chiarimenti
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23
giugno 2005
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Per i rifiuti da noi prodotti il problema di trovare un'impresa seria che ce li smaltisca o ne effettui un recupero è molto sentito. I preventivi differiscono spesso, senza tante motivazioni. La maggiorparte delle offerte provengono da impianti di stoccaggio intermedio o messe in riserva. Come è possibile avere le garanzie che il soggetto al quale sono stati affidati i rifiuti per lo smaltimento od il recupero si stia comportando correttamente? Grazie per la cortesia.
Il sistema delle autorizzazioni e dei controlli è, in genere, la base per poter prevenire fatti o comportamenti potenzialmente dannosi per l'ambiente, sia che questi avvengano intenzionalmente o meno. Purtroppo in nome di un malinterpretata semplificazione si assiste sempre più spesso a interventi legislativi diretti a ridurre la portanza di questi principi, non ultimo il decreto sulla competitività che ha ammesso la possibilità di insediarsi di un'impresa attraverso la semplice denuncia di inizio attività. Se non fosse per la Comunità Europea che continua a mantenere sotto pressione il legislatore italiano non solo non avremmo l'aggiornamento delle norme, la loro attualizzazione rispetto ai nuovi problemi, ma verrebbe abbandonato anche quello che di buono è stato fatto finora.
Guardiamo ciò che continua ad avvenire nell'ambito della normativa rifiuti: una volontà di delegificare con l'interpretazione autentica di rifiuto che, a parte la ragione e il torto che spesso si confondono in questi casi, finisce per scaricare le tensioni che si generano su persone inconsapevoli di compiere atti illeciti. Guardiamo anche all'altro aspetto della medaglia: licenze di gestione di rifiuti, anche se non pericolosi, nondimeno inquinanti, rilasciate a persone prive di scrupoli, o ai loro prestanome, grazie al meccanismo deleterio del silenzio-assenso. E nonostante le tante inchieste sui traffici illeciti di rifiuti, cosa succede? succede che, nonostante il clamore che viene sollevato, spesso senza remore, il tutto si chiude con prescrizioni o assoluzioni motivate da vizi procedurali.
In questo quadro grandi certezze non ce ne sono. Possono servire alcuni suggerimenti.
Se sulla base dei diversi preventivi presentati ce ne fosse qualcuno sfacciatamente più basso qualche domanda bisognerebbe porsela. E' chiaro che muovendosi in un mercato in cui le tariffe non sono definite per legge si può constatare di tutto. Esiste una selezione delle imprese sulla base di criteri economici che costituisce una indubbia selezione. Quelle in possesso di un'autorizzazione espressa, ai sensi degli artt.27/28 del D.Lvo 22/97, hanno dovuto prestare fideussioni anche elevate per coprire eventuali conseguenze di cattive gestioni: per farlo hanno dovuto naturalmente esibire delle garanzie alle banche o alle assicurazioni. Le imprese che gestiscono rifiuti in procedura semplificata queste fideiussioni non le devono presentare e quindi non è richiesta una valutazione preventiva delle relative capacità economiche. In caso di fallimento smaltire i rifiuti in capo alle seconde comporterà una spesa a completo carico della collettività.
Non meno importante è la verifica dei contenuti autorizzativi o delle comunicazioni ex art.33 del D.Lvo 22/97: non solo sarebbe indispensabile conoscere lo status amministrativo dell'impresa, ma anche le modalità attraverso le quali il nostro rifiuto verrà sottoposto ad un processo di recupero o di smaltimento. Non è tanto dell'inceneritore o della discarica che occorre preoccuparsi, spesso si tratta degli impianti più controllati, ma delle altre alternative che si devono necessariamente richiamare alle operazioni descritte nell'allegato B o C del D.Lvo 22/97, definizioni spesso incomprensibili. Per es. non tutti sanno che all'operazione di "R5 Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche" fanno riferimento tutti gli impianti che effettuano la macinazione degli inerti, è l'unica voce alla quale ricondurre questa tipologia di attività. Tuttavia, basta che il codice corrisponda e a questi impianti potrebbero essere avviati anche terre inquinate, provenienti da qualche sito contaminato.
Anche sotto il profilo dei controlli non tutto procede bene, gli stumenti sono difettosi. Possono essere svolti tutti gli accertamenti che occorrono per poter evidenziare le violazioni alle norme, quello che poi non viene comminata è la sanzione accessoria di una sospensione o revoca dell'attività. Nei rari casi in cui avviene se un'impresa di smaltimento o di recupero è stata sottoposta a provvedimenti inibitori non è dato sapere, lo vieta il segreto istruttorio e la tutela della privacy La ditta ricorre al T.A.R., ottiene la sospensiva (questa sì, subito, dopo 15 giorni) e fino al processo di merito che verrà forse celebrato nel successivo quinquiennio, continua tranquillamente a ricevere rifiuti nella inconsapevolezza della clientela. E non è neppure escluso che nel merito abbia riconosciuta la propria ragione e che, ne consegue, ritenga di dover chiedere i danni alla pubblica amministrazione. Pubblica amministrazione che diventa quindi sempre più tremebonda, restìa ad applicare sanzioni se non c'è prova al di sopra di ogni possibile dubbio, coè praticamente mai, considerato che molte prove vengono annullate per formalismi. Nella comune accezione sono i controlli che non funzionano, questo non è vero, quello che difetta sono i meccanismi di dissuasione che dovrebbero impedire la perpetrazione di altri reati.
In attesa del testo unico che porrà termine a tutte queste incertezze, compresa quella della condanna, c'è il nuovo comma 3 – bis dell’art. 10 del D. Lgs. 22/1997, comma aggiunto dall'art. 1, comma c. 29, della L. 15 dicembre 2004, n. 308 (legge delega)., il quale sostiene che "nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente ai punti D 13, D 14, D 15 dell'allegato B, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto, di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell'impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato allegato B. Le relative modalità di attuazione sono definite con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio".
Rispetto alle garanzie del formulario identificazione trasporto (FIR) di ritorno, quarta copia, ora il produttore di rifiuti che li consegni ad un impianto autorizzato come D13, D14 e D15, tutte operazioni di deposito in regime di smaltimento, avrà un'altra incombenza, quella di acquisire anche il certificato di avvenuta eliminazione dal soggetto finale al quale i rifiuti sono stati effettivamente destinati come tappa conclusiva. Manca ancora il decreto attuativo e quindi è presto per dire che efficacia avrà la nuova disposizione. Certamente si può già rilevare come questa non si applichi alle messe in riserva dell'allegato C al D.Lvo 22/97, quindi non riguardi le operazioni di recupero, cosa del tutto incomprensibile alla luce dei tanti fatti di cronaca riguardanti impianti operanti in regime di procedura semplificata. Pertanto non sarà possibile seguire l'itinerario di un rifiuto che in ipotesi potrebbe passare da un deposito D15 ad una messa in riserva R13.
In ogni caso prevale ancora questo principio che la garanzia di un corretto smaltimento sia assicurata dalla disponibilità di un documento controfirmato. Sicuramente questo rappresenta la modalità attraverso la quale il produttore si spoglia delle proprie responsabilità. Che sia invece la dimostrazione della chiusura del ciclo di vita di un rifiuto ce ne passa. Si tratta solo di prendere coscienza che coloro i quali intendono lucrare sulla gestione dei rifiuti, a spese della collettività e dell'ambiente, come hanno mostrato le numerose inchieste di questi anni, i documenti li falsificano o li perdono.