuti permettendo di fatto una diffusione incontrollata nell'ambiente. La destinazione finale deve essere coerente con i principi di tutela ambientale, pertanto qualsiasi sia l’attività di recupero o di smaltimento alle quali il rifiuto è destinato deve garantire un livello equivalente di protezione, lo stesso che avrebbe avuto se non fosse stato prima sottoposto ad una miscelazione.

Per gli obblighi documentali naturalmente si tratta di disporre di strumenti in grado di "rileggere" le miscelazioni avvenute se conformi alle disposizioni date a seguito dell’applicazione dei primi due punti. Si parla di registri o di certificazioni che tuttavia, di per sé, non sono tuttavia sufficienti. Il controllo deve necessariamente fondarsi su una precisa conoscenza del processo e utilizzare tali forme documentali come un ulteriore riscontro rispetto ad accertamenti di tipo tecnico, quale per es. analisi a campione di rifiuti all’ingresso o all'uscita. E’ bene quindi che gli obblighi documentali siano inquadrati all’interno di un piano di sorveglianza che il gestore deve mettere in atto, in logico collegamento con le prescrizioni autorizzative.

Individuare il codice da attribuire al rifiuto finale è problematico. Le istruzioni UE prescindono infatti da operazioni di miscelazione dal momento che si considera come punto di partenza il settore industriale che ha dato origine al rifiuto. Il criterio più tutelante è quello di ammettere miscelazioni di raggruppamenti di rifiuti proveniente dal medesimo comparto e quindi identificare il codice finale tra quelli appartenenti allo stesso settore. Anche se non è sempre vero il codice attribuito orienta la sua destinazione finale. Si pensi al campo di applicazione del DM 5 febbraio 1998 sul recupero di rifiuti non pericolosi: si tratta di rifiuti individuati da un preciso codice, quelli non riportati non possono usufruire delle procedure semplificate.

La destinazione finale è l'aspetto più critico. Se si ritiene di applicare i criteri suddetti la naturale conclusione di questo percorso è che il rifiuto ottenuto da una miscelazione tra pericolosi e non, andrà sottoposto ad un trattamento in grado di sequestrare le sostanze pericolose in esso contenute. Il sequestro è quindi tecnicamente possibile solo se:

Non costituisce un livello equivalente di protezione ambientale la miscelazione per la produzione di compost, per il ripristino di cave dismesse, per l'utilizzo sostitutivo di inerti.

Come conclusione di questo breve trattato sulla miscelazione è interessante riportare le prescrizioni tipo che vengono previste dalla Regione Lombardia in sede autorizzativa ex-artt.27/28 del D.Lvo 22/97. Pur trattandosi di un testo migliorabile è quanto di più prossimo ai criteri sopra suggeriti, rappresentando una buona base di partenza. Anche in questo caso non possiamo che mettere in luce le differenze, in termini di garanzia, che offrono le procedure ordinarie rispetto a quelle semplificate. Basti dire che le procedure semplificate si concludono con un ..silenzio-assenso.

Nel rispetto dell'art.9 del D.Lvo 22/97 possono essere operate fasi di miscelazione di rifiuti pericolosi, di cui all'allegato G del D.Lvo 22/97, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, esclusivamente se tese a produrre miscele di rifiuti ottimizzate ai fini dello smaltimento definitivo e comunque non può essere operata alcuna diluizione tra rifiuti incompatibili ovvero con la finalizzazione di una diversa classificazione dei rifiuti ai sensi del D.Lvo 22/97 e del punto 1.2 del deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984 ex-art.5 del D.P.R. 915/82. La miscelazione dovrà essere effettuata adottando procedure atte a garantire la trasparenza delle operazioni eseguite in particolare:

  • ad ogni cisterna, serbatoio o contenitore in genere destinato al deposito dio miscele di rifiuti deve essere assegnato un codice univoco;
  • ogni partita di rifiuto in ingresso sarà registrata riportando la codifica della cisterna, serbatoio o contenitore in cui verrà collocata;
  • il serbatoio dove avviene la miscelazione deve avere gli sfiati presidiati da idoneo impianto di abbattimento;
  • è vietata la miscelazione di rifiuti con diverso stato fisico o che possano dare origine a sviluppo di gas tossici.

Deve essere tenuto un registro di impianto dove vengono evidenziati:

  • partite, quantità e codici CER dei rifiuti miscelati;
  • quantità, codice CER delle miscele di rifiuti ottenute;
  • il rifiuto deve essere preventivamente controllato dal responsabile di impianto, mediante una prova di miscelazione su piccole quantità di rifiuto per verificarne la compatibilità chimico-fisica. Si terrà sotto controllo l'eventuale polimerizzazione, riscaldamento, sedimentazione etc. per 24 ore; trascorso tale tempo senza il verificarsi di nessuna reazione si procederà alla miscelazione.

Le miscele di rifiuti così costituite devono essere conferite, accompagnate dal formulario di identificazione, a soggetti autorizzati per lo smaltimento finale e/o il recupero delle stesse, escludendo ulteriori passaggi ad impianti di stoccaggio, se non collegati agli impianti di smaltimento di cui alle operazioni da D1, D2, D3, D10, D11 dell'allegato B e/o di cui alle operazioni da R1 a R9 dell'allegato C del D.Lvo 22/97.

In deroga al divieto di cui al 1° comma dell'art.9 del D.Lvo 22/97 nelle fasi di trattamento mediante inertizzazione o distillazione, al fine di ottimizzare lo smaltimento o il recupero, possono essere operate fasi di miscelazione dei rifiuti speciali non pericolosi e speciali pericolosi.

 

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HOUDINI E LA MISCELAZIONE DEI RIFIUTI